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Chi tene ’u mare

di Francesco De Luca
Pe'mmare [1]

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I Greci, cantori del mare, utilizzavano diversi termini per definirlo. Ne avevano intuito l’immensità e lo descrivevano secondo le intenzioni dell’uomo o appariva l’elemento.
Omero dice del “mar senza confini”.

E’ possibile possedere il mare ?

Certo che no, anche se lo si affronta con la potente tecnologia della nostra scienza.

Il mare circonda le terre, il mare frena e avvilisce le volontà umane. Se, poi, diviene la dimensione in cui l’individuo si profonda per bulinare la sua consistenza, allora appare impossibile ogni tentativo di possesso. Il mare non si domina, al contrario, coinvolge, immerge, disperde.

I nostri marinai nutrivano per il mare rispetto, riverenza, timore. Lo affrontavano con pavidità taluni, con orgoglio altri, nessuno con insolenza.
Pe mare ’nce stanno taverne! E’ la condanna per chi con superficialità lo fende.

Il coraggio dei marinai sta nel dominare la paura.
L’ho colto nei gesti di Silverio ’i sciabbelone quando teneva la barra del suo Maria Maddalena, motonave dura a sottomettersi ai marosi; l’ho visto nel sorriso tirato’i Vecienzo ’i capaciuottele, quando da nostromo sulla motonave Isola di Ponza incoraggiava a tollerare le bordate dello scirocco e levante. A noi, giovani studenti che tornavamo a casa come nelle braccia di mamma.
Lo vedo ancora oggi negli occhi piccoli di Giovanni Di Meglio quando insieme ai figli torna in porto col carico di merluzzi, in anticipo sul ponente e libeccio montante.

Mare… mare era anche quello, caldo e accogliente della Caletta quando con Antonio, Silverio, Aniello ci si tuffava a ripetizione dallo scoglio d’u uaglione, pe’ nun fa’ perde ’a scumma. Un mare fratello, compagno di giochi e spensieratezza.
Perso anche lui.

Non era più lo stesso quando ci si andava in compagnia di ragazze. Era diventato un amico compiacente, stava al gioco, complice.

Non si possiede il mare, non si riesce a tenerne insieme la liquidità sfuggevole, dolorosa e gioiosa.
“Quella volta fui fortunato – racconta Mimì, capitano invecchiato nei ricordi e negli acciacchi – “Eravamo partiti dal porto di Almerìa. A poche miglia urtammo contro qualcosa. La nave stracarica… non riuscimmo a tamponare la falla… la abbandonammo. Era notte fonda. Io feci in tempo a mettere gli strumenti di bordo, quelli miei, nella cassa e, aggrappato ad essa, mi salvai “.

Gli occhi non hanno lacrime e la voce è affievolita dalle malattie. Parla di un uomo diverso da sé, parla di un mare oscuro, involuto, ostico. Lo ha solcato per quarant’ anni e oggi lo considera un oggetto incomprensibile.

Passato fra le mani, nulla si è fermato.

Chi tene ‘u mare, ’u ssaie, nun tene niente.

Da You tube – Chi tene ‘o mare – Pino Daniele con James Senese in una registrazione del 1981

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