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Pianeta Benthos (1)

di Adriano Madonna

benthos [1]

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Il benthos è l’insieme delle forme di vita presenti sul fondo. Ci sono diverse categorie di benthos, con differenti condizioni ambientali e vari tipi di substrato.

Il fondo del mare e le sue strette vicinanze costituiscono quell’habitat particolare dove vivono specifiche forme animali e vegetali, che, nel loro insieme, prendono il nome di benthos. Ovviamente, queste forme di vita presentano caratteristiche specifiche, secondo la regola “l’ambiente fa la specie”. Gli animali che vivono sul fondo, infatti, sono ben diversi da quelli della dimensione pelagica, cioè viventi lontani dal fondo, in acqua libera. Volendo fare un esempio che colga questa differenza, potremmo comparare uno scorfano, tipico pesce bentonico,

scorfano 1 [2]

con un tonno, specie notoriamente pelagica.

tonni [3]

Lo studio del benthos, dunque, nelle sue varie espressioni, considera essenzialmente il rapporto tra le varie specie e il substrato costituente il fondo del mare, considerando che i limiti tra benthos e pelagos non sono netti, per il semplice motivo che molto spesso alcuni organismi considerati bentonici conducono una fase della loro vita nella dimensione pelagica e viceversa. Ne sono un tipico esempio tutti quegli animali bentonici che nella loro riproduzione presentano uno stadio larvale. Le larve, infatti, di solito sono planctoniche prima di scendere sul fondo ed effettuare la metamorfosi che costituirà l’individuo con caratteristiche definitive. Ma vi sono addirittura degli organismi che conducono vita bentonica o pelagica in funzione del giorno e della notte. Ecco, dunque, perché la “frontiera” tra benthos e pelagos non è ben definita, bensì abbastanza oscillante.

benthos 5 [4]

Parlando di benthos, ci sembra opportuno fare innanzitutto una distinzione tra i vari tipi di substrati costituenti il fondo, poiché esiste una interdipendenza tra la vita marina bentonica e la natura del fondo per quanto riguarda tutti i suoi aspetti (ecologici, morfologici ecc), che assumono il nome di fattori edafici.

Substrato duro e molle

Innanzitutto, il substrato può essere duro o molle. Il substrato duro, come si intuisce, è un substrato stabile per quanto riguarda la consistenza. Un tipico substrato duro è quello roccioso, ma anche un relitto sommerso è un substrato duro e sappiamo bene come un relitto diventi un ottimo sito di colonizzazione di innumerevoli specie bentoniche (i relitti sommersi nei mari tropicali sono coloratissimi giardini di spugne e coralli).

relitto come tane [5]

Ma sono substrati duri anche i pali o i piloni di un molo, le ancore abbandonate sul fondo e addirittura le carene delle barche, che ospitano tutte quelle forme di vita incrostante comprese nel nome generico di biofouling.

relitto di catene [6]

Il fondo molle, invece, substrato decisamente importante nello studio della biologia marina, è quello fangoso o sabbioso, ma si possono fare mille distinzioni tra i vari substrati molli, in base innanzitutto alla granulometri

a (esistono sabbia grossa, sabbia fine, mota sottilissima etc.), e poi anche in base a ciò che è presente nei sedimenti, come minerali, inquinanti pesanti etc. Potremmo dire, dunque, che esiste una importantissima “chimica dei sedimenti”, e questa, è ovvio, influenza il benthos in maniera determinate, tant’è che nello studio di molti fenomeni viene effettuata l’analisi dei sedimenti.

Tra i substrati molli e quelli duri ci sono i substrati detritici, con una granulometria tale da poter essere a volte più vicina ai fondi duri, quando gli elementi del sedimento sono sufficientemente pesanti da non essere smossi dalle correnti. I fondi detritici sono molto importanti per quanto riguarda la cosiddetta epifauna, cioè gli animali che vivono sul substrato: infatti, la stabilità di questi fondali consente la costituzione di un benthos ugualmente stabile, quindi un ecosistema durevole.

È interessante considerare che nell’ambito di un substrato molle, oltre a quegli organismi che ci vivono sopra, ce ne sono tanti altri che ci vivono dentro (i pescatori di cannolicchi e vongole lo sanno bene!): esistono, infatti, tanti organismi che vivono dentro il sedimento, tra cui diversi molluschi, come i succitati bivalvi (tutti comunicano con l’esterno estendendo sino alla superficie del sedimento i sifoni inalante ed esalante), e alcuni policheti, come le arenicole, che scavano nel fango e nella sabbia un canale a forma di “U”. Gli organismi bentonici viventi nel substrato costituiscono l’endofauna, ma esiste anche un’endoflora, fatta di organismi vegetali, così come, parallelamente alla succitata epifauna, esiste una epiflora dei fondali molli. La posidonia, le varie specie di caulerpa, la cimodocea etc., ne sono noti rappresentanti.

cimadocea [7]

Organismi del benthos

Ogni tipo di substrato ha una sua fauna e una sua flora, dipendentemente non solo dal tipo di fondo, ovvero se sia duro, molle o detritico, ma anche da altri fattori, come la profondità, che condiziona anche la penetrazione della luce.

In superficie, ad esempio, c’è un forte idrodinamismo, causato principalmente dal moto ondoso, che in determinate situazioni può esprimere una energia immensa, con effetti addirittura distruttivi (vi sono rocce di superficie che esplodono addirittura a causa dell’aria che onde fortissime comprimono dentro buchi e interstizi). Scendendo in profondità, gli effetti del moto ondoso si attutiscono, fino a scomparire, e l’idrodinamismo è dato solo dalle correnti marine.

scogliera denudata dei datteri di mare [8]

Da ciò si deduce come la vita bentonica di superfcie debba essere una “vita speciale”, che faccia fronte con successo alle situazioni più estreme. Ecco perché, ad esempio, molluschi come le patelle (Patella sp.), che vivono sullo sfioro di marea e sono fortemente investite dalle onde, sono piatte, poco sporgenti e dotate di un piede in grado di aderire al substrato roccioso in maniera così “granitica”. Sulla valva della patella, infatti, l’acqua scivola e non trova asperità sulle quali fare leva. Lo stesso si dica per i datteri di mare (Lithophaga lithophaga), i famosi litodomi (letteralmente, viventi nella pietra), che nei primi strati d’acqua, dove il moto ondoso si fa sentire con il massimo della sua forza, addirittura si scavano un foro cilindrico nella roccia, corrodendo il calcare: un rifugio a prova di burrasca!

dattero di mare [9]

Similmente, la Teredo navalis vive in “gallerie” che scava nel legno ed era, un tempo, il terrore degli armatori di brigantini e velieri.
Ancora nella prima fascia d’acqua, ecco alcune specie di spugne, ma, non a caso, spugne incrostanti, cioè “piatte”, basse sul substrato, non sporgenti, tali da non poter essere divelte dai marosi: praticamente la stessa “tecnica da patella”. Le spugne di diverse conformazioni, come le axinelle ad alberello e quelle a canne, le globose demosponge, le troveremo più giù, dove il mare è più tranquillo.

axinelle ad alberello [10]

In base alla diversa quantità di luce e alle sue varie bande in funzione della profondità, vi sono organismi bentonici fotofili e sciafili e qui la distinzione è facile: i fotofili sono quelli che vivono in ambienti luminosi, gli sciafili in ambiente oscuro, ma si potrebbero dividere gli uni e gli altri in diverse categorie dipendenti dai vari livelli di luminosità (tanta luce, poca luce, pochissima luce…). Per dirla in maniera spicciola, tra l’oscurità e la luce esiste anche la penombra e vi sono tanti organismi bentonici che la prediligono. Molte spugne ne sono un esempio, tant’è che se ne trovano spesso in abbondanza nel primo tratto delle grotte sommerse (che i subacquei chiamano “angigrotte”), proprio là dove la luce “arriva e non arriva”.

grotta sottomarina [11]

Medio, macro e micro

Relativamente alle dimensioni, il benthos si divide in microbenthos, macrobenthos e meiobenthos. La classificazione secondo i parametri dimensionali prende come termine di paragone il meiobenthos, cioè la “via di mezzo”, indicando come appartenenti a questa categoria tutti gli organismi che passano in filtri da 0.5 a 0.062 mm. In base a ciò, si definisce macrobenthos quello costituito da organismi superiori a 0.5 mm e microbenthos l’insieme di organismi più piccoli di 0.062 mm.
L’epifauna, l’insieme di quegli organismi che vivono sopra il substrato, sia esso molle o duro, può essere sessile, sedentaria o vagile. L’epifauna sessile è quella ancorata in maniera definitiva al susbstrato, senza possibilità di effettuare spostamenti, come le cozze (i mitili); l’epifauna sedentaria è costituita da organismi in grado di effettuare solo lenti e brevi spostamenti, come le attinie, i ricci di mare, le stesse patelle; l’epifauna vagile, infine, è costituita da quegli animali che si muovono strisciando, come i nudibranchi e i polpi,

polpo che cammina [12]

oppure deambulando grazie ad appendici articolate (zampe), come quelle dei granchi e dei gamberi.

granchio corridore 1 [13]

Esiste, poi, una categoria di epifauna natante, con organismi che si spostano sul fondo nuotando, pur stazionandovi per la maggior parte del tempo, come la lepre di mare.

OLYMPUS DIGITAL CAMERA [14]

In precedenza, distinguendo la fauna bentonica da quella pelagica, abbiamo detto che alcuni organismi possono avere stadi di vita bentonici e stadi di vita pelagica, come quelli che presentano uno stadio larvale dopo la riproduzione. Seguiamo un attimo il percorso di queste larve, considerando che durante la loro vita pelagica sono in balia dei moti del mare e possono essere trasportate lontano dai luoghi d’origine. Quando, poi, stanno per effettuare la metamorfosi, scendono verso il fondo e qui, se non trovano condizioni propizie, ovviamente muoiono. A questo punto, però, si può assistere a un vero “colpo di mano” di madre natura: le larve, infatti, possono, entro certi limiti, anticipare o ritardare il momento della metamorfosi a seconda se si trovano a “sorvolare” un fondale “ostile” o “propizio” alla loro sopravvivenza. Si deve questo fenomeno alla presenza o meno di metaboliti appartenenti a organismi della stessa specie già preesistenti in quella zona. In questo caso, dunque, il fondo del mare può esercitare sulle larve un’azione attrattiva o repulsiva, e questa è una delle mille e mille strategie di sopravvivenza osservabili in natura.

Poniamoci, adesso, una domanda: quali sono, come e perché sono fatti in determinati modi gli organismi bentonici?

La chiacchierata che abbiamo fatto è stata una sorta di preparazione a una trattazione delle forme di vita costituenti il benthos: ci siamo soffermati, infatti, a considerare natura e caratteristiche di vari tipi di substrati, verificando che la natura del fondo è fortemente determinante per quanto riguarda le caratteristiche degli organismi che lo popolano. Ritorna, quindi, quel concetto base della biologia, che dimostra come “l’ambiente faccia la specie”, e questo legame è talmente stretto che nel momento in cui l’ambiente dovesse cambiare, anche le specie, per sopravvivere, dovrebbero evolversi di conseguenza.
Ogni specie, dunque, è il risultato di una serie di mutamenti di specie precedenti dovuti a trasformazioni dell’ambiente e a conseguenti necessità vitali. Ciò spiega perché tanti animali primitivi non esistono più, ma esistono i loro discendenti. Non dimentichiamo la “scala filogenetica”, i vari gradini della scala dell’evoluzione che dai pesci portano sino all’uomo: pesci, anfibi, rettili, uccelli, mammiferi.

Ritorniamo alla vita bentonica, considerando che ogni suo philum biologico presenta, relativamente a ogni classe, ordine, famiglia e specie, caratteristiche somatiche e fisiologiche ad hoc, per vivere nei vari tipi di ambiente nella maniera migliore. Per fare un esempio che spieghi con chiarezza questo concetto, prendiamo in considerazione un’aragosta. Questo crostaceo presenta un carapace (guscio) allungato e metamerizzato, cioè diviso in segmenti uguali e tra loro articolati. Questa caratteristica non è un capriccio di madre natura, ma ha una sua logica ragione: l’aragosta è un animale reptante, cioè si sposta sul fondo servendosi di zampe, ma il fondo non è piatto, bensì presenta asperità, dossi, ostacoli e dislivelli.

aragosta [15]

Un organismo di forma allungata e rigida, cioè con il corpo non articolato, non riuscirebbe a muoversi bene, poiché la sua forma non sarebbe sufficientemente snodata da seguire e superare agevolmente le irregolarità del fondo. Al contrario, i granchi, anch’essi crostacei, non presentano una segmentazione del carapace articolata come nei gamberi poiché hanno forma tondeggiante, decisamente più “comoda” per muoversi sul substrato, anche velocemente.
Inoltre, i granchi sono caratterizzati da branchie contenute in camere chiuse, che danno loro la possibilità di una respirazione aerea, come gli anfibi, quando si spingono fuori dall’acqua, nella fascia del mesolitorale (la linea di costa bagnata dal flusso di marea).
Ci sembra interessante aggiungere che i granchi mostrano forme comportamentali abbastanza elaborate e ciò li colloca a un livello psichico più evoluto rispetto a tutti gli altri crostacei.
In ragione di queste forme diverse del carapace, i gamberi, gli astici, le aragoste vengono classificati come crostacei macruri, i granchi come crostacei brachiuri.

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[Pianeta Benthos (1) continua]

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Dott. Adriano Madonna, Biologo Marino, ECLab Laboratorio di Endocrinologia Comparata, Dipartimento di Biologia, Università degli Studi di Napoli “Federico II”