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Commenti al racconto e sul tema aperto da Gaetano Migliaccio Jr.

di Rosanna Conte
Emigranti.1 [1]

Raccoglieremo in quest’articolo i vari contributi che ci giungeranno, dai collaboratori abituali del sito e dai Lettori, sul tema proposto.
l.R.

 

E’ emblematico che Gaetano Migliaccio Jr. abbia voluto far precedere il suo racconto da una premessa che lo inquadrasse correttamente, quasi a sottolineare che, se la sua capacità narrativa non fosse riuscita a far comprendere a pieno il dramma dell’emigrato, in quella premessa si potevano trovare le coordinate per ricostruirlo.

La preoccupazione di riportarci questo mondo interiore dilaniato è una spia della sensibilità di un animo che sa che le proprie radici sono buone e forti, perché gli hanno consentito non solo di fare scelte dolorose, come quella del distacco, ma anche di affrontare il nuovo con coraggio e determinazione. E’ per questo che non le vuole perdere.

Il dialetto, le filastrocche, i profumi, le pietanze, le relazioni, le condizioni di vita, le persone che hanno nutrito la sua vita dalla nascita alla partenza dal suo paese, non potevano essere messe da parte da Gigino una volta diventato Luigi senza perdere la linfa vitale che avrebbe dato respiro alla sua vita successiva. Non per niente sono chiamate ‘radici’, proprio come quelle dell’albero: a un albero puoi cambiare la parte superiore con l’innesto, ma non le radici. Se tocchi quelle, l’albero muore.

Il ritorno al paese, decenni dopo, gli fa capire che quel mondo non esiste più: non c’è più l’amata zia e non ci sono più nemmeno i compagni di una volta.
Ne resta solo il ricordo impresso nel suo animo, come impronta che lo rende riconoscibile per tutta la vita.
E’ così che Luigi comprende l’importanza di conservare in sé la presenza antica.
Da qui la voglia di cucinare i piatti di una volta, di riutilizzare il dialetto, anche se non più genuino, ma recuperabile attraverso i proverbi o le nenie e le filastrocche che gli cantatva la zia.
Potrà, adesso, vivere tranquillamente il resto dei suoi giorni non solo guardando in faccia il suo ricordo, ma rivivendo le emozioni antiche attraverso l’azione guidata dal ricordo.
Gli resta, comunque, la malinconia di non poter continuare a farlo vivere dopo di sé.

Anche se cerca di tramandare gli elementi di quel mondo al figlio Peppe, sa che non potranno mai far parte di lui: non li può comprendere perché non li ha vissuti. Forse, se avesse insistito, contro il volere della moglie, a cantargli le nenie e filastrocche nel suo dialetto quando era piccolo, avrebbe potuto anch’egli conservarne il ricordo. Ma il mondo di Peppe è troppo diverso da quello di Gigino: il distacco tra le generazioni è tale che non consente più passaggi.

Emigranti.3. Stazione [2]

L’accorato sentimento di Gaetano Migliaccio Jr. è un dono per una comunità come quella di Ponza che ha dato al mondo tanti emigranti. In esso si coglie positivamente l’antico legame con l’isola, anzi quel legame è per Gaetano un bene prezioso.

Se leggiamo un’altra testimonianza che abbiamo sottomano, quella di Ralph De Falco – Le avventure di un mancino (leggi qui [3]) – ci rendiamo conto che gli emigranti, una volta integrati, possono anche riporre le radici nel cassetto dei ricordi e non avvertire lo sradicamento. Ralph non si pone il problema  di conservare elementi di un mondo passato che non c’è più: è completamente americanizzato e i suoi figli non lo sentiranno mai parlare con nostalgia di Ponza.

Certamente ci saranno anche altre sfaccettature del mondo degli emigranti che, ricordiamolo, sono pezzi di Ponza schizzati nel mondo, ognuno con una particolare modalità di ricordare, rivivere, scordare, ricostruire. Moltissimi, infatti, non sono più tornati: sarebbe stata straziante una nuova partenza o è tramontato anche il ricordo?

emigranti.2 [4]

Molti tornano.

Se hanno fatto fortuna si vedono arrivare ogni anno per l’estate, pronti a godere del mare e delle bellezze di Ponza: non hanno nostalgie e non sono tristi quando ripartono.

Altri arrivano dopo decenni e non si sa se torneranno ancora: nei loro occhi c’è la tristezza per la nuova partenza senza data sicura di ritorno, ma si intravvede la serenità che nasce dall’accettazione del proprio destino: in America li aspetta una vita migliore di quella che Ponza avrebbe loro offerto.

Qualcuno, dopo la prima volta, non è tornato più. Forse non avrà trovato nulla di quanto ricordava e sarà scomparso come l’amico meridionale di Luigi che non ha saputo reagire all’impatto del ricordo con la realtà.

Statua della Libertà. Tramonto [5]

 

 

L’elaborazione del lutto
di Sandro Russo

Lo scritto di Gaetano Migliaccio Jr., di cui si è appena completata la pubblicazione sul sito, è la rappresentazione in forma di racconto dell’elaborazione di un lutto.
Questo termine, ormai anche troppo abusato, viene utilizzato per indicare il lavoro di approfondimento del vissuto, dei significati e dei processi sociali legati alla perdita dell’oggetto relazionale, ovvero della persona (o relazione) venuta a mancare, con la quale si era sviluppato un legame emotivo importante; nel caso in questione il legame affettivo e culturale con la terra in cui si sono vissuti i primi anni di vita.

La giovane età di Gaetano e il non aver fatto in prima persona l’esperienza che descrive, lo ha portato a estrapolare e ricostruire la storia da fonti diverse; soprattutto, immagino, dalla sua famiglia e dal mondo in cui si è trovato a vivere. Quindi – “da scrittore” – ha cercato di farne una sintesi, anche se il tema che tratta è per lui molto coinvolgente. Per questo l’ha messo fuori da sé, ritagliandosi quasi un ruolo di osservatore (non necessariamente realistico), nel personaggio del figlio di Luigi, Peppe.

Per tornare all’elaborazione di cui si diceva all’inizio, il ricordo di una perdita, per molto tempo, fa tanto male da essere quasi insostenibile; poi la distanza temporale e spaziale, l’arricchimento ed il sovrapporsi di altre esperienze, leniscono quel dolore… Quando il processo si è completato, rimangono gli aspetti positivi dell’esperienza vissuta con quella persona (o in quella situazione), dissociati dal dolore della mancanza.

Soffione. BN [6]

È quello “il tempo del ritorno”, di cui parla Rosanna. Le persone e la vita conosciute sull’isola sono propriamente riportate al significato di ‘appartenenza’ e di ‘radici’ che danno forza per costruire il nuovo, a cui si può ritornare con un velo di malinconia, ma senza troppo dolore.

Grazie a Gaetano per aver approfondito questo tema dal suo punto di vista.
Immagino che molteplici possano essere state le esperienze e molte altre voci potrebbero arricchire il quadro…