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L’isola dei gabbiani

di Adriano Madonna Berlenga Grande - gabbiano in cerca di pesce [1]

 

Cari amici,
tempo fa, in “Ponza Racconta” si è parlato di gabbiani (leggi qui [2] e qui [3]).
Tratto dal mio libro
“Appunti di viaggio, momenti di vita in giro per il mondo”, vi invio un racconto, in realtà una vicenda vissuta in prima persona, il cui titolo è “L’isola dei gabbiani”.
Saluti a tutti.
A. M.

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Pochi conoscono Berlenga Grande, un’isola a un tiro di schioppo dalla costa portoghese a nord di Lisbona e uno dei siti biologici terrestri e sottomarini più importanti d’Europa, con specie endemiche di flora e fauna, le sue immense colonie di gabbiani, rari uccelli che i portoghesi chiamano airos, una grande lucertola verde che vive solo là, e, in mezzo a questa natura prepotente, una fortezza portoghese del XII secolo.
Berlenga Grande - il faro [4]
Berlenga Grande è praticamente disabitata, salvo la presenza della famiglia del guardiano del faro e di uno sparuto manipolo di persone che vivono in poche casupole bianche costruite intorno alla baietta, dove c’è la banchina dell’attracco. Sono stato a Berlenga Grande alle prime luci di una primavera lontana, con il cielo che ancora ridondava di nuvoloni pregni di pioggia e il mare con l’onda lunga che s’avvolgeva in sordi brontolii sulle spiagge della Costa de Prata.
Mi portò a Berlenga Grande una barca di Peniche, il “Passaro do Sol” (Passero del sole), una pilotina veloce che ballonzolò a lungo sulle onde grandi e piene come un giocattolo; poi dalla foschia del primo mattino emerse il profilo di Berlenga Grande: svettò il faro situato sul punto più alto e in un raggio di sole schizzato fuori da uno strappo nella nuvolaglia, si colorò di verde lucente il dirupo a sinistra della baia d’ormeggio. Volli andare a Berlenga Grande perché mi avevano parlato di alcuni uccelli che si trovano in quell’isola, gli airos, ma in ciò non ebbi fortuna: una volta giunto a Berlenga, la guida della riserva mi disse che gli airos costituiscono una colonia di una quarantina di esemplari, ma in quel momento si erano rifugiati chissà dove, perché il tempo era stato inclemente.

Berlenga grande - coppia di airos [5]

Berlenga grande - airos [6]

Berlenga grande - airos 2 [7]
Inoltre, i grossi gabbiani di Berlenga, della specie Larus argentatus, dall’adunco becco giallo, li aggrediscono.

Berlenga grande  l'aggressività del gabbiano [8]

Il risultato fu che gli airos si erano momentaneamente eclissati e nonostante li avessi cercati in lungo e in largo con il mio compagno di viaggio, il professor Cianfrone, illustre docente dell’Università di Roma, non riuscii a trovarne traccia, ma l’isola ci appariva così ricca di esuberante natura che non avemmo difficoltà a dedicarci ad altri suoi aspetti, sopra e sott’acqua.
Avevo portato, infatti, la mia attrezzatura per l’immersione subacquea con gli apparecchi fotografici. Ci recammo subito nella parte più alta di Berlenga Grande e ci inoltrammo nella “comunità” dei gabbiani, una popolazione immensa di migliaia e migliaia di individui che vive indisturbata. Una vegetazione molto bassa, costituita da erba e cespugli, favorisce l’escursione, che si snoda lungo i camminamenti già esistenti. Questi costeggiano le pareti monolitiche a precipizio sul mare e tagliano i plateau di roccia e terra, ora verdi ora di nuda pietra rossiccia.

Berlenga Grande - i gabbiani [9]
I gabbiani sono dappertutto, si vedono e si sentono: le femmine sono accovacciate sui concavi nidi di sterpi e custodiscono le uova verdastre picchiettate di macchie scure, grandi come quelle di gallina. Quando si sentono disturbate emettono lunghe grida modulate e chiamano i maschi. Questi si avventano ad ali aperte e con le zampe palmate protese in basso, alla stregua dell’atteggiamento da preda dei rapaci, sull’inopportuno invasore del territorio, ma tentano solo di fargli paura, perché neppure lo toccano. Vivemmo questa esperienza impressionante più volte durante le nostre escursioni nell’isola. I gabbiani picchiavano su di noi dall’alto e ci arrivavano a mezzo metro dal capo ad ali aperte e con grida stridule e assordanti come il lamento di mille catenacci arrugginiti.
Ricordate “Gli uccelli”, il famoso film di Hitchcock ? La scena era la stessa e parimenti paurosa.

Berlenga Grande - i gabbiani 2 [10]

La guida della riserva mi raccontò che la gente di un paese della costa attorno a Peniche, in occasione di una certa festività religiosa, conserva la tradizione di recarsi a Berlenga Grande per raccogliere le uova di gabbiano e farne dei dolci. Mi hanno assicurato che, una volta cotte, queste non hanno assolutamente nulla di diverso dalle uova di gallina.
Dopo cinque giorni trascorsi nell’isola, dei gabbiani imparammo il linguaggio: riuscivamo a distinguere i segnali di allarme da quelli di cessato stato di allerta, oltre ai vari tipi di richiami. E infine, le strida penetranti che questi uccelli emettono quando si librano nel vento ad ali ferme sono completamente diverse dalle altre: grida prolungate che provocavano un’angosciosa stretta al cuore, ma d’altro canto facevano da contorno a quella sensazione di libertà che avvertivamo quando ci mettevamo con il viso verso l’oceano e il vento ci appiccicava sulla pelle il sale che rubava alla spuma delle onde e involava verso l’alto. Sul versante a occidente il mare è sempre agitato e il vento sibila come una sirena. Fu proprio qui che colsi una delle immagini più indimenticabili di Berlenga Grande: davanti a questo balcone sull’oceano, i gabbiani fanno acrobazie e altri uccelli, come il corvo marino, si lanciano dalle altissime rupi. Varrebbe la pena sedersi sopra una roccia e osservare per ore questo spettacolo al quale l’uomo moderno non è ormai più avvezzo.

Berlenga Grande - la costa [11]

Nel verde dell’erba, che ricorda molto nell’intensità del colore quella di altre isole atlantiche, come le Azzorre e alcune falesie d’Irlanda, vi sono i “tesori dei botanici”: alcune specie endemiche come Armeria berlengensis, Herniaria berlengiana, Pulicaria microcephala, Echium rusulatum
Sul versante orientale dell’isola, quello che guarda la costa del Portogallo continentale (Peniche), a fianco della baietta dell’imbarcadero c’è una seconda cala adiacente, e qui sorge, immagine imponente, la Fortaleza de São João Baptista.
Fortaleza in portoghese significa fortezza, ma questa non è una fortezza vera e propria, almeno nelle dimensioni, poiché è abbastanza piccola, raccolta nella sua forma poligonale, e possente. Si tratta di un fortino costruito su un basamento emergente dal basso fondale della caletta, a una trentina di metri dalla costa, a cui è collegato da uno stretto camminamento che si snoda su una struttura in muratura fatta ad archi.
La “fortaleza” è uno di quei capolavori di architettura militare di cui i portoghesi furono maestri. Mi raccontarono che vi s’era insediato un manipolo di soldati comandati da un ardimentoso generale e questi sparava cannonate a vista a ogni nave che incrociava in quelle acque, e così Berlenga Grande fu l’unico lembo di terra lusitana che sfuggì agli spagnoli, ma che importanza poteva avere quello scoglio abbandonato in mezzo al mare? Gli spagnoli non fecero fatica ad ignorarlo e il generale continuò a vivere la sua parte di eroe nazionale. Berlenga Grande - il forte [12]

Mi recai proprio al forte per immergermi nelle acque dell’isola. Con il “Passaro do Sol” vi portai tutta l’attrezzatura, approntai la fotocamera subacquea e infine entrai nell’acqua, che avrei potuto definirei cristallina se non fosse stato per quella lieve sospensione che si notava facendo spaziare lo sguardo, a causa delle cattive condizioni del mare di un paio di giorni prima.
Ero abituato alle acque delle Azzorre e di altri punti dell’oceano aperto, con milioni di pesci e grandi specie pelagiche, ma Berlenga Grande non mi deluse: mi trovavo, naturalmente, in un habitat costiero, ma di quest’ultimo rinvenni ogni tipico organismo e ogni positiva caratteristica di autentica genuinità.
È vero che i fondali atlantici sono meno colorati dei nostri, ma è altrettanto vero che c’è vita ovunque ed è raro trovarne tratti desolati. Mi introdussi in alcune cavità in penombra che si aprivano nella roccia e trovai, come in Mediterraneo, una grande quantità di spugne colorate e abbondanza di fauna minuta: molti blennidi, gobidi, diverse specie di tripterigidi, tra cui il peperoncino giallo con il capo nero, e poi diversi nudibranchi. Di questi vidi anche dei cinti ovarici attaccati tra le concrezioni madreporiche.

Berlenga grande - peperoncino giallo dal capo nero [13]

I polpi erano numerosi e di ogni dimensione. Per mimetizzarsi nell’oscuro fondale atlantico, si vestivano di ampie macchie nerastre.

Berlenga grande - polpo mimetizzato [14]

Pesci spettacolari erano le triglie, che in portoghese si chiamano “salmonedas”. Qui, da noi, in Mediterraneo, non siamo abituati a vedere triglie da un chilo, perché nel nostro mare questi pesci sono sensibilmente più piccoli. Laggiù sono invece enormi e quando un piccolo gruppo di grosse triglie rimesta nel sedimento molle del fondo con i tentacoli boccali, solleva un polverone simile a quello che alzerebbe una cernia con una scodata.

Berlenga grande - triglie giganti [15]

Facendo spaziare lo sguardo intorno, coglievo sciami di saraghi fasciati e numerosissimi labridi. Alcuni erano delle stesse specie di quelli del nostro mare, altri tipici delle acque dell’Atlantico, ma erano tutti pesci grossi.

Berlenga Grande - sarago fasciato [16]

Non restai a lungo a Berlenga Grande, solo pochi giorni, ma tanto mi fu sufficiente a comprendere che quest’isola è uno di quei posti che, con espressione ormai trita e ritrita, ma che esprime indiscutibilmente una verità, potremmo definire uno degli ultimi paradisi di casa nostra.

Vi tornerò presto, ai primi respiri dell’inverno atlantico: acqua e cielo fin dove sguardo e fantasia possono giungere, un buon fuoco in una bicocca bianca di calce e tutta la notte per ascoltare i racconti dell’oceano.