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Due anni senza Jannacci. (2). El purtava i scarp de tennis… perchè l’era un terùn

di Sandro Vitiello
++ MUSICA: E' MORTO ENZO JANNACCI ++ [1]

 

Chi ha avuto modo di vivere la Milano dei primi anni settanta conserva intatti alcuni ricordi; molto naif ma pieni di passioni.
Passioni non solo politiche ma anche e soprattutto di relazioni umane.
In quel gran calderone che era la metropoli lombarda c’erano alcune figure che raccontavano le contraddizioni di quel tempo con impegno, malinconia e a volte con ironia.
C’erano quelli seri e impegnati e c’erano quelli svirgolati che viaggiavano con un registro tutto loro.
Jannacci era sicuramente il più originale.
Aveva il merito di affrontare tematiche sociali importanti con leggerezza.
Tra le sue mille canzoni ce ne sono alcune che immancabilmente ci si trovava a cantare in quelle osterie strampalate che riempivamo nei fine settimana.

milano_tram [2]

In Brianza c’è una zona collinare bellissima intorno a Montevecchia – raccontata anche da Stendhal nel suo viaggio in Italia – da cui nelle giornate belle si riesce a vedere anche il duomo di Milano.
Montevecchia è famosa per un suo vino non troppo impegnativo e per i suoi formaggi di capra.
Da quelle parti ci sono tante osterie con cucina, oggi meta di famiglie che vanno a fare la gita fuoriporta.
Allora ci andavamo noi “estremisti” e tra noi c’era sempre qualcuno che sapeva suonare la chitarra.
Si iniziava con “la Locomotiva” di Guccini o “Dio è morto” dei Nomadi ma immancabilmente si arrivava al repertorio di Jannacci.
El purtava i scarp de tennis era l’approdo liberatorio, dopo tante canzoni un pò menose.
Si cantava a squarciagola, dopo aver bevuto la “giusta” dose di vino e immancabilmente la si finiva con un piccolo omaggio al sottoscritto, cambiando la strofa finale – perchè l’era un barbùn, con “perchè l’era un terùn”.

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Jannacci ci univa perchè raccontava la quotidianeità della gente.
Provate ad ascoltare ad occhi chiusi “Vincenzina e la fabbrica”.

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In poche frasi è concentrata l’alienazione del lavoro in fabbrica, i piccoli sogni che manco quelli si avverano…

Zero a zero anche ieri ‘sto Milan qui,
Sto Rivera che ormai non mi segna più,

Storie di vita vera. Forse tristi? Non lo so?
Parlava di noi tutti e noi si pensava che ci fosse qualcun’altro più sfigato a vivere una certa disperazione.
E anche quando si provava a dare una svolta alla propria vita inventandosi un buon mestiere con

un taxi nero che andava col metano
con una riga verde allo chassis
e che la notte parcheggiava nel centro di Milano

a fare da cornice c’è:

una mamma vedova che piange nella sua stanza e
un fratello biondo senza scrupoli
ladro di ruote di scorta da micromotore
che poi vendeva per fare la vita del signore,

Quel suo fratello biondo con una bella donna
sali’ una sera sopra il suo tassi’
non lo guardo’ nemmeno e gli rubo’ una gomma
fingendo di parlare dell’amor.
Mentre la mamma prega nella camera
ruba la gomma il figlio assai degenere.
Era una gomma, ma piu’ che una gomma un ricordo
era il regalo che la mamma gli fece a Natal,
che Natale!
Anche la gomma allor divenne pallida
come la mamma quando fuori nevica.
Senza la gomma quel taxi sembrava in salita
e contro un muro di legno stronco’ dei tre la vita.
Mentre la mamma prega nella camera
ruba la gomma il figlio assai degenere…
Mentre la mamma piange nella camera
muore la donna e il figlio suo degenere
scoppia la gomma e muore anche il figlio normale
per quella gomma che mamma gli die’ a Natale.

Il ritmo è folle: basta guardare il video di questa canzone:

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E che dire poi di certi comportamenti degradati, da pistola, che negli anni della “Milano da bere” sono poi diventati regola.
Un uomo che comperava le calze di seta alla sua donna perchè lei potesse fare al meglio “il mestiere più antico del mondo”.

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All’epoca era riprovevole.
Poi arrivarono gli anni ottanta che nella metropoli lombarda trovarono la capitale e sfornarono un nuovo stile, una nuova etica.
Pistola’ diventarono quelli che non capirono il nuovo corso e non si allinearono al “pensiero unico” dei baùscia, che erano diventati sciuri.

 

P.S. – Ci sarebbe tanto ancora da scrivere e forse lo faremo: chi non ricorda: “Vengo anch’io… no tu no!” oppure “Il bonzo” e tante, tantissime altre?