Ambiente e Natura

San Martino, ogni mosto è vino

di Giuseppe Mazzella di Rurillo
Giuseppe Mazzella da Ischia

 

Nello splendido Tenimento di Don Carlo Arcamone di Castanito in località Santa Maria al Monte a 300 metri circa s.l.m nel Comune di Forio nell’isola d’Ischia martedì 11 novembre 2014 si è festeggiato San Martino il giorno tradizionale dove “ogni mosto diventa vino”.
La festa è antichissima e si perde nella notte dei tempi.
Se la vendemmia “è una festa particolare perché i vigneti restituiscono ad un manipolo di eroi i frutti di un impegno che non conosce pause nell’arco dell’anno” per i contadini dell’isola d’Ischia, come dice l’avv. Benedetto Migliaccio, cultore di Storia Patria e proprietario e ri-costruttore dopo 100 anni di abbandono della “vigna dei mille anni” che si trova in località Jesca nel Comune di Serrara-Fontana (leggi qui), San Martino è forse la festa della civiltà contadina dell’isola d’Ischia più importante perché il mosto diventa vino e si può verificare la qualità e la quantità del prodotto.

Per secoli e secoli i contadini dell’isola d’Ischia – la più grande delle Partenopee con i suoi 46 Km2 – vivevano con la produzione del vino.
D’Ascia nella sua “ Storia dell’isola d’Ischia” del 1867, il testo fondamentale di Storia Moderna, dice che nel XIX secolo si producevano 14 mila ettolitri di vino – i bianchi “Biancolella” e “Forastera” ed il rosso “Père ’e Palummo” – e questo vino veniva esportato in tutto il Mediterraneo con le navi “vinacciere” che partivano dai porticcioli di Sant’Angelo, Forio, Lacco Ameno, Casamicciola e naturalmente dal capoluogo Ischia che ebbe il porto solo dal 1854.

Norman Douglas, che visitò Ischia agli inizi del ’900 raccontando il suo soggiorno nel suo “Isole d’Estate”, scrive che Ischia è “un enorme vigneto”. Questa economia agricola – imperniata sulla produzione vinicola – permetteva ad una popolazione che già era di 24mila abitanti nel secolo XIX di vivere. Non era solo un’economia di sussistenza ma un vero e proprio sistema economico e commerciale. Esisteva anche la figura del “sensale di vino” quello che andava a provare il vino nelle cantine e faceva da “mediatore” tra il produttore ed il compratore.

Oggi la produzione vinicola è notevolmente è diminuita ma è aumentata la qualità . Ci sono almeno 16 case vinicole per la “strada del vino e dei prodotti tipici” che rafforzano l’economica turistica dell’ isola.
C’è un nuovo “rinascimento” della civiltà contadina.
Le famiglie ischitane che vivevano con la terra ed il mare poiché “il simbolo di ogni famiglia era la zappa ed il remo” come scrive D’ Ascia, hanno riscoperto – dopo il grande boom dell’economia turistica degli anni ’70 ed ’80 del Novecento – l’attaccamento alla Terra quasi come una commovente Riconoscenza ai loro Precursori. La famiglia Arcamone di Castanito è una di queste.
Gli antenati di Carlo, Pasquale, Alfredo, Guglielmo e Giuseppe “Puccetto” che vive in Germania, della famiglia Arcamone detta “di Castanito” perché la casa paterna era posta e si trova ancora in località Castanito sulla collina della Sentinella a Casamicciola, erano produttori ed esportatori di vino. Carlo – che svolge da oltre 40 anni con successo la professione di geometra – se ha pensato di costruire per sé la moglie ed i tre figli una casa in una stupenda località, con una straordinaria vista sull’abitato di Forio ed il lontananza sul mare aperto le isole di Ventotene e Ponza colonizzate dagli ischitani nel XVIII secolo, non ha trascurato la viticoltura. Qui in questa località che si chiama “Corbara” Carlo produce il suo “Biancolella” ed il suo “Père ’e Palummo” che il fratello Pasquale il quale continua la tradizione paterna imbottiglia e distribuisce.

È qui che festeggiamo San Martino. Carlo chiama i suoi amici più intimi – qualcuno è assente giustificato – per questo pranzo che deve essere esclusivamente “di terra” con la pasta e fagioli ed il coniglio alla cacciatora innaffiati dal vino novello bianco e rosso. Qui ogni anno – come accade da tanto tempo – mi viene alla mente la straordinaria osservazione di Fernand Braudel, il grande storico degli “Annales”, sull’attaccamento delle popolazioni mediterranee alla loro terra.

“C’è più lenta ancora della storia della civiltà, quasi immobile, una storia degli uomini nei loro stretti rapporti con la terra che li nutre e li sostiene; si tratta di un dialogo che non cessa di ripetersi, che si ripete per durare, che può cambiare e di fatto cambia in superficie, ma che prosegue, tenace, come se fosse fuori della portata e sottratto ai morsi del tempo”.
Abbiamo festeggiato la produzione del vino nuovo esattamente come lo facevano i nostri Padri. Il nostro primo pensiero, il nostro primo brindisi, lo abbiamo fatto alla Memoria dei Padri. Per “ripetere questo dialogo che può cambiare in superficie ma che prosegue tenace come se fosse fuori della portata e sottratto ai morsi del tempo”.

Abbiamo fatto la pasta e fagioli con la “commissione per il punto di cottura” – che è la cosa più difficile – e forse i fagioli erano un pochino troppo cotti. Il coniglio alla cacciatora cucinato dalla signore Arcamone era perfetto e forse il sugo avrebbe meritato una pennetta che sarà proposta l’anno prossimo. L’insalata di rinforzo era rafforzatissima con olive all’olio di oliva di Benevento, patate, pomodori ed acciughetta. Quattro qualità di formaggi – la ricchezza della tavola – dalla Campania alla Svizzera. Il Babà alla crema squisito. Frutta di stagione e frutta secca con noci di Sorrento. Per chi poteva anche la grappetta delle Alpi. Il sigaro Toscano alla fine del pranzo.

Come il nostro pranzo se ne sono fatti a decine forse centinaia in moltissime cantine dell’isola d’Ischia e ci siamo dati appuntamento all’anno prossimo se riusciremo a sottrarre “i morsi del tempo” che se passa nella nostra carne non muta nel nostro animo.

Giovani eravamo e giovani restiamo.

 

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