Ambiente e Natura

Alimentazione. Dalla ‘menesta ammaretata’ alla pastasciutta (1)

di Rosanna Conte

 

‘A menesta ammaretata, che come i ponzesi affonda le sue radici nella cultura partenopea, è stata ed è ancora, in molti luoghi campani, il piatto tradizionale della festa ed arricchisce sia la tavola natalizia che quella pasquale. È un piatto che nella accoppiata carne-verdura si presenta ricco di sostanze nutrienti, ma la sua preparazione richiede impegno e questo non collima con i tempi concitati della vita di oggi.

A Ponza si preparava, preferibilmente, nella giornata di Santo Stefano, ma nel casertano è tassativo consumarla il lunedì in albis.

Diciamo subito che si fa con diversi tipi di verdure – minimo quattro, fra broccoli neri, borragine, scarola (quella piccola), cavolo, verza, cicoria, bieta – e con la carne di maiale – obbligatorie le ‘tracchie’, le salsicce e la cotica -, ma con i rimaneggiamenti avvenuti nel corso dei secoli, ci possono essere anche pezzi di pollame e manzo.

Minestra maritata

Le origini di questo piatto, detto nel ‘600 pignato ammaretato, risalgono molto indietro nel tempo se nel XVI secolo faceva già la concorrenza alla olla podrida, similare pietanza spagnola che significa letteralmente pentola imputridita e che utilizzava i legumi invece della verdura.

Olla podrida

Gli ortaggi – verdume o erva – erano una parte fondamentale dell’alimentazione partenopea, ma fra essi preponderanti erano i diversi tipi di cavolo che, come attesta il Della Porta (1535-1615), era chiamato foglia, da cui deriva l’epiteto di mangiafoglie molto usato fra il XVI e XVII secolo per indicare i napoletani.

Giambattista_della_Porta

Giambattista o Giovambattista Della Porta (Vico Equense, 1535 – Napoli, 1615), è stato un filosofo, alchimista, commediografo e scienziato italiano. Nella sua vasta produzione e interessi si annoverano anche libri sulle coltivazione delle piante e sulle tradizioni popolari

Come e quando questa pietanza è entrata nella dieta popolare?

Per i ceti umili, dai contadini ai poveri delle città, il gusto per i cibi non è mai dipeso da una libera scelta, ma dalle necessità dettate dalla fame e, nell’arco dei secoli, spesso ebbero a disposizione pochissima carne.
Ogni qualvolta è capitato, hanno dovuto far fronte allo stomaco vuoto con quanto potevano disporre.

Intorno all’anno Mille (1), quando la carne per i poveri si ridusse al solo pollame nei giorni di festa, le verdure divennero certamente la pietanza fondamentale, ma per far fronte alla fame ci si rivolse al pane che, così, entrò massicciamente nella loro dieta.

È probabile che sia stato questo il periodo favorevole al miscuglio carne-verdura per creare il piatto della festa, quindi dell’evento eccezionale.

Nella seconda metà del ’300, dopo la terribile crisi culminata nell’epidemia della peste nera, che da sola falcidiò un terzo della popolazione europea, nella dieta dei poveri tornò l’uso della carne e questo deve aver favorito, nei secoli successivi, il passaggio della “menesta ammaretata” da pietanza di momenti eccezionali a pietanza comunemente diffusa nell’area napoletana.

A metà ’500, di nuovo diminuisce il quantitativo di carne a disposizione della dieta dei poveri (2), in particolare a Napoli, dove il sovraffollamento demografico dei primi decenni del secolo, provocò una grande penuria alimentare a cui i governanti spagnoli non diedero risposte ed i ceti popolari urbani e i contadini ripiegarono sui cereali aumentando il quantitativo di pane nero, quello fatto con spelta o segale, per riempire lo stomaco e far fronte alla fame.

Ma accanto a questo pane nero e alle farinate di legumi, pure molto diffuse, cominciò a farsi spazio la pasta. Altrove, dove ci si rifugiò nelle nuove piante provenienti dall’America, che avevano un’alta produttività, si ricorse alla polenta (fatta col mais) o alla patata.

Patate
Come cambiò l’alimentazione in Europa in relazione all’introduzione di piante dal Nuovo Mondo richiederà un ulteriore approfondimento. Basti pensare che prima della scoperta dell’America (1492) e per decenni ancora, prima che la coltivazione e l’uso di diffondessero, il pomodoro (Solanum lycopersicum) non esisteva in Occidente (né in Oriente, peraltro). E la stessa assenza riguardava il peperoncino, di cui i meridionali vanno così fieri – come anche gli indiani dell’India -, invece la sua introduzione è relativamente recente.
Anche la patata (Solanum tuberosum) ha un’origine sud-americana e si diffuse in Europa solo dopo che lo spagnolo Fernando Cortés ne portò degli esemplari dai suoi viaggi.
Discorso simile per il mais.

Ma saranno punti successivi che affronteremo e allargheremo…

spaghetti-al-pomodoro

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(1) – Intorno all’anno Mille ci fu una ripresa della produzione agricola che si realizzò attraverso la rotazione triennale delle colture sul terreno coltivato. Per questo furono sottratte alle aree boschive e ai prati superfici sempre maggiori con la conseguente diminuzione della selvaggina la cui cattura divenne appannaggio dei soli signori.

(2) – C’è una stastistica ricordata dallo storico Braudel ricavata dalla lettura di dati riguardanti una cittadina francese, Montpézat: dai 18 macellai presenti in città nel 1550, si arriva a 10 nel 1556, a 6 nel 1641 e a 1 nel 1763.

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[Alimentazione. Dalla ‘menesta ammaretata’ alla pastasciutta. (1). Continua]

 

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