Ambiente e Natura

Terra d’origine, terra di appartenenza

di Tina Mazzella
Appartenenza

 

Secondo le più autorevoli teorie psicoanalitiche moderne, la personalità di un individuo riceve impronte indelebili fondamentali durante i primi sei anni della sua vita, poiché ciò che avviene successivamente si configura come ripetitività e trasformazione dell’esistente.

Le esperienze affettive ed emozionali e la graduale scoperta del mondo circostante ne costituiscono il substrato essenziale sul quale si inseriscono ed interagiscono a poco a poco altri percorsi destinati ad imprimerne lo sviluppo e ad arricchirla in qualche modo, non già a cancellarne i segni o ad apportare modifiche interiori rilevanti. Ne consegue che ogni persona viene forgiata anche dal luogo nel quale nasce e trascorre la prima infanzia rimanendo legata ad esso indissolubilmente. Si può affermare che essa divenga tutt’uno non soltanto con la famiglia alla quale appartiene, ma altresì con l’ambiente fisico, culturale ed umano in cui ha modo di crescere e di compiere le prime conquiste.

Là ogni bambino inizia a percepire la realtà che gli sta intorno; impara a conoscere, ad esplorare ed a scoprire ciò che lo circonda; incomincia a comprendere e ad esprimersi. Si appropria del linguaggio e, attraverso i personaggi delle fiabe narrate da chi gli vive accanto, si costruisce il proprio mondo fantastico. Guarda il paesaggio che gli si dischiude innanzi e, senza accorgersene, lo interiorizza trasformandolo poi nello sfondo dei sogni e delle fantasie e nell’oggetto di una perenne nostalgia, qualora debba allontanarsene. Quando poi vicende personali lo condurranno lontano, egli si porterà dentro l’essenza della sua terra, linfa vitale che, al pari di una pianta, ne ha alimentato la crescita e ha contribuito a strutturarne il carattere.

Molte persone, originarie di un’isola priva di risorse e distante parecchie miglia dalla terraferma qual’è Ponza, pur se costrette ad abbandonarla, se la portano nell’anima e non riescono a spezzare l’antico legame. Da qui scaturisce il bisogno di ritrovarla e di ritrovarsi, il desiderio di partire per poi ritornare, l’esigenza di condividere esperienze e sentimenti e di recuperare il passato per salvarne la memoria dalla distruzione del tempo. Del resto, proprio coloro che sono stati deprivati di qualcosa in cui si sentono profondamente radicati ne avvertono più forte la mancanza e si sforzano in ogni modo di aggrapparsi anche ai brandelli di ciò a cui hanno dovuto rinunciare.

Per quanto mi riguarda, trasferita altrove da antica data, porto impresso dentro di me il temperamento un po’ schivo della gente isolana e nel contempo una visione alquanto scanzonata della vita, aspetti contraddittori di un’indole influenzata dalla repentina mutevolezza degli elementi che caratterizzano il clima ponzese.

Come dimenticare il lieve fruscio del mare dei giorni di bonaccia, l’impetuoso frangersi delle onde sulle spiagge e sulla scogliera durante le tempeste, o il subitaneo apparire del sole e l’ululato rauco del vento delle sere autunnali!

Nonostante la scarsa consuetudine con il lessico parlato nell’isola, ne conservo viva la comprensione e la musicalità delle espressioni e delle parole. Le figure mitologiche della mia infanzia – ‘u Mammone, ‘u Munaciello, Parasacco, Pagliarino, ‘i Ianare e Maria Lanterna – restano scolpite nella mia mente.

Il ricordo della gente ponzese rimane incancellabile, il ricordo dei miei nonni pescatori e contadini come la maggior parte degli isolani di un tempo, uomini semplici ed operosi disposti a compiere qualsiasi sacrificio, anche a partire alla volta di terre sconosciute, pur di assicurare ai figli un avvenire meno precario e più dignitoso.

In tutto questo e forse in molto altro ancora è possibile rinvenire la mia “ponzesità”, e poco conta l’assenza fisica dai luoghi dell’infanzia.

Se questo non dovesse bastare, vale la pena sottolineare che le spoglie di buona parte delle persone a me care, i resti delle persone nelle quali affondano le mie radici, riposano nella mia terra d’origine, la qualcosa rafforza ancor più la mia appartenenza ad essa.

5 Comments

5 Comments

  1. vincenzo

    28 Dicembre 2014 at 12:53

    Cara Signora Tina,
    guardi che questa inutile discussione sull’appartenenza è stata introdotta dalla cattiva politica, per avvelenare ulteriormente il brodo di cultura ponzese.
    La cattiva politica divide perché non ha un progetto, non ha un’idea di isola ma solo parziali visioni che non risolvono il problema.
    E il problema è salvare la residenza, cioè salvare gli ultimi ponzesi che ancora resistono a vivere in quest’isola.
    Sempre più ponzesi ogni anno lasciano l’isola: se andranno via tutti, chi li sostituirà? Che cosa diventerà l’isola?

    Guardi che lei è fortunata perché la sua appartenenza all’isola è diventata un mito che la soccorre in ogni momento della sua quotidianità, al contrario di chi ha trascorso oltre la prima fase dell’acquisizione delle nozioni sensitive, poi costretto ad elaborare atteggiamenti da regole e conformare le sue sensazioni a quelle degli altri alle elementari e poi ancora nell’adolescenza ha scoperto di essere solo a dover specchiarsi non più in se stesso ma in volti di altri adolescenti e scoprire che sono molto diversi da sé e infine, con quell’abbozzo di personalità, costretto ad assumersi responsabilità in un contesto sociale fragilissimo.

    Cara Signora, lei si riconosce nei ponzesi che esistono ancora in questa isola o solo nei ricordi inoculati nei primi anni di vita e mitizzati da elaborazioni mature?

    C’è un amico ormai maturo che continua a mitizzare la cultura contadina isolana e, al contrario, a sputtanare tutto ciò che è venuto dopo dimenticando quello che dicevamo prima: che in una società democratica le cose si trasformano, non subiscono metamorfosi kafkiane.

    Ma al di là dell’evoluzione delle personalità il problema è molto semplice.

    Se nella sua città, lei aspetta alla fermata un autobus che non arriva, lei si inquieta, chiama il vigile; se la cosa si ripete, parla con i cittadini del quartiere fa un comitato e manda una lettera al Sindaco sollecitando la risoluzione del problema.
    Bene qui, in quest’ isola anche si fa così! Non parte la nave, non arriva la posta, internet non funziona, non possiamo farci le analisi cliniche, alla scuola mancano i riscaldamenti, abbiamo bisogno di un lavoro ecc, ci rivolgiamo al Sindaco: facciamo male?

    In questo contesto io che cosa aggiungo?

    Ragazzi qui se continuiamo così a difendere solo la qualità della vita quotidiana e non ci mettiamo insieme per comprendere la fragilità del sistema che ci sta portando ad abbandonare l’isola, noi perderemo la nostra isola, che sicuramente è di tutti i ponzesi, che sicuramente è dell’umanità …ma quest’isola, così com’è, in questo momento, la devono conservare i ponzesi che la vivono.

    Cara Signora sto cercando di dire quello che lei direbbe in un’assemblea del suo quartiere se qualcuno le volesse togliere la fermata di un autobus, oppure il parco pubblico….
    Io penso che tutti i ponzesi che ci tengono all’isola dovrebbero sostenere questa teoria, quella di salvare il salvabile intorno agli ultimi ponzesi, magari prospettando una loro idea di isola, prospettando una loro idea di problemi strutturali ma senza polemiche ideologiche.

  2. Silverio Tomeo

    28 Dicembre 2014 at 19:23

    Vincenzo, esplicita una volta per tutte la tua idea di fondo, l’idea soggiacente, come si dice in letteratura. Salvaguardare la residenza? Ebbene, lo si può fare esattamente opponendosi all’idea dell’isola-azienda-turistica e immobiliare. Quindi opponendosi ai populismi autoritari che a quanto sembra lì non mancano. Opponendosi e vigilando sulle possibili oscure collusioni con i clan dei casalesi o della mafia romana. Opponendosi anche a investitori d’affari per centinaia di posti barca e mega-strutture d’appoggio, eventualmente.
    I residenti tutto l’anno hanno qualcosa in più? Certo: la responsabilità civica, ambientale, politica nel senso primigenio del termine: cura della città (in questo caso villaggio-isola). Hanno in più anche i bisogni della residenza, ovviamente. Ma non hanno alcun diritto maggiore dei votanti non residenti tutto l’anno, né tanto meno hanno maggiori diritti per decidere sui destini futuri dell’isola come bene comune. Se, per paradosso, i residenti tutto l’anno decidessero a maggioranza che per campare meglio vanno cementificate le coste e le calette, venduti i ciottoli di Palmarola e la sabbia di Chiaia di Luna, sbaglierebbero di grosso. Se pensassero che l’isola gli appartiene in senso proprietario, mentre a noi esuli ci appartiene solo in senso poetico, sbaglierebbero. Se volessero auto-costituirsi in una comunità gretta e chiusa, sbaglierebbero. La dialettica democratica prevede la pluralità, il conflitto, le alternative.
    Mi sa che sotto sotto vagheggi come una lega unitaria, un listone unico, un consiglio d’amministrazione d’azienda che prenda in mano, anche amministrativamente, i destini dell’isola in nome della comunità residente tutto l’anno.

  3. vincenzo

    29 Dicembre 2014 at 12:00

    Qualcuno continua a dirmi: “ma perché perdi tempo con quel Silverio, quello vive ancora al di là del muro”.

    Silverio, forse hanno ragione tu non ascolti gli altri, non ti interessa ascoltare, non ti interessa capire, non ti interessa neanche di far conoscere, la tua idea di isola.

    Tu caro compagno, hai dei preconcetti e sulla base di questi ti inventi scenari, e quindi come un piccolo Brecht sviluppi le tue rappresentazioni teatrali dove c’è il Principe, il consigliere del Principe, e tanti, tanti commensali pronti a baciare la mano del padrone.

    Tu sei o sei stato docente? Bene che cosa avresti detto ad un tuo studente se questi avesse detto: “mi sa che sotto sotto professò lei ci sta strumentalizzando, lei ci sta dicendo che è meglio un giorno da leone che cento da pecore “. Io penso che ti saresti messo le mani nei capelli e avresti detto: “ragazzo ma da dove desumi che io voglia indicarti la via della droga?”

    Ecco, tu fai come quel ragazzo e come lui sbagli! Diventiamo seri, io ho scritto moltissimo addirittura ti ricorderai che mi sono fatto un autointervista e lì c’è descritta la mia idea di governo, per cui io non voglio parlare con te più sulla base dei preconcetti. Voglio invitarti ad elaborare idee per uno sviluppo economico e sociale per l’isola e solo su quello che potrà essere utile a salvare non solo l’idea di isola che hai ma anche di individuare i veri nemici di questa idea ed eventualmente i compagni di viaggio: solo su questo ti seguirò. E come vedi io rimango lontano dal leghismo, tant’è che mi interessa apprendere concetti anche da chi crede di vivere ancora al di là del muro.

  4. Silverio Tomeo

    29 Dicembre 2014 at 13:31

    Vedi, la discussione diventa inutile perché aleatoria e ripetitiva. Fai attenzione a non “lavorare per il Re di Prussia”, come si diceva una volta, magari inconsapevolmente. Questo è il riferimento storico che ho trovato in Rete per questa espressione: http://www.bdtorino.eu/sito/articolo.php?id=13560.

  5. vincenzo

    29 Dicembre 2014 at 17:05

    “Di qui la frase “travailler pour le Roi de Prusse” (lavorare per il Re di Prussia) che significava lavorare per niente e quindi anche beffardamente al proprio rovinoso danno o, in una visione più generalizzata, per una persona ingrata”.

    Ma secondo te Lenin per chi ha lavorato? Per Stalin?
    Gramsci per chi ha sofferto? Per Togliatti?
    Falcone e Borsellino? Per Ingroia?
    Obama per chi lavora? Per le multinazionali?
    Papa Francesco per chi lavora? Per l’avvento di nuove crociate?

    Il buon Renzi salutando i giornalisti ha detto: “Può succedere che si fallisca ma sicuramente non dobbiamo permettere a nessuno di dire che non ci abbiamo provato a non farla fallire”.

    Sono d’accordo con te la discussione tra di noi è inutile a meno che non cominci a parlare di idee, ma che siano tue, senza viaggiare in rete.

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