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Le nasse e l’arte di costruirle. Incontro con Benedetto Sandolo (1)

di Vincenzo (Enzo) Di Fazio

le nasse [1]

 

Si calavano la sera e si issavano il mattino all’alba. Tirandole dai fondali era uno spettacolo unico vedere i saraghi agitarsi nelle gabbie di giunchi. La densità del bagliore argenteo che scorgevamo sotto il pelo dell’acqua ci diceva ancor prima che le nasse emergessero di quanto fosse grosso il bottino.
Una volta a bordo i pesci continuavano a dimenarsi sul pagliolo ritmando con il movimento della coda un tam-tam cadenzato simile ai colpi del mazzuolo sul tamburo. Una danza tribale cui ponevamo fine spostando i pesci nei secchi colmi d’acqua.

Parliamo della pesca con le nasse, una pesca molto diffusa fino agli anni 70.
Le utilizzavamo anche a Zannone dove bravi a costruirle erano un po’ tutti i fanalisti.
C’erano le nasse per i saraghi ma anche quelle per le aragoste, le murene, i gronchi e quelle per le occhiate.

nasse di diversa grandezza [2]

Cambiavano le dimensioni ma la tecnica per costruirle era sempre la stessa. Quando si andava a calarle e la barca non era molto grande non si poteva essere in tanti perchè buona parte della prua e della poppa era occupata dalle nasse.

 

 

A Zannone con la barca del faro [3]

nasse sulla prua [4]

nassa sulla prua di un gozzo [5]

La nassa è uno strumento da pesca antichissimo.

Secondo quanto riporta A. Sanez Reguart nel suo “Dicionario historico de los artes de la pesca nacional”, pare sia nata casualmente osservando i pesci che accorrevano in prossimità delle sponde dei fiumi quando le donne vi si recavano per lavare le stoviglie. I rimasugli di cibo facevano da richiamo e l’osservazione da parte dell’uomo di questo andazzo lo portò a pensare di poter imprigionare i pesci calando in acqua dei cesti.
Ovviamente l’arguzia e l’intelligenza hanno fatto il resto.

Strumento da pesca notissimo a Ponza, agli inizi del secolo scorso non c’era pescatore ponzese che non sapesse realizzarle. Anzi sono stati proprio i pescatori della nostra isola a diffondere questa strumento da pesca in Sardegna, in Corsica, all’isola d’Elba, alla Galite, perfino sulle coste della Jugoslavia, ora Croazia.

Tantissimi anni fa, quando lavoravo a Latina, avevo una cliente di origine slava (era dell’isola di Lagosta) che si chiamava Konte Dragica. Nome curioso e cognome un po’ familiare visto che mi ricordava i tantissimi “Conte” di Ponza. Sufficiente motivo per parlarle, un giorno, di Ponza e di quanto quel cognome fosse simile a quello così comune sull’isola.
E grande fu lo stupore e, conseguentemente, reciproca la gioia nello scoprire che avevamo origini comuni.
Mi raccontò infatti la signora Dragica che il suo bisnonno proveniva da Ponza. Di cognome faceva Conte, Conte con la “C”, consonante modificatasi nel corso del tempo in “K” probabilmente per un’ esigenza legata alla lingua del posto o per un errore di trascrizione. Ma la cosa bella della chiacchierata fu sentirmi dire che di mestiere faceva il pescatore e che aveva insegnato ai pescatori di Lagosta a prendere le aragoste con dei curiosi cesti a forma di campane (così li chiamò) da lui stesso costruiti. Erano le nasse e quel racconto la conferma di quanto internazionali e “globali anzitempo” siano stati i nostri pescatori.

pescatore che lavora ad una nassa [6]

Ricorda Francesco Vitiello in uno scritto, “Omaggio ai primi pescatori ponzesi arrivati a La Maddalena”, appendice alla “Storia della Pesca” di Antonio Ciotta, i suoi antenati.
Scrive Francesco che il primo a toccare le coste sarde fu il suo bisnonno Angelo Vitiello nato nel 1854.
Lo stesso fecero, agli inizi del ‘900, suo nonno Aniello e suo zio Gaetano che a La Maddalena chiamavano ‘u punzesu.

Francesco così parla delle nasse:

“La pesca con la nassa era la più praticata dai pescatori della mia famiglia e fu per un lungo tempo un loro esclusivo appannaggio. Tale tipo di pesca, meno costoso rispetto alle reti e assolutamente rispettoso dell’ambiente, si realizzava costruendo attrezzi che utilizzavano materiali facilmente reperibili: giunchi, canne, rametti di mirto ecc….
Le nasse, incastrate l’una nell’altra, venivano portate nelle zone di pesca, raggiunte faticosamente remando o al massimo con l’ausilio di una vela latina…e, una volta a mare, venivano salpate o tutt’al più spostate ma non ritirate definitivamente. Erano trattenute sul fondo da una pietra (detta “mazzera”) del peso di 15/20 chili legata ad una corda da 60 braccia e segnalata a galla da pezzi di sughero…”

un pescatore lavora una nassa [7]

Col passare degli anni la pesca si è evoluta, le nasse non sono più utilizzate come una volta e chi vi ricorre usa spesso nasse fatte in maniera diversa, dove il ferro e la plastica hanno preso il posto dei giunchi, delle canne e dei rametti di mirto.

Ma a Ponza c’è chi è fedele alla tradizione e le costruisce ancora nella maniera classica.
E’ Benedetto Sandolo, marittimo di professione oggi in pensione ma “nassaro” per passione.
D’estate, al mattino presto (nelle altre stagioni quando l’aria è tiepida e c’è il sole) Benedetto lo trovi lì, con l’immancabile sigaro, ad armeggiare con giunchi, canne e rami di mirto, all’ombra del porticato di casa agli inizi della salita Dragonara.

Benedetto Sandolo e l'immancabile sigaro [8]

Per parlare di nasse e dell’antica arte di costruirle decido di andarlo a trovare una mattina di questa fine estate.

 

[Le nasse e l’arte di costruirle. Incontro con Benedetto Sandolo. (1) – Continua]

Sandro Vitiello alle nasse [9]Sandro Vitiello alle nasse