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Ritratti fornesi. Suor Assunta e Suor Lucia, le nipoti dell’“Abbadessa”

di Giuseppe Mazzella
Suore sfondo Cala Feola [1]

 

Tutto ebbe inizio con la nonna materna Assunta, nata nel 1888. Donna forte e fiera, dotata di vigoria fisica e morale fuori dal comune, era rimasta vedova a soli 26 anni, con tre figlie a cui badare.
L’amato marito Domenico se l’era portato via la Prima Guerra Mondiale. Nonostante la giovane età, e rifiutando numerose proposte di matrimonio assai vantaggiose, condusse una vita sobria e di sacrifici, sempre pronta a mettere a disposizione di tutti i suoi doni curativi e le fervide preghiere. Tanto da meritare presto l’appellativo di “Abbadessa”.
Viveva con la figlia Teresa, madre di cinque figli, ma in casa era lei che dettava la linea, a cui nessuno osava opporsi. Una vita di lavoro, vissuti con serenità, che ne fecero un modello per tutti gli abitanti di Le Forna.

Quando morì nel 1973, una settimana dopo la festività di San Silverio dei Pescatori, che si celebra oggi come allora l’ultima domenica di febbraio, don Gennaro Sandolo, parroco di Le Forna, disse nell’omelia funebre che era morta una grande donna, che aveva donato tutto il suo impegno e le sue cure ai concittadini malati, confortandoli anche con la preghiera.

È alla sua “scuola” che si sono formate le nipoti Suora Assunta nata nel 1935 e Suor Lucia, nata due anni dopo. Le due sorelle appartengono alla Congregazione delle Suore Adoratrici del Sangue di Cristo. Dopo alcuni anni di assenza dall’isola, vi sono tornate per pochi giorni in occasione della festa della Madonna Assunta di metà agosto a Le Forna. Accompagnate dal fratello Enrico, mio amico d’infanzia, mi hanno offerto l’opportunità di intervistarle.

Avete vissuto la vostra infanzia in un’epoca semplice e non contaminata . Quale è il vostro ricordo di quegli anni?
“Quando eravamo bambine a Le Forna non c’era la luce. La vita in famiglia era semplice, vissuta sui ritmi del lavoro e delle devozioni.
È stata nonna Assunta a spingerci alla preghiera e alla compassione. Noi osservavamo quello che faceva per le persone che soffrivano per qualche problema di salute, mentre recitava le preghiere. E la sera il Santo Rosario era d’obbligo. Noi piccoline a volte faticavamo a stare sveglie e una volta per punizione ci mandò a dormire nella ‘grotta della paglia’, dove ci addormentammo subito. Solo qualche ora più tardi mamma fu autorizzata a venirci a prelevare e a portarci nel nostro letto. Nonna Assunta era inflessibile e non ammetteva che le disobbedissimo”.

Suor Assunta come è nata in te la vocazione?
Ero giovanissima, poco più di dieci anni, quando rimasi profondamente colpita da una storia e da alcune massime eterne che leggevo nel libro di nonna. La storia raccontava di un principe innamorato di una principessa e  del suo lungo viaggio per raggiungerla. Una volta arrivato al castello dove viveva, però, scopriva che la principessa era morta e il suo corpo già in decomposizione. Questa storia e la massima, contenuta nel Vangelo di Matteo, che dice “Non fatevi tesori sulla terra, dove la tignola e la ruggine consumano, e dove i ladri scassinano e rubano, ma fatevi tesori nei cieli”, suscitarono la mia vocazione, cioè quella di dedicarmi agli altri e ad opere che vadano al di là della vita contingente. E a quattordici anni entrai a scuola, ad Acuto, dalle “Suore Adoratrici del Preziosissimo Sangue di Cristo”.

Come fu accettata la tua vocazione in famiglia?
Nonna Assunta, ovviamente, assai favorevolmente. Gli altri familiari erano molto perplessi e preoccupati, soprattutto mio padre. Fui, allora, mandata con lui in Sardegna, a Cala Gonone, per la stagione di pesca, perché provvedessi a cucinare e a tenere in ordine la barca, ma probabilmente con il segreto intendimento di distogliermi dall’idea di farmi suora.  Alla fine, però, vista la mia insistenza, capirono e mi lasciarono andare”.

E per te Lucia, come è andata?
“La mia vocazione, sicuramente favorita dalla scelta di mia sorella, fu ancora più osteggiata. Al punto che dovetti minacciare mia madre che, appena raggiunta la maggiore età di 21 anni, mi sarei fatta monaca di clausura, così che non mi avrebbero più potuta vedere. E allora cedettero”.

Oggi che siete impegnate per anni in missioni in lontani Paesi, come vi appare Ponza della vostra infanzia?
“Il ritorno alla nostra isola e ai nostri familiari è sempre una gioia. Ma quanto è diversa Ponza da allora! Noi vivevamo in maniera semplice con poche cose, sotto lo sguardo vigile e severo di nonna Assunta che aveva però per noi un affetto incondizionato. Se ci faceva filare dritto era per il nostro bene.
Nonna era molto severa soprattutto con se stessa.
La settimana di Pasqua, come in altre ricorrenze religiose, preparava pranzi succulenti per tutti noi, ma per lei osservava un assoluto digiuno. Specie quando doveva occuparsi della salute dei bambini, che le mamme preoccupate portavano a lei quasi ogni giorno, lei si raccoglieva intensamente in preghiera e ci ricordava ogni momento che a curare era nostro Signore e non lei con la sua povera arte naturale. Utilizzava, infatti, il granoturco con cui segnava i porri, accompagnando il rito con segni di croce e preghiere appena sussurrate; faceva scomparire le macchie scure dalla pelle utilizzando lumache vive che passava sulla parte; un secchio di legno messo a mollo nel pozzo, le forniva quel muschio che passava sul petto dei bambini inappetenti. La sua antica sapienza lei la traeva come da se stessa e dalla tradizione antica, forse dai nonni. Non aveva studiato, ma leggeva con grande concentrazione i libri Sacri. Ogni momento della giornata, poi, era buono per recitare preghiere e rivolgersi a Dio”.

Conosceva anche delle preghiere in dialetto con cui ritmava la giornata?
“Sì, ne recitava tantissime e ce le faceva imparare a memoria. Ad esempio al momento di andare a dormire ripeteva assieme a noi: “Io me cocc’ ’nda ’stu liett’ – ’a Madonna ’a teng’ ’mpiett’ – ie dorm’ e ie veglie – se è qualcosa mi risveglia. Gesù Cristo m’è padre… ’a Madonna m’è madre… i Santi me so’ parient’ – Gesù Cristo dint’ a ’sta nuttata – nu’ me fate passa’ niente”.

Sembra uno stile di vita ricopiato sul motto benedettino: “Ora et labora”.
“Proprio così. Fu proprio per questa presenza insistente delle preghiere, che nostra nonna fu chiamata solennemente l’“abbatessa”.
Una abbatessa, però, che, assieme alla preghiera, era sempre pronta ad aiutare ed era in prima fila quando succedeva una disgrazia.
Una volta, ricordiamo, tre pescatori restarono dilaniati mentre disinnescavano una mina da cui ricavare polvere da sparo con cui confezionare bombe per prendere pesci.
Nonna fu quella che accorse per ricomporre quei poveri resti martoriati, perché i familiari non ne avevano il coraggio”.


Una vita semplice, di grandi esempi di generosità, ma anche povera.
“Una vita semplice, certo, ma in casa nostra non mancava niente. Allevavamo un maiale, galline e conigli, zappavamo la terra, andavamo, ad esempio, ai Faraglioni per raccogliere nella ricorrenza di San Giuseppe i vermicelli di mare con i quali facevamo delle frittelle gustosissime.
Nonna, poi, era bravissima a lavorare la canapa, con la quale i pescatori costruivano i loro attrezzi da pesca. Fabbricavamo il sapone in casa, prendendo della soda, della bentonite e del lattice di agave che mescolavamo e ne facevamo dei panetti che venivano essiccati.
A noi bambine però mancavano le bambole. E allora utilizzavamo delle pietre lunghe che rivestivamo con delle pezze che nonna teneva da parte per rammendare una veste o una camicia.
Poco più che decenni fummo mandate all’unico corso di taglio e cucito di Le Forna. Lo organizzava Civitina, moglie di “Gennaro ’a Posta”: ricordo ancora come mi spiegava tutta precisina nel suo dialetto – era originaria di Suio di Castelforte – il modo di fare l’orlo alle gonne. Del resto il corso di cucito era anche l’unica alternativa al lavoro domestico di noi bambine di allora e credo sia stato usato come ulteriore mezzo per distrarci dalla nostra vocazione”.

Una vocazione che è impregnata dei ricordi d’infanzia e di questa grande nonna.
“Certamente. Da lei abbiamo appreso un grande messaggio di solidarietà. Ed è per questo che oggi noi siamo contente di far parte di una Congregazione impegnata nell’apostolato missionario in ben 23 Paesi del mondo, soprattutto dell’Africa, ad assistere bambini, anziani e malati. Il nostro modello è e rimane nonna Assunta e noi le siamo grate per averci indicato la strada giusta”.

 

Ci salutiamo e ci scambiamo gli auguri di serenità e Suor Assunta neanche accenna che attualmente è al vertice della Congregazione delle Suore Adoratrici del Preziosissimo Sangue e che ancora una volta è in partenza per una delle sue missioni in Tanzania. Suor Lucia, poi, non ricorda neanche il nome del paese del beneventano, che saprò solo più tardi dal fratello Enrico che si tratta di Rotondi, dove andrà subito dopo il ritorno da Ponza.
La loro fede e la loro semplicità disarmante fanno rimpiangere un tempo ormai lontano.

Signora con fazzoletto in testa [2]

Gruppo [3]

Gruppo con suora [4]

Dall’album di famiglia di suor Assunta e suor Lucia; l’anziana signora della prima foto, con il fazzoletto in testa, è nonna Assunta, l'”Abbadessa”