- Ponza Racconta - https://www.ponzaracconta.it -

Tra le religioni dello Sri Lanka, con un pensiero a Ponza

di Emanuela Siciliani

 

Michael Ondaatje (*) scrittore canadese dai bellissimi occhi blu
nato in Sri Lanka, fa dire ad un suo personaggio:
– Di che è morta tua madre?
– Cause naturali. Un’ inondazione.
[Da: “Running in the Family”; 1982]

Questo scambio verbale ci fa capire in un istante che aria tira qui in Sri Lanka, quando si parla di morte e di destino.

Ci si affida al fato, credendo fermamente che non si possa cambiare. Che al karma – così sei nato e così muori – non c’è rimedio tranne l’accettazione.
Proprio il contrario di quello che la nostra religione Cattolica Romana predica: – Fai bene e avrai una ricompensa in un futuro. Per non parlare dei Protestanti, che credono il lavoro sia la sola forza motrice per conquistare il mondo terreno e quello ultraterreno.

Senza addentrami in un terreno troppo complicato, mi piace raccontare il nostro modo di vivere le varie religioni osservate nel paese, avendo la fortuna di poter visitare, anno dopo anno, lo Sri Lanka.

Monks on Polhena beach. Matara SL [1]

Monaci buddhisti (novizi) sulla spiaggia di Polhena, Matara, Sri Lanka

La famiglia di Jezima – artista di batik che è venuta di recente a Ponza, rimanendone incantata – è musulmana.

E’ una gran donna, il punto di riferimento di una grande famiglia sparsa in tutto il mondo, e nessuno dei suoi componenti ci ha mai minimamente ricordato l’immagine feroce e sanguinaria dei combattenti dell’ISIS, per citare solo la più recente accolita di fanatici che usano la religione di Maometto come scusa per uccidere innocenti [solo durante l’invasione del Kuwait da parte di Saddam Hussein il marito di Jezima, Mohammed (che sta per Maometto), appese all’ingresso della grande casa cadente il ritratto del dittatore iracheno].

Frequentando la casa di Jezima – è con i suoi lavori tessili che abbiamo arredato il Piccolo Hotel Luisa – ci è capitato di incontrare donne completamente velate in nero, altre che entrando in casa lasciavano cadere sulle spalle il multicolore scialle di cotone leggero, abbinato al salwar kametz, il vestito con pantalone che usano le donne musulmane. Bellissimo e freschissimo, con lo scialle che ripara sì dagli sguardi ma anche dal sole cocente e dalla pioggia equatoriale.
Quelle stesse donne si riuniscono in gruppo e pregano sedute a terra con il loro rosario, sgranando grani e sura (i capitoli del Corano) e invocando l’aiuto per questo o quel conoscente, basta che lo si chieda.

Jezima e i suoi batik [2]

Jezima tra i suoi batik

E se qualcuno sta male sul serio, Jezima offrirà riso e zucchero e thè alle famiglie più bisognose, rinforzando così con le opere di bene la portata salvifica delle preghiere del gruppo.
Non è molto diverso il nostro rosario: l’intenzione è la stessa, avvicinarsi al Signore – si chiami Egli, Allah o Krishna o Jahvè – per mezzo della preghiera.
Fermarsi e ricordare che un essere superiore esiste. Che chi ha fede ci crede.
Da bambina passavo i pomeriggi nella parrocchia del paese dove abitavo, a spegnere ed accendere candele: Don Bosco, raffigurato in un dipinto a grandezza naturale mi guardava, da qualsiasi angolazione io fossi. Ero stata dalle suore e quindi intrisa di misticismo.
Bastò però l’incontro con la professoressa di italiano del liceo, la signora Fossati, ardente comunista, e i ruggenti anni di lotte politiche tutto intorno, per farmi diventare laica convinta.

Laica sì ma non al punto di non richiedere l’aiuto di chi sta in alto quando ne ho bisogno.

A Ponza c’era zia Lucia, un metro e mezzo di saggezza e di bontà. Superati i 90 anni, pregava davanti alla televisione sempre sintonizzata sui programmi religiosi, da quando non ce la faceva più a recarsi alla Messa. E lei ci rassicurava sempre dicendo che a noi ci pensava lei, nelle sue preghiere.

Qui in Sri Lanka – paese a forte maggioranza e connotazione buddista – oltre alle preghiere di Jezima, rivolte ad Allah, ci affidiamo anche a Babà (che significa bambina) – così la chiamano nel villaggio di pescatori dove vive – in una casa distrutta dallo tsunami del 2004, una casa antica e bellissima che si affaccia su un placido fiume. Della casa lei occupa attualmente la veranda, ingombra di rottami di ogni genere. Quando piove è un disastro.

Il portico della casa di Baba [3]

Il portico della casa di Baba

Appartiene ad una antica famiglia nobile di Kandy, vive in assoluta povertà e passa tutti i pomeriggi al tempio buddista di Matara, elegante e con gli occhiali da sole da ragazzina (deve avere 80 anni) che le ho regalato. Non ha un dente in bocca e quando le portiamo dei piccoli panini piccanti per la colazione – se non sono di suo gradimento – non ce lo manda certo a dire, con il tipico piglio di chi è abituata ad essere servita. Un vero mito.
La incontriamo scalza che si dirige al tempio ogni giorno, portando con sé una pesante sacca che contiene tutti i suoi averi più preziosi, tra cui la radio transistor che le abbiamo regalato per ascoltare le prediche dei monaci buddisti.
Anche a lei abbiamo affidato delle ‘missioni impossibili’: la bimba che non mangia, l’amico in ospedale… si appunta il nome, lo ripete più volte e siamo tranquilli che le preghiere arriveranno a chi di dovere.

Il piccolo porticciolo al Fort di Matara [4]

Il piccolo porticciolo al Fort di Matara

Girovagando per la città di Matara – soggiorniamo nel vicino villaggio sul mare – siamo entrati nella parte più antica della città, un’enclave chiamata Fort poiché cinta da un alto muro difensivo, eretto dai dominatori olandesi.
Tra le vecchie case coloniali – per lo più cadenti – ci siamo imbattuti in una chiesa cristiano-evangelica e lì abbiamo fatto la conoscenza di Padre Herath.

Padre Herath [5]

Padre Herath

Alto, vigoroso, vestito di una tunica bianca e a piedi scalzi, ci ha fatto accomodare nel suo studio e ha preso a raccontarci del miracolo avvenuto nella sua chiesa, quando l’onda terribile dello tsunami si è abbattuta sulla città mietendo migliaia di vittime.
Persino la BBC dedicò a Padre Herath una trasmissione televisiva sul miracolo e lui poté spiegare che quello non era certo l’unico miracolo del quale fosse stato protagonista.
Ci invitò quindi a partecipare ad una funzione la domenica successiva e non ci facemmo certo ripetere l’invito.

E fu così che divenimmo habitué la domenica. La gente accorreva numerosa e intonavano canti corali di cui non capivamo un’acca. Ma si sentiva un fervore e una speranza, nello sguardo dei genitori di quel bimbo colpito da maleficio, deposto tra le braccia del padre Herath che più che pregare sembrava insultasse gli spiriti maligni, un’onda energetica e vitale che ci aveva conquistati.
Tanto che facemmo anche noi delle offerte alla chiesa, sollecitati dal padre, lampadine a basso consumo in grande quantità perché la bolletta si è fatta più cara. E al padre chiedemmo di proteggere uno dei nostri cari che in quel momento era in difficoltà, sapendo che con la sua foga e quel tono stentoreo di voce le nostre suppliche sarebbero arrivate a chi di dovere.

Tempio buddhista nei dintorni di Matara [6]

Tempio buddhista su una collina nei dintorni di Matara S.L. e (sotto) interno dello stesso Tempio: iconografia sacra

Interno dello stesso Tempio. Iconografia sacra [7]

Folla di divinità su un piccolo tempio induista [8]

Folla di divinità su un piccolo tempio induista

Nei templi buddisti si trovano sempre immagini e statue di divinità induiste, il caro Ganesh, Dio Elefante bonario e simpatico, Krishna e Parvati, la scimmia Hanuman… Ce n’è per tutti i gusti e sono Dei simpatici, coloratissimi, di cui anche volendo non capiamo mai nulla perché le loro gesta, narrate in un libro antichissimo che è un po’ la loro Bibbia, il Maharabharata, contiene tanti personaggi e tante vicende che la mitologia greca in confronto è acqua di rose.

Buddha Statue in Dondra. Southern Sri-Lanka [9]

Il grande Buddha di Dondra

C’è un tempio a Dondra molto imponente, un grande Buddha si erge ad un’altezza di più di 70 metri e alle sue spalle troviamo i vari edifici del tempio e le varie statue a cui si fa devozione. Spesso andiamo a visitare i sacerdoti – torso nudo e straccio legato intorno alla vita – che ci benedicono con una sorta di scopetta, te la fanno girare sulla testa e poi ti segnano con una crema di sandalo lo spazio tra le sopracciglia, il terzo occhio che scaccia il malocchio.

Aukana-buddha-statue in Bentota Sri Lanka [10]

Il grande Aukana Buddha di Bentota

Tanto per non sbagliare crediamo pure a quello, scopetta e terzo occhio, incenso e litanie sconosciute, che però basta crederci, ti avvicinano a Dio.

Ma è alla Natura, che qui regna sovrana, che ci abbandoniamo ogni giorno, a piedi o in bicicletta, o quando nuotiamo vicino a una tartaruga che si diverte a girarci intorno per ricordarci che Dio, da qualche parte sì, esiste.

Aquilone a Polhena beach. Matara. Sri Lanka [11]

 

(*) Michael Ondaatje (Colombo, 1943) è uno scrittore singalese naturalizzato canadese, noto soprattutto per il romanzo Il paziente inglese, vincitore del Booker Prize, da cui è stato tratto l’omonimo film vincitore di 9 premi Oscar [bibliografia completa su Wikipedia ]
Nominato Ufficiale dell’Ordine del Canada (1988), con la seguente motivazione Uno degli scrittori sperimentali di maggior successo del Canada, il suo lavoro mescola il reale e l’immaginario in poesia e in prosa, ed è straordinariamente visivo, e rappresenta l’interesse per il cinema come complemento alla letteratura. Ma lui è prima di tutto un poeta il cui talento è riconosciuto in tutto il mondo di lingua inglese” [N.d.R.]

Michael Ondaatje. Book [12]