Ambiente e Natura

Dall’isola: un mondo nuovo

di Francesco De Luca
Un film di Alberto Negrin

 

Ho visto il filmTV Un mondo nuovo, grazie al suggerimento insito nell’articolo di Rita Bosso. Il che mi induce a congratularmi con la Redazione che offre anche una possibilità di arricchimento culturale.

Il film, l’ho visto al computer, da solo, con la voglia di capire quel miracolo ideologico che è stato e che resta tuttora il Manifesto di Ventotene.

Non mi soffermerò né sulla tematica del Manifesto né sul modo attraverso cui il film tv lo ha rappresentato. Da isolano residente in Ponza sono stato colpito da come quegli spiriti raffinati dallo studio e dalla coscienza politica volta al sociale, hanno giudicato l’ isola, ovvero il luogo del loro esilio coatto, un posto dove più forte può presentarsi l’anelito alla libertà. L’isola come luogo adatto a nutrire l’aspirazione alla libertà.

Può apparire retorico detto da me, lo capisco, ma a sottolineare questa condizione dell’anima sono stati Ernesto Rossi, la moglie, Altiero Spinelli, e altri.

Un mondo nuovo poteva essere sognato e poi rappresentato idealmente e perseguito nelle decisioni politiche soltanto se si vive in un’isola.

Certo, il film, per sua funzione, sottolinea ed evidenzia certe affermazioni per carpire l’animo dello spettatore e farsi apprezzare. La sua enfasi è scontata, sì, ma è anche ancorata ad un elemento che non di rado si manifesta nei pensieri di coloro che riflettono sulla condizione dell’isolano. Di lui la cui permanenza è temporanea e costretta. Non dell’isolano nativo. Ho scritto bene: non dell’isolano nativo.

L’aspirazione ad una condizione mentale sciolta dai legami della quotidianità, per una libertà di coscienza netta, non è uno stato psichico proprio dell’isolano nativo.

La storia dell’isola di Ponza, quella passata e quella recente, non mostra questi caratteri nella comunità. Così come non sono emersi nelle individualità personalità che si sono opposte allo strapotere ora della Chiesa, ora del Sindaco, ora dei Notabili di turno.

Eppure la socialità ridotta, l’isolamento continuato, il rapporto stretto fra la propria intimità e la razionalità ( indotta dall’isolamento ), con in più l’ausilio degli elementi naturali, la cui presenza si manifesta nell’assoluta incontrollabilità, tutto questo, dico, dovrebbe, alimentare la libertà di spirito, l’aspirazione ad un giudizio incondizionato. Non è così.

Peccato.

Dietro il filo spinato

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