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27 gennaio 2015. Il Giorno della Memoria

di Rosanna Conte
Papavero-e-filo-spinato [1]

 

La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, “Giorno della Memoria“, al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, e coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati.”
[Testo integrale della legge del 20 luglio 2000 in cui viene istituito il Giorno della Memoria]

 

27 gennaio, giorno della Memoria!
Quante giornate sono state istituite lungo i mesi che ogni anno scorrono davanti a noi per invitarci a riflettere, a ricordare, a commemorare, a festeggiare?
Tante! e molte vogliono far emergere dall’oblio, in cui la marea di rumore del mondo globalizzato ci spinge, eventi e valori importanti di cui si spera che non si perda il senso.

Quella del 27 gennaio è la giornata in cui siamo chiamati a ricordare l’orrendo sterminio perpetrato dai nazisti uccidendo milioni di persone ( si ritiene fra gli 11 e 15 milioni), ebrei,  prigionieri politici,  slavi e russi, zingari, omosessuali, malati di mente, testimoni di Geova, esseri umani che, ancor prima di essere uccisi, venivano fatti soffrire fino allo stremo.
Aberrante!

Lo strazio vissuto da quei bambini, da quelle donne e quegli uomini di ogni età, non può essere dimenticato! Le stesse vittime sopravvissute, quelle che riuscirono a non suicidarsi dopo quanto avevano visto e sofferto, si resero conto che, anche se con grande angoscia, dovevano narrare, dovevano far sapere, dovevano testimoniare per smontare l’incredulità di coloro che non potevano credere possibile una simile mostruosità.
E dopo qualche decennio hanno dato voce ai loro racconti, hanno mostrato senza vergogna il numero impresso nella loro carne a testimonianza dell’orrendo degrado a cui erano stati ridotti, incidendo, insieme alle immagini riprese dai primi che entrarono nei campi di sterminio, una profonda ferita nella nostra anima.
A tal punto può arrivare la crudeltà umana?

Lo sterminio nazista era pianificato sia con la costruzione di campi distinti (concentramento e sterminio) che prevedevano una diversa struttura e organizzazione sia con la metodicità dei trasporti dei deportati e del loro rastrellamento.
Risale al 1933 il decreto firmato dal presidente Von Hindenburg che istituiva i campi di concentramento per gli oppositori del regime; qualcosa che in Italia dal 1926 veniva gestito col confino e col carcere.

I lager tedeschi ebbero una loro evoluzione: dal 1933 al 1936 servirono solo per gli oppositori.
Dal 1936 al 1942 furono ristrutturati ed ampliati per accogliere anche gli omosessuali, i recidivi di reati comuni e qualsiasi altro nemico del Reich, come gli ebrei, che proprio dal 1938 cominciarono ad essere deportati. In questi campi si pensava di utilizzare i prigionieri per il lavoro coatto.
Dal 1942 inizia l’ultima fase che prevede l’asservimento del lavoro coatto all’economia di guerra: si stipulavano dei veri e propri contratti fra il Ministero delle Armi e le imprese pubbliche e private per utilizzare la manodopera dei campi. Ciò rese ancora più difficile la sopravvivenza per la necessità di avere un’alta produttività che faceva eliminare l’individuo che non riusciva, anche per poco, a mantenere i ritmi di lavoro. I prigionieri erano diventati schiavi senza nessuna protezione possibile.
La nascita della fabbrica automobilistica Wolkswagen, nel 1938, deve molto a questa disponibilità perché i deportati costruirono la città che doveva ospitare gli operai. Altre industrie li utilizzarono massicciamente, specie quelle che producevano caccia e missili.

La direttiva da seguire è racchiusa in questa raccomandazione di Hans Klammer, il generale delle SS noto come “il tecnocrate dell’annientamento: Non preoccupatevi delle vittime umane; i lavori devono procedere senza sosta, e nel tempo più breve possibile.
Iniziava la fase dell’annientamento mediante il lavoro.

Nei soli campi di concentramento (non quelli in cui si veniva uccisi appena arrivati), fra il 1933 e il 1945, passarono 1.600.000 persone e ne morirono da 700.000 a 800.000 specie nell’ultimo periodo quando, oltre alla pressione per innalzare la produttività, ci furono le “marce della morte”, cioè quelle marce forzate dovute allo sgombero di un campo per l’avanzata del nemico e lo spostamento in zone più interne.

La costruzione dei campi di sterminio, creati in particolare per gli ebrei a cui furono aggiunti successivamente gli zingari, iniziò nel 1941 e fu determinata dal fatto che le uccisioni di massa che venivano perpetrate nelle varie località erano troppo visibili e creavano il problema delle masse di cadaveri da smaltire.
Il 3 settembre del 1941, ad Auschwitz, per la prima volta fu utilizzato l’ Aktion T4, lo stesso gas usato per l'”operazione eutanasia” contro i malati di mente, per uccidere 600 prigionieri russi.

Non possiamo dimenticare le sevizie del dottore Mengele che dal 30 maggio del 1943 utilizzò i gemelli che arrivavano al campo di Auschwitz per i suoi folli e disumani esperimenti, né quelle subite dalle donne per giungere alla sterilizzazione non chirurgica.

Anche in Italia, con la guerra e dopo il rastrellamento del ghetto di Roma, 16 ottobre 1943, ci furono campi di concentramento in cui venivano raccolti ebrei da inviare in Germania.

Il più grande fu quello di Fossoli, vicino Modena, da dove partì il primo convoglio il 19 febbraio del 1944 per Bergen – Belsen; e, sempre da lì, il 22 febbraio partì un altro convoglio per Auschwitz. Tanti furono i convogli che dall’Italia portarono al massacro in Germania i nostri connazionali. L’ultimo partì da Trieste il 24 febbraio 1945.

Ma l’Italia ha avuto anche un campo di sterminio, allestito dai tedeschi durante la repubblica di Salò, nella risiera di San Sabba a Trieste, dove il 4 aprile del 1944 fu messo in funzione il forno crematorio e servì non solo per eventuali ebrei non ancora rastrellati, ma anche per gli oppositori politici.
Non si può raccontare in breve tutto il male compiuto.

***

Sono passati più di 70 anni e alto è il rischio di cancellare nel giro di qualche ora le parole e le immagini di questa giornata: la nostra quotidianità, così rassicurante, ci riassorbe, distaccandoci dallo strazio che non si può non provare.
Siamo spinti a pensare che certi fatti possono accadere altrove, ma non qui, agli altri, ma non a noi… e non ci interroghiamo nemmeno sul perché e sul come si sia arrivati a quel punto.

Quando, nel 1938, furono istituite le leggi razziali, gli italiani non si indignarono. Molti ebrei che erano fascisti dalla prima ora – e per essi, come per gli ebrei decorati durante la prima guerra mondiale, furono, inizialmente fatte delle eccezioni – rimasero comunque fascisti; e qualche mese dopo, toccò anche a loro.

C’è quella famosa poesia di Brecht “Prima di tutto vennero a prendere gli zingari…” (leggi qui [2]) http://www.ponzaracconta.it/2012/02/22/prima-di-tutto-vennero-a-prendere-gli-zingari-di-bertold-brecht/ [2] che descrive molto bene il meccanismo che consente di trovarsi all’interno di una spirale che alla fine ti stritola.

“Non mi riguarda”… “Io non posso fare nulla”… “In alto ci sono quelli che devono pensarci”… e così via, sono affermazioni che aprono la strada, anzi spalancano corsie preferenziali, a chi sa bene cosa vuole fare e che può agire indisturbato.
La nostra tutela la possiamo creare noi stessi con la vigilanza, l’informazione, la caparbietà nel richiedere il rispetto non solo delle leggi scritte, ma anche e principalmente degli esseri umani.
È fondamentale tenere lontano il fanatismo, l’esaltazione e l’affidamento totale ad una sola persona, il leader, ma è molto importante anche riconoscere, nel discorso che sul piano dei diritti oppone “noi” a “loro”, il seme da cui può germogliare l’esclusione giustificata degli altri da un contesto sociale di cui pretendiamo di essere gli unici titolari di diritti.
La strada che porta all’aberrazione, inizialmente tortuosa, nel momento in cui si allarga col consenso all’esclusione, diventa un precipizio in cui cadono tutti e nessuno resta innocente.

Non illudiamoci che vivere in una democrazia costituisca di per sé una garanzia: i diritti, faticosamente conquistati dalle generazioni che ci hanno preceduto, anche col sacrificio della vita, ci possono essere tolti.
Stiamo attenti a non farli togliere agli altri, se vogliamo conservarli per noi.

Schindlers-List- per non dimenticare [3]

Dal film Schindler’s List di Steven Spielberg (1993)