Ambiente e Natura

Il vino di ghiaccio

di Sandro Russo
Vinodighiaccio

 

Brutta cosa l’ignoranza: nelle grandi come nelle piccole cose!
Mi ha portato per esempio a sostenere – in base alla mia limitata esperienza di vinificazione casalinga (al casale, molti anni fa) e al poco che avevo capito della vinificazione che Giuànn’ (’i Giulie Matrone) fa con i suoi Vecchi al Fieno – che la fermentazione non avviene a temperature troppo basse o sotto lo zero.

Ben ricordavo infatti che quel rumore sordo che si sentiva dai grandi tini dove il mosto ‘bolliva’, era più o meno forte in relazione alla temperatura esterna tanto che, con le nuove tecniche introdotte al Fieno (da Emanuele per esempio), si tendeva a mantenere stabile il processo con un modico raffreddamento di tutta la cantina; ovviamente in relazione all’ambiente esterno che a Ponza e di settembre può essere ancora torrido.

Bene! Ho sparato tutte le mie conoscenze e sono stato prontamente contraddetto dai fatti, più che dalle chiacchiere.
– Tie’, ’ssaggia qua! – …E mi hanno messo sotto il naso e poi in mano un calice versato da una bottiglia alta e stretta. C’era scritto “Cidre de glace, bevanda dell’inverno canadese” e dopo poco apprendevo che veniva fatto con le mele gelate, raccolte a 15 gradi sottozero.

Sidre de glace

Pommiers_verger_lafrance. Quebec

La raccolta si esegue a -15°

Dalle mele all’uva il passo è breve, e con un po’ di curiosità (e meno supponenza) imparavo che ci sono anche i vini di ghiaccio, in cui l’uva viene raccolta quando è gelata e tutto il processo avviene sottozero.

E la storiella che si racconta è la seguente:

Siamo in Germania, nella regione del Rheingau.
Nel 1829 la vendemmia nel Rheinhessen non è stata brillante; molte uve sono state lasciate sulla pianta con l’intento di farne cibo per gli animali, visto il giudizio negativo per procedere alla vinificazione. La cronaca racconta che l’11 febbraio del 1830 si procedette comunque alla raccolta e ci si accorse che il succo era dolcissimo e saporito. Si provò quindi a pressarlo e il succo ottenuto diventò mosto e poi vino: Eiswein, vino di ghiaccio, appunto.

Oggi i vini di ghiaccio (Eiswein, icewine, vin de glace) hanno conquistato un piccolo e prezioso segmento di mercato nei vini dolci, le nazioni all’avanguardia qualitativa sono il Canada e la Germania.

Ice_wine_grapes

Eiswein è il termine di origine tedesca con il quale si designano i vini ottenuti dalla fermentazione di grappoli congelati, vendemmiati tardivamente all’inizio della stagione invernale, quando la temperatura scende sotto i -7 °C (-8 °C in Canada).
In alcuni casi il congelamento delle uve può avvenire in maniera artificiale; processo tuttavia vietato dalle norme disciplinari dei principali paesi produttori.

La rapida raccolta e pressatura dei grappoli congelati rende possibile una elevata concentrazione degli zuccheri perché, mentre questi ultimi non si modificano con la bassa temperatura, l’acqua all’interno degli acini si ghiaccia.
Il congelamento impedisce generalmente anche la formazione della botrytis cinerea, la ‘muffa nobile’: ciò consente di ottenere dei vini che, a fronte di una considerevole dolcezza, presentano una spiccata acidità che riesce a bilanciarli in maniera adeguata (Wikipedia)

Due sono quindi le tecniche che possono essere impiegate. La prima, detta anche crioconcentrazione, per cui le uve vengono lasciate sulla pianta per buona parte dell’inverno, prima di essere pressate per dare vita a un succo particolarmente concentrato.
Il secondo metodo è la crioestrazione. In questo processo le uve sono congelate in modo artificiale fino ad ottenere il perfetto stato di maturazione per poi estrarre il mosto e, finalmente, produrre il vino. Va notato che questo processo “artificiale” è più lento rispetto a quello naturale ed è anche più complicato poiché un piccolo errore di calcolo può danneggiare irrimediabilmente il vino stesso. In entrambi i casi, le basse temperature consentono la naturale separazione degli zuccheri, ottenendo un concentrato che verrà destinato a una lunga fermentazione alcolica. Dopo circa sei mesi di riposo, gli zuccheri residui risulteranno superiori ai 130 grammi per litro, mentre il tasso alcolico della bevanda varierà tra i 7 e i 13 gradi.

Questo dovevo riferire per la scoperta… Va bene, non è una scoperta, vista la gran mole di notizie che ho trovato in proposito, ma per me lo è stata.
Ora, da buon “giornalista da strapazzo” mi metto da parte e lascio parlare qualcuno “che ben l’abbiamo fatto studiare” perché ci riferisca la sua, di esperienza…

2 Comments

2 Comments

  1. Sandro Vitiello

    9 Aprile 2015 at 07:29

    Si potrebbe scrivere tanto intorno ai “vini strani” e ce ne sarebbe per tutti i gusti.

    Lo abbiamo già fatto in passato:
    https://www.ponzaracconta.it/2014/05/15/gli-orange-wines-un-sguardo-verso-il-passato/

    Una cosa è sicura: il vino come lo beviamo oggi è un’acquisizione recente.
    La storia ci racconta che i greci prima e i romani dopo, non conoscendo i principi che regolano la fermentazione, avevano vini pressochè imbevibili che “aggiustavano” con resine, miele ecc.
    Da quando è nata la moderna enologia si è fatto di tutto per valorizzare l’uva.
    Tra queste la tecnica degli ice wines.

    Non è una tecnica facile ma nei paesi in cui la si usa, dopo aver inventato le macchine che separano la parte ghiacciata presente nell’acino dal resto del chicco, si fa del buon vino.
    Sono vini in cui la componente “morbidezza” sovrasta di gran lunga le altre, grazie ad una percentuale di glicerina molto alta: non entra in gioco solo la concentrazione dello zucchero.
    In realtà la pianta stressata dal freddo invernale produce molecole aromatiche molto particolari che hanno funzione “antigelo” e che si concentrano anche nel grappolo ancora sulla pianta.
    Sono le stesse molecole che danno quel sapore molto particolare alle mele dell’Alto Adige o ai vini come il Traminer o il Riesling.
    Ceppi con predisposizione all’aromaticità valorizzata in quei climi particolari.
    Molto diversi dai nostri vini liquorosi che troviamo in quasi tutte le regioni italiane: dalla Nosiola passita del Trentino al moscato di Pantelleria.
    Questi – gli ice wines – sono vini più prossimi ai sauternes francesi, dove le concentrazioni alcoliche ed aromatiche si ottengono grazie alla muffa nobile.
    Consiglierei comunque di aggiungere alle buone bevute anche i vini normali di quesi paesi “estremi” nella produzione.
    I buoni vini della Mosella e del Reno in Germania ne sono un esempio. I vini della Stiria in Austria anche e tanti altri ancora.
    Ho un ricordo molto piacevole di un Muller Thurgau prodotto sulle colline intorno a Praga e bevuto da quelle parti più di trenta anni fa.
    Ho paura però che il giudizio su questo vino venga confuso dal ricordo di un bel viaggio.

    Ci sono luoghi a noi sconosciuti da un punto di vista enologico che producono milioni di bottiglie.
    In Russia di dice che la guerra di Crimea è stata fatta soprattutto per conservarsi uno spumante prodotto in quella penisola – da noi non è stato mai commercializzato – e che in quei paesi viene consumato in grandi quantità: milioni di bottiglie.

  2. Linda Botha

    27 Aprile 2015 at 13:03

    Interessante l’articolo sul vino di ghiaccio. L’ho assaggiato per la prima volta molti anni fa durante una cena di lavoro a Toronto! Da allora ricevo una bottiglia di Inniskillin (Ontario) ogni anno da mio fratello quando viene in Italia! Avete fatto una bella ricerca e anche il commento è molto ben fatto! Manca però l’informazione sull’abbinamento… E’ ottimo con formaggi erborinati!

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