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Ritratti fornesi: Maria Teresa Iodice. Cento parenti, mille ricordi

di Giuseppe MazzellaMaria Teresa ed Emilio Iodice [1]

 

Bassa di statura e piccolina, ma piena di vitalità, Maria Teresa Iodice conserva a settant’anni superati in scioltezza e in splendida forma, tutto il suo carattere peperino.
Un temperamento che inquietava la mamma Giovannina e le zie ponzesi che, a turno, tentavano inutilmente di tenerla a bada. Era accaduto, infatti, che zia Margherita aveva mandato a Roma, perché studiasse, la figlia Iole e a compenso Giovannina aveva inviato la figlia Maria Teresa in “missione” all’isola.
Lei aveva poco più di tre anni quando raggiunse le zie, ma era già piena di curiosità. Vi stette tutta l’infanzia e parte dell’adolescenza: anni bellissimi che ama ricordare spesso.

Oggi Maria Teresa, sposata con Emilio Iodice – diplomatico dalla carriera folgorante per essere stato tra i più ascoltati consiglieri della Casa Bianca e oggi Rettore della prestigiosa Loyola University di Roma, di cui avremo modo di parlare – è a Le Forna per una breve vacanza. In un insolito e ventoso pomeriggio di primo settembre, una visita di cortesia si è naturalmente trasformata in un’improvvisata intervista, che offriamo ai nostri lettori.

A tre anni hai lasciato Roma, dove sei nata, e sei venuta a Ponza.

“Sì, fui mandata presso le zie Margherita e Filomena che vivevano alla Dragonara. In un mondo nuovo e tutto da esplorare. Era quello che cercavo. Lì ho vissuto gli anni dorati della mia infanzia”.

Come potevi tu così piccola apprezzare quel piccolo mondo che doveva essere Ponza nel primo dopoguerra?

“Intanto io ero coccolata, oltre che dalle zie, da un’infinità di parenti che facevano a gara per viziarmi, anche se questo è da vedersi in relazione alle condizioni del tempo. Due fichi secchi o un grappolo d’uva erano il compenso di un impegno di una giornata. Ricordo che mi guadagnai subito la loro stima – l’affetto l’avevo naturalmente – quando riuscii a pronunciare senza errori la frase do you speak English, ottenendo in regalo un bel fiocco che misi subito tra i capelli e di cui andavo molto fiera. E non solo. Un marinaio americano mi regalò sempre per il mio sciolti scilinguagnolo una grossa cioccolata. Da zia Filomena, infatti, che parlava perfettamente l’inglese per essere vissuta per anni in America, avevo appreso, infatti, parole ed espressioni.
Poi io ero attratta e cercavo di emulare le figure quasi ieratiche come zia Margherita Sandolo. Era una maestra bravissima e temuta per la sua severità, ma anche punto di riferimento e modello per molte famiglie. Così come ricordo con nostalgia le mattinate al mare giù alla Scarrupata a raccogliere piatti di patelle che zia Nannina, già vedova, vendeva per raggranellare qualche spicciolo per integrare le poche disponibilità”.

Un’infanzia libera, all’aria aperta…

“Un’infanzia vissuta a contatto con la natura, nel silenzio e con ritmi antichi. Ponza in quegli anni era intatta, il turismo era di là da venire. Niente inquinamento, niente rumori, una pace che ti entrava dentro e ti faceva stare bene. Soprattutto perché percepivo che tutti erano solidali tra loro, si aiutavano. E questo era bellissimo. Ci si sentiva parte di un’unica famiglia. Poi ricordo con nostalgia la figura imponente di zio Franco Feola. Un omone generosissimo che aveva lavorato per anni facendo fortuna negli Stati Uniti d’America. Tornato a Ponza aveva fatto costruire la centrale elettrica su un’idea di Vincenzo Di Fazio, che però non aveva i capitali. Grazie a lui Ponza ebbe finalmente la luce elettrica. Lo ricordo mentre da solo trascinava in mare con la barca a remi due tre bidoni di nafta che utilizzava per alimentare la centrale. Zio Franco due volte la settimana offriva dei pasti ai poveri del paese che la moglie cucinava.
Poi l’alcool lo rovinò e finì per svendere la centrale”.

Vivevi soprattutto con persone adulte.

“Si, è vero. Avevo dei compagni di gioco, ma erano soprattutto maschi. Con le femmine mie coetanee non legavo molto. Mi sentivo già grande. Ero poco più che una bambina quando svolgevo per conto di zia Margherita l’incarico di andare a ritirare le quote delle tasse fondiarie di terreni indivisi dagli altri parenti. Un compito che assolvevo con grande scrupolo e serietà”.

E zia Filomena?

“Una sua particolarità era come cucinava i polpi. Lei diceva di cucinarli con “sette coperchi”, una sorta di pentola a pressione ante litteram. E poi era famosa anche per le sue marmellate miste, fatte con fichi, fichi d’India, uva, more. Ricordo quando con grande cura portava fino a Roma da mia mamma grossi contenitori di vetro colmi di queste bontà, affrontando viaggi in traghetto, in treno e in autobus. Come arrivassero integri era un vero miracolo. Ed era come se il sapore di Ponza arrivasse fino a Roma”.

E Le Forna?

“Le Forna fu la grande scoperta della mia infanzia. Un mondo nuovo. Passavo da un quartiere dell’isola dotato di luce elettrica ad uno che disponeva solo di lumi a petrolio.
Intanto la prima avventura era arrivarci. Via mare, con la barca a remi di Pallaccannone dal Porto a Cala Inferno, sembrava una traversata oceanica. E poi le centinaia di scalini per salire al paese per raggiungere la casa di mio nonno materno Salvatore Sandolo, più noto come Panzatuosto.
Mio nonno era un facoltoso armatore di “burchielli”, i bastimenti adattati a vivaio di aragoste con cui trasferivano i gustosi crostacei fino a Marsiglia, dove aveva una base per la distribuzione. Soprattutto negli anni della belle époque, ma anche dopo, le aragoste ponzesi erano tra le più apprezzate d’Europa ed erano servite sui tavoli dei più prestigiosi ristoranti di Parigi”.

Come era lo stile di vita dei nonni a Le Forna?

“Nonno Salvatore, nonostante fosse un possidente, viveva con sobrietà e in semplicità. La sera, poi, noi nipoti facevamo a gara per lavarci i piedi. Era un rito e insieme un grande divertimento. Nonno, poi, sapeva cucinare benissimo, provvedendo da sé a pulire il pesce con cui preparare delle zuppe buonissime. Le preparava, precisava lui, in due versioni. Con il peperoncino per chi “si sentiva un Sandolo”, e senza, per chi “si sentiva Iodice”. È inutile ricordare che io affermavo categoricamente “di essere una Sandolo”!

Le Forna fuori dal tempo?

“Sì, era così. Mentre dalla Dragonara io raggiungevo una volta al giorno i negozi dove fare compere per le necessità della casa e d’estate ci scappava per me quasi sempre un bagno a S. Antonio, Le Forna non aveva negozi. Si faceva tutto in casa. E quello che c’era c’era: cioè molto poco”.

A Le Forna andavi all’asilo, quello realizzato dall’Ing. Savelli, il fondatore della S.A.M.I.P., la società mineraria che estraeva la bentonite?

“No, non sono mai voluta andare all’asilo. Ero allergica a quella vita ristretta e al chiuso. Preferivo d’estate andare a fare un bagno a cala Cantina, dove a sette anni presi il mio primo polpo”.

Anni con tutti ricordi belli…

“No, ho anche ricordi tristi come quelli della malattia e della morte di mia nonna materna Maria Aprea. Ricordo ancora con orrore le sanguisughe che le applicavano e la bacinella piena di sangue. Nonna negli ultimi tempi dormiva in una stanzetta in cui si conservavano il baccalà e i sacchetti di lupini. Ho ancora la memoria di quegli odori forti. Ricordo mio cugino Carlo, scomparso prematuramente e a cui ero molto legato, imboccare con pazienza e dedizione nonna, ormai non più in grado di badare a se stessa. La morte di nonna Maria fu una tragedia annunziata. Mia madre il mattino in cui morì, non sopportando lo strazio, andò a pesca e ritornò solo quando sentì il tocco funebre delle campane. Un’altra cosa che ricordo con raccapriccio fu quando mi fu imposto di baciare mia nonna morta. Fu un’esperienza terribile, perché non volevo accettare la sua scomparsa. Una cosa, poi, che caratterizza la mia vasta parentela è che il numero 24 torna con insistenza. Almeno sei sette parenti sono morti il 24 del mese. Un numero fatale, di cui non so darmi una giustificazione”.

Cala Feola [2]

Il sole è tramontato dietro Palmarola. Il vento si fa più teso e fa quasi freddo. Una temperatura insolita per il primo settembre che chiude un’estate inquieta e instabile. Teresa assieme al marito Emilio mi saluta e va via. Avanza contro vento con un’energia che sembra aver ereditato dagli avi con cui ha avuto l’opportunità di aver vissuto un’infanzia che ricorda sempre con entusiasmo e che la fa ancora sognare.

Ponza. Zona Dragonara [3]

Ponza. Zona Dragonara

Da I Sandoli. Il-panorama-dal-versante-orientato-verso-il-porto [4]

Da I Sandoli. Il panorama dal versante orientato verso il porto (foto sopra) e verso nord-ovest (foto sotto)

Da I Sandoli. Il-panorama-dal-versante-di-Nord-Ovest.1 [5]

Appendice

Il-Maestro-Totonno-Scotti-con-la-sua-classe-del-1950 [6]

Silverio Lamonica ci richiama alla memoria una foto pubblicata in un suo articolo dell’agosto 2012 (leggi qui [7]).
Nella classe IV a.s. 1950-51 del Maestro Totonno Scotti, Maria Teresa Iodice è in prima fila accovacciata, con il grembiulino nero. Sempre in prima fila, il primo da sin. guardando la foto, è Silverio (NdR)