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Divulgazione dell’opera di Déodat de Dolomieu “Memoire sur les iles ponces” (3)

di Francesco De Luca

 

Il filosofo Karl Popper era dell’avviso che i libri, come tutte le opere culturali, hanno una vita autonoma dall’autore; vivono, diceva lui, in un “terzo mondo”, distinto da quello di chi li ha prodotti.

Evidenzia bene questo principio il libro di Déodat de Dolomieu – Memoire sur les iles ponces – uscito al pubblico nel 1788 e conosciuto da noi in questi giorni per opera di Giuseppe Massari che l’ha tradotto in italiano.

Copertina-Le-Dolomieu[1] [1]

Ma non due bensì tre sono le uscite di questo volume perché negli anni ‘80, allorquando presiedeva il Consiglio Regionale del Lazio, Gabriele Panizzi, dall’opera magna dell’esimio geologo francese estrasse la parte riguardante l’arcipelago ponziano e la diede alle stampe in forma anastatica, rispettando così in tutto l’edizione francese.

Come lo stesso Panizzi ha ricordato alcuni giorni fa, la Regione Lazio cercò con diversi volumi di mettere sotto i riflettori della coscienza regionale le isole ponziane, sino ad allora dimenticate.

Tutto questo lo dico per evidenziare il merito di Gabriele Panizzi ed ora quello di Giuseppe Massari. Grazie a loro Ponza si è arricchita di una nuova fonte di conoscenza.

Ma, volendo contribuire alla divulgazione del libro, andrò ora a completare il mio discorso iniziato sul Sito (leggi qui [2] e qui). [3]Facendo notare, ad esempio, come il De Dolomieu fosse interessato in maniera assillante a riconoscere la natura vulcanica delle isole, le bocche eruttive, la natura delle rocce. Afferma così, dall’alto della sua competenza e dell’osservazione personale, che le isole facessero parte di un complesso vulcanico esteso (pag. 29), quasi una “catena semicircolare che si prolunga da Capo Miseno al Capo Circeo, che racchiude il golfo di Gaeta e quello di Terracina” (pag. 25). Lo ricalca con enfasi a pag. 44: “l’estensione dell’ isola di Ponza attorno al suo cratere… porta a concludere che non resta più che una porzione molto piccola, appena riconoscibile, di un vasto ed enorme vulcano”.

Cosicché, quando scopre a Zannone una commistione di rocce vulcaniche con rocce calcaree, esulta. “Un terzo della sua massa è calcareo, due altri terzi sono vulcanici” (pag. 65); “le scarpate del nord sono calcaree, tutte le altre sono vulcaniche” (pag. 65). E poi si attarda a spiegare che lui avrebbe voluto vedere la linea di congiunzione fra le due rocce, ma non gli fu possibile: che la roccia calcarea è nera, ha odore di orina di gatto se fratturata, che dà “eccellente calore”; “si cuoce nei forni costruiti con la sabbia della riva ai piedi delle rocce, e poi si trasporta a Ponza” (pag. 67).

DSCN0992[1] [4]

In tal modo riferisce anche della consuetudine di “cuocere“ a Zannone, dove abbondante era la legna, la roccia per trarne calce.

Erano questi i “forni” che daranno il nome a tutta la zona nord dell’ isola, chiamata Le Forna?

No, assolutamente no. I forni sunnominati producevano la calce viva, quella che si metteva a bollire nelle buche, e che serviva per disinfettare i pozzi, per imbiancare.

Nei “forni”, allusi nelle denominazioni “cala fornelle” e “cala forni grandi“, probabilmente si cuoceva il “bianchetto” o caolino.

Chiaro appare che la località Le Forna prende nome dalla presenza di detti forni.

Un’altra particolarità voglio sottolineare: la preoccupazione costante di Dolomieu che le isole ponziane fossero talmente precarie nella loro natura litica da “far prevedere che diminuiranno ulteriormente la loro estensione e che finiranno per scomparire” (pag. 70).

Lo ripete tante volte che sembra un assillo. A pag. 33, dove parla di Ventotene scrive: “se avvengono giornalmente le frane si può prevedere che essa diminuirà progressivamente, che si dividerà, che nei tempi a venire sarà ridotta alle rocce delle lave che la sostengono…”. Più avanti per Ponza scrive: “se il mare continuerà a scavare nelle scarpate l’isola dovrà dividersi in due: la parte inferiore, quella che comprende i monti della Madonna e della Guardia si separerà…” (pag. 46); e ancora: “vi sono più punti dove Ponza è pronta a dividersi…” (pag. 50).

Non manca però il riconoscimento della singolarità naturalistica di Ponza. Più volte accenna alla presenza di materiali “che non si trovano in nessun altro vulcano” (pag. 54), e invita i naturalisti e i viaggiatori a visitarla giacché offre spunti di osservazione e di approfondimento. Anche antropologico. Ne rimane colpito lui stesso. Tralascia infatti le note scientifiche e scrive: “Ponza d’altronde ha un assai buon porto, racchiuso da un molo difeso lui stesso da una seconda gettata; i diversi edifici che circondano questo porto, che servono d’alloggio agli Ufficiali dell’Amministrazione e alla guarnigione, sono graziosi ed hanno un effetto pittorico. Non c’è un centro di abitazioni propriamente detto: la popolazione è sparsa fra differenti località in tutte le parti coltivabili dell’isola; essa è costituita più o meno da novecento persone, oltre ai centocinquanta uomini della guarnigione e ad uno stesso numero di forzati. La coltivazione si estende poco a poco in tutte le montagne che possono consentirla; ma c’è da temere che a causa della graduale spogliazione delle macchie che la ricoprono, le cui radici aggrovigliate formano dei corpi che trattengono le acque, esse abbiano facilità di trascinare queste terre vegetali o nel mare o nelle vallate sottostanti” (pag. 54).
Mattei.-Porto[1] [5]

Che altro commentare? Il libro di De Dolomieu aggiunge un nuovo cammeo al ricco patrimonio bibliografico su Ponza.

Ho indicato a chi volgere i ringraziamenti per averci offerto l’opportunità di rispolverare vecchi concetti. Oggi alla portata di tutti.

 

[Divulgazione dell’opera di Déodat de Dolomieu. (3) – Fine]