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Il tesoro del Dory (2)di Adriano Madonna
Seguiamo Adriano Madonna nella seconda puntata della sua avventura alle isole Azzorre, nel relitto del Dory. per la prima parte leggi qui Facemmo rotta verso São Roque. Dopo un po’, a un miglio dalla spiaggia di sabbia nera, attraverso la trasparenza dell’acqua calma e piatta vidi la poppa del Dory. Il relitto giace sul fondo con la prua verso il largo. Questa si trova a poco più di 25 metri di profondità e ospita la più grande colonia di saraghi che abbia mai visto in vita mia e in mezzo secolo d’immersione subacquea. Ricordo, ad esempio, che anni fa, in immersione sul Dory con Umberto Natoli, a un certo punto da una manica a vento venne fuori una nuvola di saraghi talmente fitta che Umberto ne fu completamente nascosto. Guardai verso il largo e provai ancora una volta l’emozione di poter osservare il Dory nella sua maestosità, ma con amarezza notai che il relitto cominciava a collassare, tant’è che alcune strutture dell’opera morta, che anni prima avevo lasciato ancora integre, erano crollate: una manica a vento giaceva riversa sul ponte e un tratto di battagliola era caduto sul fondo. Restavano, ancora solidissime, le grandi travature d’acciaio delle stive sottostanti e là, ovunque dirigessi il fascio luminoso della lampada, coglievo riflessi argentei di squame e i plumbei colori delle cernie, che mi osservavano guardinghe con quei loro occhi minuscoli, pronte a guadagnare i meandri più nascosti e inaccessibili con forti colpi di coda. Mi sembrava di essere in un underground che attraversava le viscere dell’oceano, con una popolazione misteriosa che conduceva la sua esistenza segreta in una notte senza fine. Il boccaporto dal quale mi ero calato nella stiva sarebbe potuto essere la bocca di un pozzo misterioso attraverso il quale si accedeva ad un mondo sconosciuto. E proprio qui, nella grande stiva del Dory, mi trovai ad un tratto a tu per tu con il “mostro”: muovendomi, infatti, nel lungo tunnel di ferro, praticamente senza usare le pinne per non rendere torbida l’acqua, ma afferrandomi a lamiere e ferraglie, avevo scorto una nicchia oblunga che per l’intera lunghezza era occupata da qualcosa che a prima vista mi era sembrato un tronco oppure il condotto orizzontale di una manica a vento. Illuminai quello strano cilindro e notai che era lucido e pulito; poi si mosse, arretrò scomparendo nella nicchia di ferro e vidi la testa del grongo più grosso che si possa immaginare. Sapevo che questi pesci possono raggiungere dimensioni colossali, e anche io avevo avuto spesso occasione di vederne del peso di 20 chilogrammi e oltre, ma il grongo del Dory era qualcosa di incredibilmente mastodontico: forse lungo 3 metri, stimai che non potesse pesare meno di mezzo quintale. La mia presenza lo aveva impaurito e cercava di nascondersi, ma non v’era, laggiù, anfratto o rifugio che potesse contenerlo tutto. Il grongo impazzì di terrore e temetti che diventasse aggressivo. A quel punto, avrei dovuto vedermela con una sorta di coccodrillo. Dopo aver battuto la testa qua e là, scorse l’apertura del boccaporto, mi passò a fianco sinuoso come un’anaconda e guadagnò la luce veloce come un siluro. L’acqua della stiva era diventata color caffellatte. Non aveva più senso restare là dentro e uscii fuori. Saraghi e castagnole avevano ammantato il Dory in una nuvola rossa e argentata, ma mille pesci pelagici giungevano dal mare profondo. A pochi metri dalla poppa c’era una delle eliche della nave, e nella nicchia sabbiosa che vi s’era formata sotto, scorsi una murena raggomitolata come un serpente, con quella bocca che si apriva e si chiudeva come una macchinetta. Fu verso prua che mi trovai davanti ad un vero e proprio muro di pesce azzurro. Mi sembrarono palamite, ma non mi fu possibile avvicinarmi per averne una visione distinta. Emersi con poca aria nella bombola e il mio primo sguardo fu verso il cielo, che si stava addensando ancora di nuvole nere che giungevano da Occidente. Sarebbe piovuto di nuovo su São Miguel, ma laggiù, alle Azzorre, le perturbazioni possono formarsi e risolversi anche in una sola ora, quando il vento le porta via in un soffio. Non ci restava che ritornare in porto a tutto motore, perché con l’Atlantico non si scherza. Il Dory mi aveva mostrato ancora una volta il suo tesoro, la notte mi prometteva altri racconti di Manuel al White Shark: storie di vita di terra e di mare condite dall’odore acre di quei suoi sigari puzzzolenti, ma anche questo significa Azzorre! Dal libro “Appunti di viaggio – Momenti di vita in giro per il mondo” – di Adriano Madonna
Posizione geografica Le nove isole si estendono per più di 600 km nel cuore dell’Oceano Atlantico e sono collocate in direzione nordovest-sudest tra il 36º e il 40º parallelo Nord e tra il 24º e il 32º meridiano ovest. La terra più vicina è Madera, a 906 km, mentre il Portogallo si trova a 1403 km, e la Nuova Scozia a 2738 km. La grande estensione delle isole definisce un’immensa zona economica esclusiva di 1,1 milioni di km². Il punto più a occidente di quest’area si trova a circa 3000 chilometri dal continente nordamericano. Origine del nome. Si ritiene generalmente che l’arcipelago debba il suo nome all’astore (açor in portoghese), poiché si supponeva che fosse un volatile diffuso in tutto l’arcipelago al tempo della scoperta. Tuttavia esso non è mai esistito sulle isole. Devi essere collegato per poter inserire un commento. |
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