Ambiente e Natura

Cuncetta ‘i Sciammerica

di Rosanna Conte

 

In un suo recente articolo sul sito, Gabriella Nardacci (leggi qui) si pone varie domande sulle donne di Ponza: “Chissà quante donne di Ponza potrebbero raccontarsi! Mi piacerebbe conoscere la storia di queste donne: cosa pensavano, facevano mentre i loro uomini erano fuori in mare… E se oltre a pescatori rinomati tra gli uomini, ce ne siano stati anche tra le donne…”
Una parte di risposte le  fornisce questo articolo di Rosanna, su una delle donne più note nel panorama della storia recente dell’isola.
La Redazione

S. Antonio. Prima della strada e della banchina. Resized

La zona di S. Antonio, prima della strada e delle banchine

 

Ogni isola ha le sue donne di mare e Ponza non è da meno.

Nei luoghi in cui la vita impone di ricavare dal mare il proprio sostentamento, le donne non hanno esitato ad avventurarsi fra le onde con le barche sia per fare da spola fra le barche più grandi al largo ed il mercato a terra, sia per trasportare merci o persone, sia per andare a pescare.

Pasquale Mattej, che nel 1847 venne nelle nostre isole, ci narra della sua meraviglia nel constatare che, a Ponza, c’erano donne che facevano le pescivendole come usavano allora anche gli uomini, andando a rifornirsi direttamente dai pescatori in mezzo al mare con le loro barche a remi che sapevano governare con grande perizia. (pag. 43).

Né ci meravigliamo che sulla barca che faceva la spola fra il porto e Cala d’Inferno, negli anni ’20 e ’30 del ’900, ci fosse una donna, Tiramola, almeno così ricorda una testimone di quei tempi.
Ma la donna più ricordata come donna di mare è certamente Concetta ‘i Sciammerica, di cui ho sentito parlare fin da piccola, essendo la sorella di mio nonno.

Nata nel 1881 in una famiglia di pescatori, Concetta Conte doveva avere una grande dimestichezza col mare.

Partiva per La Galite col marito, portandosi anche i figli più piccoli appresso ed usciva in mare come tutti gli altri. Il suo alloggio non era, però, nelle grotte vicino alla spiaggia dove venivano tirate in secca le barche, ma su, in paese, dove c’era un emporio e dove abitavano gli stanziali dell’isola.

Pescatori ponzesi a La Galite

La figlia Giuseppina amava ricordare i periodi vissuti lì, da piccola e non dimenticava la paura che l’attanagliava quando doveva andare a comprare il sale dalla madame perché il suo negozio era situato vicino al cimitero.

Il cimitero de La Galite.1

Anche se era incinta, Concetta partiva: una delle sue figlie, Assunta, che ci ha lasciati, ormai ultracentenaria, poco più di un anno fa, è nata lì.

Non erano frequenti le donne al seguito dei pescatori ponzesi che si recavano sulle coste tunisine per la pesca delle aragoste da inviare al mercato di Marsiglia, e la sua presenza doveva avere un’influenza non da poco su di essi.

Concetta era una donna di fede, una fervente devota. Conosceva tutte le preghiere da recitare nelle festività comandate e si faceva carico di guidare gli altri anche in cerimonie religiose che a Ponza si sarebbero svolte col sacerdote.
Forte era il suo richiamo il 20 giugno per la festa di San Silverio.
Se fra i pescatori che stavano lì per lavorare c’era qualcuno che non voleva perdere la giornata in mare, veniva redarguito, anche con tono minaccioso.

Reportage2009La_Galite_thumb4

In quel santo giorno non si dovevano mettere le barche a mare per andare a pescare. Sarebbe stato un oltraggio per il Santo Patrono, un atto da miscredente. Quale protezione poteva concedere poi San Silverio a loro ponzesi che andavano così lontano sul mare, per lungo tempo lontano da casa, per guadagnare di che far vivere la propria famiglia?
Così il 20 giugno organizzava lei stessa la processione portando lo stendardo del santo per i sentieri de La Galite.

La Galite. Antica foto. Scene di vita

La Galite. Sopra: scene di vita quando l’isola era abitata dai ponzesi; sotto: la Chiesa (abbandonata) negli anni ’80

La Galite. La chiesetta negli anni '80

Quando tornava a Ponza, non deponeva le reti, anzi usciva regolarmente con la sua barca, anche se incinta.
Il suo ultimo figlio, Ferdinando (il papà di Assunta), per un pelo non è nato in mezzo al mare. Concetta lo sgravò appena mise piede a terra tornando dalla pesca.

Diciamo che al fianco di questa donna, che era di bassa statura, ma di grande piglio, suo marito, Giuseppe Scarpati, viene fuori un po’ sbiadito.
Fra i vari testimoni dell’epoca qualcuno dice che non aveva grande voglia di lavorare qualcun altro anche che beveva un po’, e ricorda Concetta che si trascinava sulle spalle il marito, lei bassa e lui abbastanza alto, fin sulla barca per andare a pesca.

Quel che è certo è che lei aveva carattere e trattava il mare con la confidenza di chi ci lavora.
Suo marito doveva essere di un altro stampo ed il soprannome che gli era stato dato, Sciammerica, probabilmente voleva sottolinearne la diversità dagli altri compaesani.

Testimoni del tempo dicono che fosse da attribuire alla sua abitudine a portare un soprabito lungo quale era la sciammeria, termine che deriva da giamberga, la colorata giacca a due falde (1) che indossavano i borghesi già nel ’700 (ne troviamo la presenza nel presepe napoletano) e che, ingrigita e senza fronzoli, ritroviamo nell’800, contrapposta alla giacca usata dal popolo. Un capo, quindi, che indicava l’appartenenza ad una classe sociale superiore e che ai primi del ‘900 veniva ancora usato per le occasioni importanti ed eleganti, come andare a teatro.

Schomberg.Bis

Così, nella tradizionale abitudine popolare di attribuzione delle parentele, Concetta Conte divenne Cuncetta ‘i Sciammerica e con lei tutti i suoi otto figli. A questo soprannome si fa ancora oggi riferimento per indicare l’appartenenza dei suoi nipoti alla comune parentela. È d’a razza ’i Sciammerica! Ma è da sottolineare che esso è stato assorbito pienamente da lei, dalla sua figura.

Diciamo che lo stampo di Concetta non si è perso e tra figlie e nipoti troviamo donne di una certa forza.

Una per tutte è la già citata Assunta (Ida Assunta) che sposò un confinato politico, Armando Fantoni. In piena guerra partì, sola, da Ponza per raggiungerlo a Torino, e di quel viaggio e dell’arrivo nella città sconosciuta, fornita solo di un indirizzo dove arrivare, parlava con naturalezza. Se voleva raggiungere il suo Armando, doveva per forza sobbarcarsi dell’incognita di un viaggio così lungo e pericoloso.

Delle nipoti conosciamo tutti la determinatezza e la capacità imprenditoriale oltre che artistica di Assunta Scarpati, come la simbiosi che lega Gioia alla pescheria giù alle Banchine da quando aveva cinque anni.

E Teresa Parisi che ha amato il mare e la pesca fino all’ultimo, proprio come sua nonna..!

La Galite. Foto d'epoca

 

Nota
(1) – Questo tipo di giacca fu ideato nel ’600 dal duca Armando Schomberg, generale francese di origine tedesca, per gli ufficiali del suo esercito. Gli spagnoli la chiamarono chamberga e come tale fu conosciuta nei territori da loro occupati, come l’Italia meridionale, dove divenne giamberga.

4 Comments

4 Comments

  1. Gabriella Nardacci

    22 Febbraio 2015 at 10:50

    Grazie Rosanna, per questa tua bella testimonianza.
    Non puoi immaginare quanto fascino mi trasmettano queste donne ardite e coraggiose che hanno avuto una tal confidenza con il mare! Questo loro essere così a contatto con la forza imponente e a volte ingestibile del mare, me le mette su un piedistallo!
    La donna è stata vestale del fuoco… donna di mare… madre terra e ultimamente anche conoscitrice dell’aria! Altro che sesso debole!

  2. susy scarpati

    24 Febbraio 2015 at 19:21

    Grazie a Rosanna per il ricordo di mia nonna: bello, veritiero,appassionato e affezionato… grazie!

  3. Luisa Guarino

    25 Febbraio 2015 at 17:05

    Leggendo il passaggio in cui Rosanna parla di una barca che negli anni ’20 – ’30 collegava il porto di Ponza con Cala Inferno mi sono venuti in mente i racconti di mia madre, Olga Mazzella, maestra elementare, che insegnava a Le Forna ma viveva in Piazza, a Ponza. Così – mi diceva – molto spesso, insieme a mia cugina Giovanna Conte, anche lei maestra, saliva sulla barca per raggiungere Cala Inferno per poi arrampicarsi fino a Le Forna centro, dove c’era la scuola. Non so chi ci fosse all’epoca (fine anni ’40), ai remi: non mi sembra che mamma parlasse di una donna. So che lo ha fatto anche quando era incinta di mio fratello. Mia cugina Giovanna raccontava, ancora ammirata e stupita a distanza di tanti anni: “Dovevi vederla: aspettava che l’onda facesse arrivare la barca all’altezza del ‘molo’ (non sempre il mare era esattamente calmo)e saltava a terra con una tale leggerezza, nonostante la pancia”.

  4. silverio lamonica1

    25 Febbraio 2015 at 17:24

    All’epoca i barcaioli erano: “Pall’a cannone” (nonno di Silverio Gabresù), non so se ancora esercitava Pacchiarotto, il quale finì sulla secca omonima nei pressi della Piana Bianca dove morì, purtroppo, una signora da lui trasportata, così finì in carcere per omicidio colposo.

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