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L’isola di Wight vista da… una collina

di Gabriella Nardacci

 

Ho letto con vera partecipazione e con tanta nostalgia le tre puntate sull’isola di Wight che Sandro Russo ha pubblicato su questo sito. Bellissime pagine che ho molto apprezzato e che mi hanno fatto tornare alla mente quegli eventi, dalla mia semplice prospettiva di “provinciale”. Un complimento a Sandro per aver raccontato con passione e maestria, eventi storici che noi, giovani di allora, avremmo meritato di vivere dal vivo.
G. N.

 

L’isola di Wight vista da… una collina

Giancarlo, il nostro amico con la chitarra sempre a tracolla, ci comunicò che sarebbe partito con gli elementi della sua band, per l’isola di Wight.
C’era il suo idolo Bob Dylan e per niente al mondo, avrebbe rinunciato a quel concerto. La sua partecipazione all’evento ci aveva emozionato tanto che tutti i nostri discorsi ruotavano intorno a questa notizia e partecipammo tutti alla sua organizzazione per il viaggio.

Giancarlo e i suoi amici partirono e noi restammo dove eravamo e cioè intorno alla provincia e nel paese. Ci ubriacavamo di sogni ad occhi aperti e cercavamo di sperimentare una forma di libertà e di protesta con quel poco che avevamo.

Bob Dylan nel '69 all'isola di Wight [1]

L’esibizione di Bob Dylan nel ’69 all’isola di Wight

Era l’estate del 1969 ed ero ospite di una mia amica di studio, nella sua casa al mare. Avevo la mia bella comitiva che tanto somigliava a quella gioventù che si vedeva in televisione. C’era Giancarlo con la sua band che ci cantava le canzoni dei Dik Dik, dei Rokes, dei Beatles, dei Rolling Stones, di Joan Baez, Bob Dylan… e c’eravamo noi che discutevamo una politica nuova, che pensavamo alla marcia della pace, all’amore libero e a come vincere sui pregiudizi dei nostri genitori.

La trasgressione era “nascosta” nel mostrare i seni nudi al sole tra le barche ferme sulla spiaggia, nel fare cineforum e discutere su Bergman, nel semplice “cazzeggiare” in piazza e nell’organizzare qualche falò sulla spiaggia in attesa dell’aurora.

Spiaggia. Falò [2]

Giancarlo tornò dall’isola di Wight, quattro giorni dopo il concerto. Soldi non ne aveva per restare ancora là. Il suo ritorno fu una festa per noi. Mi ricordo che trascorremmo un giorno intero ad ascoltare il resoconto della sua esperienza. Ci parlò di tanta musica ma anche di “fumo”, di nudismo, di condivisione. Tutti avevamo sempre una nuova domanda da fare e come viaggiatori sedentari, apprendemmo una realtà che fino ad allora avevamo sempre pensato fuori di noi, “dentro la televisione”, nell’idea e non nella realizzazione. Sarebbe stato un “reato” portarla dentro casa nostra e nessuno di noi voleva rischiare di perdere quella poca libertà conquistata con fatica.

Finiva anche quella vacanza al mare e me ne ritornavo al paese per un po’ di giorni ancora prima di ripartire per la città dove studiavo.

Al paese si sentiva lo stesso l’eco delle grandi “rivoluzioni”. Le notizie e le immagini che la televisione riportava, non ci aiutavano per niente a cambiare la mentalità dei nostri cari che consideravano l’isola di Wight come ritrovo di drogati e di gioventù dedita all’alcool e al sesso. Consideravano gli hippy che si riunivano sul prato Vondelpark, ad Amsterdam, ragazzi strani e scansafatiche.

Quando arrivò la notizia del ragazzo nero, ucciso in California, durante il concerto dei Rolling Stones, allora pensarono che tutte quelle manifestazioni fossero pericolose e non avevano nessun lato positivo, nemmeno la musica.

In quel periodo ero un’adolescente inquieta e come tutti gli adolescenti di allora, cercavamo di imporre le nostre idee senza ottenere grandi risultati.

Cercavamo di far capire loro quanto fossero importanti, “puliti” e sani i messaggi nascosti dentro alcune canzoni, l’importanza di ribellarci alla guerra con le marce per la pace, la necessità di avere qualche ora in più di libera uscita per parlare con gli amici. A noi donne, difficilmente ci era concesso di avere una comitiva “mista” cioè formata da maschi e femmine. Se azzardavamo a dire che avevamo degli amici, i nostri genitori ci sgridavano dicendo: – Ma che amichi e amichi! Prima quando se diceva “amico” significava che tenemme gl’amante! Mo’ so tutti amichi!

Ci rendevamo conto di battaglie perse in partenza e la nostra vita, spesso, resisteva nella disperazione del vivere.

Poi, pian pianino, qualcuno ha avuto la forza d’insistere e di resistere, le comitive sono uscite allo scoperto e noi ragazze abbiamo cominciato ad entrare anche nei bar, luogo consentito solo ai maschi. Qualche moneta ci permetteva di ascoltare la musica che amavamo nel juke-box e i primi 45 giri ci erano regalati in occasione dei compleanni. Dischi che portavamo anche in giro dentro la borsa e che ascoltavamo e cantavamo tutti insieme, dopo averli inseriti nei mangiadischi color arancio.

Mangiadischi color arancio [3]

Certamente sulla nostra collina (che un po’ mi ricorda la stessa che usava Pavese e i suoi amici in “La bella estate”), noi provinciali abbiamo sentito l’eco delle grandi trasformazioni e in qualche modo abbiamo partecipato attivamente, ricavando qualche brandello di libertà tra un rimprovero e uno schiaffo.

 

Prima di ripartire per l’istituto dove studiavo, facevo sempre un giro con i miei amici. Ci fermavamo al Belvedere e a cavalcioni del muretto, guardavamo una lingua di mare che si apriva la via tra due pendii dei monti.
Non era l’isola di Wight quella massa scura in mezzo al mare, ma era l’isola di Ponza quella che si vedeva e che si vede da Maenza in via della Circonvallazione.

Quanti sogni abbiamo indirizzato verso quell’isola dorata sulla quale approdava la nostra libertà!