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Considerazioni di fine Anno

di Pasquale Scarpati
Panorama-dei-Conti-con-lo-sfondo-del-porto.-in-primo-piano-il-tetto-della-casa-di-mia-nonna [1]

 

Gentile redazione
Non ho dimenticato il sito. Leggo sempre qualcosa ma qua e là per mancanza di tempo, come al solito. Ho scritto qualcosa alla luce di ciò che si va blaterando e ai distinguo circa l’appartenenza o meno alla comunità ponzese (nati, nativi, residenti), per sottolineare, ancora una volta, le radici, sia pur nella “cornice” della riduzione del costo del biglietto. Sarà foriero di qualcosa? Lo spero, anche se intimamente penso che andrà tutto in una bolla di sapone.

Ho saputo anche che il primo cittadino si è rivolto alla giustizia nei vostri confronti e me ne duole. Che ne dite se, oltre alle vostre foto, mettete, quali “furastieri”, anche tutte le altre di noi, “semplici” figli di Ponza? Le avete? Se vi ricordate, un po’ come in quel vecchio film “Spartacus” in cui alla richiesta del console Crasso chi fosse il ribelle, tutti gli schiavi, quasi all’unisono, si alzarono in piedi, autodenunciandosi.
Invio lo scritto ed una vecchia foto di mio fratello Carlo che si trovava, per caso, a New York, proprio il 20 di giugno del 1957. Lui era militare di leva imbarcato, quale appartenente alla banda della marina, sulla nave S. Giorgio (non quella di oggi) che faceva il viaggio inaugurale.

Spero di aggiungere altri scritti (se vi fa piacere), ma le prospettive non molto sono rosee per questo. Una mia parente ha detto che ha perso ogni speranza di vedermi a Ponza ( ha rinunciato ad invitarmi), poiché prometto sempre ma non ho avuto modo di toccare l’Isola e ciò mi dispiace. Spero di poterlo fare quanto prima.

Vi auguro Buon Anno, cordialmente
Pasquale Scarpati.

1951 [2]

Pasquale Scarpati. 1951

Considerazioni intorno al costo del titolo di viaggio della Laziomar

Come avviene un po’ dappertutto, una discussione parte, spesso, da un argomento specifico per poi allargarsi ad altri argomenti, sia pur importanti, anzi importantissimi. Questo però, può generare una certa confusione o per meglio dire la diramazione in tanti rivoli fa perdere la visione iniziale del problema. Ed è questo, a mio avviso, uno dei motivi per cui i talk show politici stanno perdendo consensi: si spazia da un argomento all’altro senza venire a capo di niente. So anche che ciò è un fatto voluto, un po’ per assecondare i gusti degli ascoltatori (un solo argomento potrebbe non essere gradito a molti) un po’ perché non si vuole oppure, nella migliore delle ipotesi, non è possibile cercare una soluzione. Non vorrei, invece, che il calo di ascolto fosse sintomo di una sorta di rassegnazione: sarebbe molto grave.

Io cercherò di tenermi, “terra terra” se volete, quindi senza troppo divagare (pur condividendo a pieno le ragioni addotte per cercare di migliorare la qualità della vita di coloro che stabilmente risiedono nelle isole tutto l’anno o, come dicono alcuni, hanno deciso di vivere colà quasi da anacoreti) all’argomento: chi sono coloro che, a mio avviso, avrebbero diritto alla riduzione (visto che esiste) del costo del biglietto del viaggio dei traghetti ed aliscafi per le isole pontine e le ragioni per cui hanno diritto a tale agevolazione.
Senza ombra di dubbio chi vive tutto l’anno sull’Isola, ha diritto alla riduzione del costo del titolo di viaggio: essi sono i veri residenti. E invece, “stranamente”, hanno diritto alla riduzione anche quelli che hanno la residenza solo e soltanto su un “pezzo di carta”. Essi, pur passeggiando numerosi su corso Carlo Pisacane sono, come già ho scritto, ghosts cioè fantasmi. Alcuni dicono, invece, che quelli preferiscono passeggiare per le strade delle Forna o sui Conti, ma anche lì nessuno li vede. Altri giurano, invece, che essi si rendono visibili solo a talune persone. E’ innegabile, comunque, che quelli amano il buio soprattutto durante il periodo invernale perché mantengono sempre chiuse le imposte; sono, altresì, estremamente parsimoniosi: non consumano, infatti, né energia elettrica né acqua. Poiché quest’elemento è vitale e non se ne può fare a meno essi preferiscono, dato l’irrisorio costo del biglietto, attraversare il mare per lavarsi sulla terraferma dove è anche più conveniente comprare nei supermercati l’acqua da bere.
E’ giusto, quindi, che costoro e per la loro parsimonia e per il loro incedere silenzioso e/o per qualsiasi altra ragione, debbano essere equiparati ai residenti in carne ed ossa!

Come al solito, anche in questo caso si aprirà una discussione: ci sarà chi sosterrà che i fantasmi esistono e chi, invece, sosterrà il contrario e si continuerà, così, all’infinito.

Però da tutta l’animata e variegata discussione generata intorno alla riduzione del costo del titolo di viaggio emerge inconfutabilmente un dato di fatto: implicitamente si ammette che il costo del titolo di viaggio della Laziomar per i non residenti che vogliono o vorrebbero vivere l’isola tutto l’anno e quindi viaggiare da e per l’ isola piu’ spesso, risulta piuttosto oneroso.

E infatti, per semplice deduzione, chi non risiede sull’Isola e però ha in animo o desiderio di accedervi più e più volte durante l’anno, deve, giocoforza, più di frequente acquistare il biglietto il cui costo, a causa della frequenza, diviene piuttosto “elevato” per le sue tasche, a meno che non fruisca di altri mezzi.

Ma chi sono quelli che vogliono o vorrebbero mettere piede sulle terre poste in mezzo al mare durante tutto l’anno o per meglio dire durante il periodo in cui sono libere dall’assalto dei “furastieri”?

E qui si genera un’ulteriore discussione: c’è chi spacca il capello con l’accetta facendo una disanima tra nati e nativi, c’è chi dice ed afferma che la riduzione del costo del biglietto incentiverebbe ad aprire case ed esercizi commerciali, in un’ottica meramente economica o per meglio dire “utilitaristica”.

A mio parere soltanto chi ha legami affettivi, di qualsiasi natura, sente il bisogno, più di ogni altro, di riabbracciare l’Isola in qualsiasi stagione.

Chi sono costoro:
Non voglio parlare di coloro che possiedono beni aviti e non sono residenti, per svariate circostanze, perché essi, a mio avviso, hanno diritto, senza ombra di dubbio, ad essere equiparati ai residenti in quanto contribuiscono, attraverso gli oneri fiscali e alle quote fisse delle utenze, al sostentamento dell’Isola. Ad essi, oltre agli affetti, si accolla anche l’onere della manutenzione dei beni per cui molte volte potrebbero aver bisogno di viaggiare di frequente lasciando il proprio lavoro. Ed questo è anche un disagio seppure “al contrario” perché non è cosa semplice conciliare questo con quello.

Né voglio parlare di quelli che le vicissitudini della vita hanno spinto lontano e, pur ai quattro angoli dei venti, non solo hanno dato lustro all’Isola ma non hanno mai mandato a mani vuote coloro che, partiti dall’Isola, si sono recati, questuanti, presso di loro: hanno generosamente dato e donato. Erano forse obbligati a versare l’obolo per onorare il Santo? Solo e soltanto un obbligo morale! Ed hanno onorato anche questo. Essi, infatti, non solo hanno elargito denaro a piene mani ( anche attraverso bollettini postali), ma hanno anche dato onore a coloro che si sono recati presso di loro. Mio fratello, ad esempio, nel lontano 1957, trovandosi, militare di leva, per la festa di S. Silverio a New York, non solo partecipò alla processione ma, quale rappresentante dell’Italia e soprattutto dell’Isola, fu invitato a sfilare in mezzo alle due bandiere quale segno di onore, di rispetto e di legame affettivo: ponte tra le due sponde dell’oceano Atlantico.

Carlo Scarpati. Una foto del 1957 [3]
E che dire del Columbus day a cui ha partecipato anche il primo cittadino. Che cosa hanno fatto i residenti per quelli che abitano lontano? Nulla, all’infuori di una semplice generale citazione in una Messa di ringraziamento. Non intitolazione di una piazza, non manifestazione in loro onore, non agevolazioni tariffarie di viaggio e, perché no, di sistemazione alberghiera o altro. Nulla, che io sappia. Ma, come al solito si pensa: tutto ci è dovuto, nulla dobbiamo; tutti devono avere comprensione di noi, da parte nostra nulla è dovuto perché…: le motivazioni di sempre! Le ricordo da quando, bambino, seguivo mio padre nei suoi viaggi sulla terraferma! Se solo si pensasse che quelli, con la loro lontananza e con i loro sacrifici, hanno immensamente contribuito anche al benessere di quelli che sono rimasti!

Ma qualcuno pensa: quelli sono troppo lontani, non possiedono né negozi, né case, né altri beni! A chi giova? A nessuno.

Quelli che abitano sulla terraferma e/o nelle vicinanze, hanno facoltà, in teoria, di poter mettere piede sull’Isola più facilmente e/o più di frequente. Specialmente coloro che risiedono nel “ridente” Lazio e che contribuiscono, volenti o nolenti, attraverso gli oneri regionali, al mantenimento delle numerose corse dei vari battelli. E invece: oltre al “danno” anche la beffa perché chi, residente nel Lazio, decide di attraversare il mare non solo paga il biglietto con tariffa intera e tutti gli altri oneri, ma è gravato dall’implicito contributo che ha già versato nella casse regionali attraverso il prelievo obbligatorio sul suo stipendio o sulla sua pensione. Così il suo titolo di viaggio risulta più oneroso di qualsiasi altro cittadino che abita in altre regioni o in uno Stato estero!
Qualcuno potrebbe dire: “questi sono discorsi gretti e meschini, privi di umanità!” Questa, a sua volta, però, non viene considerata da parte di chicchessia, sia perché i nati o nativi sono considerati apostati o traditori sia perché quando l’umanità cozza contro il “vile” denaro, essa svanisce, si dilegua nel nulla, si scioglie come neve al sole, e, come asserisce Veruccio, si arzigogolano mille pretesti per non attuare nulla o per “ menare il can per l’aia” (questa è prassi costante).
Tutti i ponzesi “furastieri”, invece, hanno in sé, da isolani, una sorta di cocciutaggine che rasenta, oserei dire, una sana “stupidità” perché, nonostante tutto, non solo rimangono abbarbicati allo Scoglio come padelle della Scarrupata, ma ancora più stupidamente, esortano i loro figli e congiunti ad attraversare il mare per prendere conoscenza del luogo dove essi videro per la prima volta la luce del Sole. Forse avrebbero fatto meglio se avessero taciuto! Ma, ostinatamente e con gioia, essi immaginano che, allorché il loro congiunto, metta piede sull’Isola qualcuno si avvicini e chieda: “Di chi sei figlio? A chi appartieni?” Racconterà un po’ della sua vita e della sua esperienza, mostrerà da dove sono partiti i suoi cari, gli narrerà racconti che lui non avrebbe mai ascoltato, gli presenterà congiunti che lui non avrebbe mai conosciuto, stringerà mani che non avrebbe mai stretto, appianando forse in questo modo antichi risentimenti, “buttando alle ortiche” l’acredine dei padri. Qualcuno, arricciando il naso, dirà: “Idee stravaganti di una persona che vive in un mondo irreale.

A Ponza tutto è cambiato: nessuno chiede più nulla e nessuno ti dà retta. Durante l’estate perché si ha da fare e non si può perdere tempo con le ciance; durante l’inverno non si può né parlare né ascoltare perché si è stanchi per le fatiche estive oppure si è indaffarati con gli iPad e con i telefonini incollati all’orecchio. Sono immagini di un mondo che non esiste più. Se anche fosse, è importante, però, che la realtà venga tastata. Come si gioisce e si apprezza maggiormente quando “si tocca con mano” ciò che si è letto sui testi o si è visto su internet, così diviene pregnante ciò che l’Isola emana, come effluvi, dal suo corpo quando lo si verifica sul posto. I profumi , infatti, si avvertono soltanto con l’olfatto e a poco serve la descrizione se non se ne ha conoscenza a priori; la consistenza, poi, si percepisce soltanto con il tatto. Per non parlare del gusto: alcuni sapori, infatti, si possono gustare solo e soltanto nella terra d’origine. Come è importante per un neonato sentire il profumo della mamma, toccare il suo corpo con le manine inermi, succhiare il suo latte, così è importante per i ponzesi “furastieri” toccare la terra natia, dove sono nati o da dove partirono i loro padri sicuramente con la “morte” nel cuore; sentire l’aria umida, l’odore delle ginestre e dell’origano dalla fragranza particolare, assaporare antiche e soprattutto peculiari ricette.
O forse neppure questo esiste più? Sarà pur rimasto qualcosa, ne sono certo.
So per certo, infatti, ad esempio, che una signora, ai Conti, produce ancora la “mostarda” e si fanno ancora i “casatielli”. Dove trovare questi sapori se non nella terra natia?
Chi può essere attento a queste gioie antiche? Soltanto colui che o le ha vissute oppure le ha sentite raccontare dai padri.
Ad altri ciò non appartiene. Costoro vagano cercando altre attrattive che forse l’Isola non è più in grado di offrire e pertanto restano delusi o, nella migliore delle ipotesi, indifferenti come quando si incrociano, per strada, persone sconosciute.
A loro rimane poco o nulla perché i “furastieri” occasionali, proprio perché tali, non amano cogliere il senso profondo dei luoghi da loro visitati; essi si accontentano, anche per la brevità del loro soggiorno, degli aspetti esteriori se non superficiali, facendo scivolare via tutto come acqua sulla pelle.

Scoprendo, pertanto, per alcuni, la realtà e/o riassaporando, per altri, tutti gli elementi dei sensi nel suo insieme, verrà percepita l’intimo dell’Isola, si radicherà il senso di appartenenza e soprattutto si perpetueranno alcuni valori.
Per attuare ciò un contributo importante può essere dato, anche, dalla riduzione del costo del biglietto del viaggio.
Alcuni auspicano, come se fosse una panacea, la presenza, durante tutto l’anno, di coloro che dopo aver rimpinguato i loro forzieri durante il periodo grasso, hanno rinserrato le porte e, come rapaci migratori, vanno a svernare altrove, spendendo colà ciò che l’Isola ha loro benignamente elargito. Ma, come Odisseo si fece legare all’albero della nave per ascoltare il canto delle sirene senza esserne coinvolto, così essi rimarranno legati all’albero dei loro interessi sulla terraferma, sordi al richiamo del biglietto “sirena”. Pertanto essi, quando la tramontana spumosa spoglia il fico e sferza la ginestra fischiante e fa rannicchiare il bimbo felice sotto le coltri e/o quando il ponente impetuoso abbraccia il ruvido scoglio dove s’infranse l’amore della tenera fanciulla, manterranno ben chiuse le loro case e/o i loro esercizi commerciali, a meno che le persone non siano incentivate a viaggiare quanto più spesso possibile (riducendo il costo del biglietto). Ma ciò esula dal mio discorso perché entrerebbero in gioco altre dinamiche e considerazioni con il rischio, però, di divagare dall’argomento focalizzato e quindi incapperei in ciò che ho scritto in premessa .

Ma mi sia lecito, però, esplicitare un’ultima considerazione.
Al parroco della parrocchia dove abito piace, durante l’omelia domenicale, coinvolgere i bimbi. Ha posto loro la domanda di rito in questo periodo: “Quale dono vuoi da Gesù Bambino?”. Immediatamente molte alzate di mano: chi diceva la felicità, chi la pace nel mondo, chi un vestitino. Un bimbo ha chiesto una maggiore attenzione da parte dei suoi genitori nei suoi confronti e un altro ha chiesto che i politici mantengano fede alle promesse. A questa richiesta è sorto un applauso spontaneo da parte di tutta l’assemblea. Si è alzato dapprima timidamente, quasi sorpreso, poi sempre più scrosciante. Indubbiamente segno dei tempi. Mi sono ricordato, allora, della promessa fatta dal governatore del Lazio all’accorato appello del sig. Spignese, nostro compaesano. Mi sembra che nulla si sia, per il momento, concretizzato. Vane ciance? Mi ostino, comunque, ad essere inqualificabile ottimista.

Buon Anno a tutti gli uomini di “ buona volontà”!

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Integrazione in immagini di Giuliano Massari (v. Commento sottostante)

Loc. I Conti (1) [4]

Loc. I Conti (2) [5]