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25 Novembre. Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne

di Rosanna Conte
Muro delle bambole a Milano.1 [1]

 

Parlare a Ponza di femminicidio, sembra portare un problema altrui in mezzo a persone che hanno tanti altri problemi, anche quotidiani, ma sicuramente quello del femminicidio proprio no.

In realtà se non fosse un problema che attraversa popoli, paesi mentalità e culture diverse, non sarebbe stata istituita la giornata del 25 novembre contro il femminicidio né ci sarebbe stato il varo della Convenzione di Istanbul (11 maggio 2011) che mira a vincolare gli stati aderenti ad emanare leggi sul tema della violenza sulle donne.

Diciamo come prima cosa che la parola femminicidio si usa per quelle violenze ed uccisioni che avvengono sulle donne in quanto donne, cioè per l’appartenenza al genere femminile.

I dati del rapporto Eures (Commissione europea) ci dicono che in Italia lo scorso anno c’è stato l’incremento di femminicidi del 14%, con un 27,1% in più solo al Sud.
Il 66,4% delle vittime è stato ucciso dal partner (marito, fidanzato, compagno) o ex-partner e la loro unica colpa è stata quella di “voler decidere del proprio destino”.

 

Il femminicidio è un atto doppiamente violento che vuole uccidere il corpo, ma principalmente l’anima, la mente della donna. È certamente la conseguenza di una mentalità ereditata da una cultura che vedeva la donna passare dalla proprietà del padre a quella del marito E che oggi sia un compagno, un convivente non cambia molto: l’idea di possesso permane, anche nella nostra società che si vanta di essere avanzata, moderna.

Anzi, proprio negli aspetti considerati più moderni, quelli mediatici (dalla pubblicità alla TV), in cui siamo pienamente immersi, troviamo l’humus in cui si perpetua quel maschilismo che, camuffato da lievità ridanciana, incide profondamente sugli animi e sulle menti di tanti uomini, ma anche di tante donne.

Ovviamente non tutti i “maschilisti” (e fra questi includo anche quelle donne che ritengono che l’uomo abbia sempre ragione ed abbia di diritto un posto di superiorità nei confronti della donna con l’esonero da tanti divieti che le donne, invece, devono rispettare) sono candidati a perpetrare un femminicidio, perché – come per ogni atto violento – ci sono altri aspetti, che riguardano l’equilibrio psicologico, che vi concorrono.
Se su una convinta superiorità maschile si innesta la debolezza di un uomo che non riesce a gestire la propria gelosia, che non accetta di essere lasciato, che non sa affrontare l’eventuale giudizio della comunità in cui vive, abbiamo la condizione tipo in cui nasce il femminicidio.
Il non riuscire a sopportare che la donna possa autodeterminarsi è la molla che fa scattare la furia omicida: nel momento in cui vuole affermare se stessa, agli occhi del partner, diventa colpevole di tutto e meritevole di morte.

Le iniziative per rendere evidente e chiaro il problema, per renderlo una questione che va oltre le frontiere degli stati, sono tante e diverse.

Qui possiamo ricordare quanto avvenuto a Milano il 21 giugno scorso, in occasione della settimana della moda maschile, quando una cinquantina di stilisti, 30 artisti, 20 associazioni, da Salvatore Ferragamo, Costume National, Stella McCartney, Kristina Ti, Frankie Morello a Intervita e Donne in rete, ad Arisa, Ivana Spagna, Syria, Malika Ayane hanno dato luogo all’installazione Wall of Dolls, il muro delle bambole, una performance ideata da Jo Squillo e sostenuta dalla Camera della Moda.
Su una rete di 150 metri, posta sulla parete esterna della Casa dei Diritti delle donne, in via De Amicis, sono state apposte centinaia di bambole, simboli delle donne uccise e/o violentate nel mondo.
La bambola è il simbolo del modello su cui si è formato il modello femminile presente nell’immaginario maschile e femminile che è alla base del femminicidio: sul muro rappresentano le migliaia di donne uccise in nome di quel modello.

Wall of Dolls.2 [2]

Le sole manifestazioni di contestazione e/o solidarietà sono del tutto insufficienti ad affrontare risolutamente il problema.

La ratifica della Convenzione di Istanbul, che solo quest’anno l’Italia ha sottoscritto, il 1 agosto, è invece un’azione positiva a patto che effettivamente il governo vari gli strumenti legislativi e finanziari per tutelare le donne.
Firmata da 32 paesi e ratificata da tredici, propone come strategia della lotta al femminicidio l’attuazione delle tre P: “Prevenzione, Protezione, Punizione”.

In Italia attualmente manca un sistema organico di prevenzione.
In tante città ci sono case delle donne dove trovano rifugio le donne violentate o picchiate, ma spesso vivono col supporto di volontari e non sono adeguate alle esigenze di coloro che chiedono aiuto.

Non tutte le amministrazioni locali, dai Comuni alle Regioni, hanno la sensibilità di sostenere strutture di accoglienza efficienti e la ratifica dovrebbe spingere il governo, oltre che a legiferare nella direzione di una punizione sicura, adeguata e rapida, anche ad uniformare l’offerta di servizi di protezione per le donne sul territorio nazionale, come le case di accoglienza e gli ambulatori in cui ci siano figure professionali in grado di gestire i drammi della violenza. Ricordiamo che il 51,9 % delle donne uccise nel 2013 aveva denunciato di aver già subito violenze, ma non sono scattate le tutele adeguate a proteggerle e l’omicida ha concluso la sua violenza con la morte.

Per ora, non essendoci il ministro delle Pari Opportunità, dovrebbe essere lo stesso presidente del Consiglio a rendere operativa la Convenzione di Istanbul con un piano ad ampio raggio partendo da quanto è già esistente.
Ma non se ne sente parlare.
Così, mentre la politica fa i suoi giochi di palazzo e si rispecchia nei talk show, le donne continuano a morire di morte violenta.

 

Roma 27.12.2014
Qualche altra foto
Mi sono ricordato che anche dove abito io a Roma (S. Lorenzo), c’è da qualche anno un muro dedicato alle donne vittime di violenza.
Dopo l’articolo di Rosanna sono andato a fotografarlo, trovando anche qualche segno di insofferenza al tema.

E’ a via dei Sardi e gira intorno all’isolato continuando su via degli Enotri, sul muro del Campo Sportivo della Fondazione ‘Cavalieri di Colombo’.
Un murale molto semplice, di tante donne allineate che si tengono per mano…

Muro a S. Lorenzo. Via dei Sardi angolo via degli Enotri [3]

 

Muro a S. Lorenzo. Via dei Sardi. Part. [4]

Sequenza [5]

Non le ho contate, ma sono tante. Sopra ciascuna figura, una targhetta con il nome e la data della morte; qualcuna delle etichette è stata strappata o è caduta da sola.

Letizia [6]

Alessandra [7]

Dall'alto. Muro campo sportivo [8]

Murale [9]

Murale. Che palle [10]

Dalla quinta figurina (nella foto) qualcuno ha pensato di scrivere il suo commento, mettendoci anche del tempo e della vernice… (cliccare per ingrandire)