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La spesa al mercato (2)

di Pasquale Scarpati

e io pago [1]

per la prima parte (leggi qui [2])

 

Anni ’80 – Anni di cambiamento sia perché alcuni Paesi in via di sviluppo cominciano a far sentire il loro peso sull’economia mondiale, sia perché il debito si è talmente ingigantito che non è più possibile sostenerlo. Ugualmente si continua a spendere. Sono gli anni in cui la famiglia di Marcovaldo riempie a caso i carrelli della spesa, uno per ciascun componente.
La lira dovrebbe stare nei limiti dello SME (cosiddetto serpente monetario): dico dovrebbe.
I comuni fanno a gara nei “gemellaggi” e le Regioni cominciarono a far sentire la loro voce: cioè a prelevare. Anche se l’inflazione sale, ugualmente le famiglie riescono a soddisfare i propri bisogni essenziali e, perché no, anche voluttuari anche perché le donne contribuiscono, oramai a pieno titolo al budget familiare. Non c’è penuria di denaro per cui, tra l’altro, ordinanze comunali impongono l’obbligo di chiusura degli esercizi commerciali nei giorni di domenica e di lunedì mattina (chi non si attiene viene multato oppure è costretto a stare chiuso in un giorno infrasettimanale).

Anni ’90. Gli scricchiolii si stanno trasformando in un crac. In uno dei tanti momenti di debolezza della lira si pensa di sostituire la vecchia classe politica, oramai non più capace di gestire un’economia che lei stessa aveva creato. Ma le spese folli permangono e sono dure da eliminare perché esse generano, tra l’altro, consensi elettorali.
Il governo Amato, invece di eliminarle, pensa bene di cominciare ad aumentare le tasse. Chi non ricorda quella dichiarazione dei redditi molto minuziosa o altri soldi versati “una tantum” (dandum!?). Ma nonostante questo la spesa pubblica rimane superiore alle entrate.

basta tasse [3]

Anni 2000. Con l’avvento dell’euro la situazione peggiora sia perché il mercato è invaso da prodotti provenienti da altri Stati,sia perché gli stipendi sono convertiti nella moneta europea alla “pari”. Così, ad esempio, uno stipendio di 2 milioni di lire al mese diviene di 1000 euro ca. A mio avviso, però, fin d’allora, si prefigura una perdita di potere di acquisto della moneta se:
a) immediatamente si mette in circolazione un taglio di moneta molto alto: ben 500 euro (corrispondente ad uno stipendio mensile);
b) alcuni comuni immediatamente innalzano la tariffa della sosta a pagamento, portandola da 1000 lire/ora ad un euro/ora ( cioè raddoppiata);
c) chi può aumentarsi lo stipendio (senza contrattazione sindacale) o la parcella lo fa rapportando tutto alla nuova moneta. I beni di consumo quotidiano, nel tempo, si adeguano al valore della nuova moneta. Così ad esempio un prodotto che costava 1000 delle “ vecchie” lire si trasforma in 1 euro (il doppio), se non di più (basti fare mente locale). Si incomincia a dire che tale prezzo è… conveniente! Chi non ricorda l’aumento vertiginoso del prezzo degli… zucchini?.

prezzi in lire ed in euro [4]

Una gran polemica. Qualcuno propone di calmierare i prezzi. Impresa, per me, inutile e dannosa perché fa sparire il prodotto dal mercato e favorisce il mercato nero. Anche la Chiesa invita i fedeli a fare un’offerta adeguata ai tempi! Molti, infatti, ancorati ancora alla cento lire, offrono non più di 5 centesimi!
Qualcuno tenta di pagare le multe o la sosta a pagamento con una pioggia di spiccioli. Ma un decreto vieta questo modo di oblare l’ammenda.
Essendo il rapporto tra le entrate e le uscite di una famiglia sbilanciato a favore di queste ultime, si incomincia a “stringere la cinghia” e ad essere più oculati nella spesa, attingendo anche, là dove è possibile, ai risparmi depositati.

Le cause dell’aumento del costo della vita sono molteplici (sarebbe lungo analizzarle) e tutte intersecanti, ma una, molto semplice, sta sotto gli occhi di tutti o per meglio dire nel portafoglio di tutti: l’unità monetaria spendibile è 1 centesimo che corrisponde alle vecchie 20 lire!
Così, ad esempio, un prodotto che prima era venduto a 90 lire, adesso, non essendoci nella nuova moneta una corrispondenza, deve essere acquistato o venduto almeno a 5 centesimi (cento lire). Ma, siccome gravano su questo prodotto ulteriori spese di vario genere, deve essere commercializzato ad un prezzo ancora superiore.
Per questo fatto, poiché le pensioni e gli stipendi sono rimasti ancorati alle vecchie lire, le uscite diventano troppo onerose e poiché di alcune ,oggi, non se ne può fare a meno, si cerca di risparmiare su tutto ciò che si ritiene superfluo per cui, in alcuni casi sono ritornati in auge i “metodi della nonna” e la cucina “tradizionale”.
Ed anche se in taluni casi è meglio comprare un oggetto nuovo piuttosto che farlo riparare, si scelgono prodotti a minor costo e che diano, però, un certo affidamento.
Ne soffre l’industria che è costretta a ridurre la produzione con le ovvie conseguenze. Si consideri, altro esempio, il prezzo di un’auto “utilitaria” e si rapporti il suo prezzo attuale a quello della lira.

E’ ovvio che, comprimendo i consumi, anche lo Stato, inteso come comunità di cittadini, soffre e non può garantire ciò che negli anni passati aveva elargito. Con la diminuzione delle entrate lo Stato, inteso come Governo, taglia soprattutto la spesa pubblica: scuola, sanità ecc… (ma poco ha fatto per gli sprechi e per controllare spese “gonfiate”, progetti inutili e soprattutto costosi in relazione a quanto realizzato e alla loro funzione e fruizione).
A sua volta questo taglio provoca un’ulteriore diminuzione delle entrate. La legge di stabilità, poi, ha compresso i Comuni (forse ci si fida poco degli amministratori locali, i quali non sempre hanno dato prova di sapere gestire oculatamente la spesa pubblica). Restano, purtroppo, ancora in piedi molti carrozzoni che, o perché elefantiaci o perché hanno mille ramificazioni, sono difficili da debellare. Il tutto a danno dei consumi.
Così, come avveniva negli anni ’50, si è divenuti, giocoforza, più oculati nella spesa. A loro volta gli esercenti hanno adottato altri sistemi per attirare i clienti: offerte, discount (i quali sono un po’e con le dovute differenze, come i negozi di quegli anni: scaffalatura ridotta all’essenziale, cartoni dove riporre la merce; niente di superfluo); aperture domenicali ed altro. Nello stesso tempo si tenta di risparmiare anche su quelle spese oggi ineludibili: come ad esempio elettricità, gas, telefono ecc. Ma, in questo caso, per i consumatori, i risultati – per ragioni che non sto qui ad analizzare (sarebbe lungo e implicherebbe molti rami collaterali) – sono piuttosto scarsi: la bolletta, infatti, continua comunque a crescere! Insomma a ben guardare si può dire che il tempo in cui “u’ cocco nettat’ e buon’” (l’uovo già pulito e mangiato) sia finito perché è finito il tempo di “sciacqua Rosa e viva Agnés’”:il tempo, cioè, del denaro facile da guadagnare e facile da spendere. Si è tornati, sia pur con le dovute differenze, al modo di sentire l’economia familiare come negli anni ’50.

Pertanto, come avveniva in quegli anni, bisogna aguzzare l’ingegno per andare avanti “perché – come scriveva B. Croce – i popoli, come gli individui, se non vanno innanzi o non si sforzano di andare innanzi, vanno indietro e fermi e tranquilli non possono restare senza corrompersi”.
Sicuramente ci sarà la ripresa ma si riprenderà con un nuovo modo di pensare: si partirà, sicuramente, dalla nuove abitudini che si sono consolidate in questi ultimi anni.

begin again [5]

P.S. – Sarebbe auspicabile che ognuno inserisse – nei decenni – la propria esperienza quotidiana

[La spesa al mercato (2) – Fine]