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Epicrìsi o Epìcrisi

di Silverio Guarino
Allegro-chirurgo [1]

 

Quando ho letto il primo commento redazionale sui contributi settimanali di “Ponzaracconta”, non mi sono reso conto bene del termine “epicrisi” che mi era comunque sembrato azzeccato, sontuoso e, perché no, anche solenne.

Già più di qualcuno aveva espresso pensieri e chiarimenti al riguardo ma, per me, c’era dell’altro.

Questo vocabolo non mi era nuovo e mi risuonava nella mente fino a quando non mi si è illuminato il ricordo dei miei due anni trascorsi presso l’Istituto di Anatomia Patologica del Policlinico Umberto I di Roma, durante il corso di laurea in Medicina e Chirurgia.

In quel periodo (IV-V anno del corso di laurea) in veste di “studente interno”, tutte le mattine, dopo aver eseguito e seguito l’autopsia insieme all’assistente al quale ero stato “assegnato”, arrivava il Direttore, il Prof. Antonio Ascenzi, che procedeva a fare l’epìcrisi di tutte le autopsie della mattinata (sei – otto in media), seguito da tutti noi, suoi allievi.

Di tutte le autopsie il Direttore ci dava spiegazioni e chiarimenti impeccabili, degni delle più illustri scuole anatomiche, per noi fonte di grande cultura e sapienza, insomma: le basi per diventare veri medici (quando non esistevano ecografie, TAC, Risonanze Magnetiche, PET ed esami di laboratorio, per formulare la diagnosi di una malattia).
Era il giudizio conclusivo che si desumeva da una somma di giudizi parziali; in medicina, le considerazioni critiche che concludono l’illustrazione di un’autopsia (come riporta la Treccani).

Ecco svelato il vissuto che mi legava a questa parola.
Era una epìcrisi “macroscopica”, alla quale, secondo le indicazioni del Direttore, faceva seguito l’indagine microscopica dei singoli tessuti, prelevati per conferma.

Insomma questa epìcrisi (con l’accento sulla prima “i”, dal greco epìcrisis, giudizio, pensiero riguardo qualcosa o qualcuno) era proprio l’azione svolta in sala settoria dal Direttore dell’Istituto, che ci illuminava tutti dall’alto della sua sapienza.

Alla luce di queste considerazioni di fine etimologia, rivisitate dal mister “perfettini” di turno, proporrei provocatoriamente di rivedere il titolo di questo impegno redazionale, usando un altro termine, magari foneticamente più plebeo, ma più affine alla specificazione del compito dei commentari redazionali svolti al profumo del ragù domenicale e non all’odore pungente della formalina.

Ma nessuno si faccia provocare, perché va bene così: il mio pensiero era solo per ricordare la mia esperienza universitaria e non per evocare perfezionismi etimologici!

 

Immagine di copertina. Riproduzione giocosa (per i deboli di stomaco) della celebre tela di Rembrandt: Lezione di anatomia del dottor Tulp, dipinto a olio su tela (169,5×216,5 cm) realizzato nel 1632; opera conservata al Mauritshuis dell’Aia.