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Stracquo. Francisc’… ’u re d’u stracquo

di Franco Schiano
Mareggiata a Giancos [1]

 

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Lo vedevo quasi tutte le mattine d´inverno, mentre prendevo il caffè in piedi dietro la finestra della cucina di casa mia che affaccia sulla spiaggia di Giancos. Veniva dal lato di Santa Maria e percorreva lentamente tutta la battigia fino a sotto la falesia davanti alla Centrale Elettrica.

Raccoglieva praticamente tutto quello che il mare portava a riva durante la notte – specialmente quelle di mare mosso o agitato. Erano tronchi, pezzi di legno informi o bizzarramente levigati e modellati dal mare, contenitori di vario materiale di diverse fogge e dimensioni: da quelli in lamiera da 200 litri che normalmente contenevano olii combustibili a quelli di plastica di capacità inferiori fino ai piccoli contenitori di detersivo liquido, pezzi reti da pesca, gomene perse o buttate in mare dalle navi di passaggio, cassette, parabordi, salvagenti circolari con il nome della nave, giubotti  di salvataggio, pezzi di boccaporto, relitti di naufragi lontani: insomma Francisco ’i Cula Cula, di cui purtroppo non ricordo il cognome vero, raccoglieva tutto. Con metodo, divideva i diversi materiali facendo vari mucchi in mezzo alla spiaggia lontano dal battente dell´onda in modo che il mare che li aveva portati non potesse riprenderseli.  Si perché il mare dà e il mare prende. ’U mare è… mare e fa sempe ’u mare, nel buono e nel male.

Di tanto in tanto si chinava a raccogliere qualcosa di piccolo che metteva in una sacca consunta di tela grigia che portava a tracolla.

All´epoca Francisc’ ’i Cula Cula  aveva una sessantina d´anni, piuttosto basso, con una bella capigliatura che una volta doveva tendere al biondo e un´espressione solare. Ricordo di non averlo mai visto arrabbiato o accigliato, anzi sempre disposto al sorriso e al buon umore. Molto spesso  lo accompagnava la moglie Evelina. Una donna rotondetta dai capelli scuri tirati indietro con un piccolo toupé, che al contrario del marito, sembrava ingrugnita, anche senza esserlo veramente.

Una volta completata la raccolta e la catalogazione dello “stracquo”, Francisco, con l´aiuto della moglie, provvedeva allo smistamento. Per prima cosa selezionava tutti pezzi di legno  che a suo giudizio potevano avere un certa forma diciamo ‘artistica’. Tronchi che il mare aveva levigato e modellato in forme particolari: un pezzo di legno che sembrava un cane seduto, un altro, che con qualche piccolo ritocco poteva sembrare un crocefisso, un monaco in preghiera, un bastone istoriato, un attaccapanni dalla foggia futurista, e cose di questo genere. Li raccoglieva e li portava nella piccola grotticella a fianco l´imboccatura del tunnel di Giancos, dove successivamente il pittore Fontana – proprietario della grotta e della bella villa proprio a strapiombo sulla falesia, ne avrebbe scelto qualcuno per le sue “istallazioni” artistiche, pagando qualche migliaio di lire per ogni pezzo trattenuto a Francisc’ che, col tempo e forse aiutato da una sua naturale predisposizione, aveva un grande occhio ad individuare tra centinaia di legni stracquati quello che nascondeva un lato artistico.

I pezzi scartati da Fontana – insieme agli altri “senza valore artistico” ammucchiati da Francisc’ – andavano ad alimentare i forni a legna dei panettieri di allora, principalmente quello della “Russiella” a Giancos e quello di “Bunaria” a Santa Maria anche perché erano i più vicino ai luoghi dello stracquo. Centinaia di cotture di forni di pane sono state alimentate dalla legname stracquato raccolto da Francisc’, che da queste forniture ricavava un certo numero di pagnotte di pane.

La terza selezione del legno riguardava tavole o pali che non andavano arsi perché potevano avere una loro riutilizzazione per svariati usi: un tavolo, una porta, una panca, o i pali utilizzati in campagna per le viti o per qualche “ammarraggio”, ossia uno steccato/recinzione con annessa funzione di frangivento. Di quest´ultime Francisco il più delle volte faceva una utilizzazione diretta nel suo appezzamento di terreno a Santa Maria, dove abitava. Altre volte le dava ad amici e conoscenti per analoghi usi, in uno scambio baratto che andava dal chilo di pesce a una cotta di fave o piselli.

Anche i contenitori avevano un grande “mercato” del riciclo. I più preziosi, anche perché rari, erano i bidoni di lamiera da 200 litri.  Potevano avere varie utilizzazioni: in campagna come deposito d´acqua  per innaffiare, oppure tagliati e aperti, venivano usati per “ammarraggi”. Per quest´ultimo uso si usavano in genere quelli che presentavano qualche piccolo foro e pertanto non più idonei ad essere usati come contenitori d´acqua. All´epoca si usavano ancora molto anche dei bidoncini di latta , cilindrici o rettangolari, da circa 20 litri, che venivano trasformati in secchi – sempre p’addacqua’ – con l´aggiunta di un manico di fil di ferro, legno o di una semplice cordicella, magari anch´essa stracquata.

C´erano poi i contenitori di plastica. Quelli più grandi (dai 10 ai 30 litri) erano i più richiesti dai pescatori come contenitori per la nafta di scorta a bordo delle loro barche a motore. In cambio arrivava sempre del pesce. Ma anche  la maggior parte dei contenitori di plastica più piccoli (detersivi e candeggina) finivano per essere riutilizzati – singolarmente o a gruppi – dai pescatori come “petagni”, segnalatori galleggianti per le reti o altri attrezzi da pesca come “coffe” e nasse. E sempre qualche pesciolino arrivava a Francisco.
Una parte dei piccoli contenitori di plastica veniva utilizzata anche dai contadini: infilati in cima ad una canna fungevano da spaventapasseri.
Anche i pezzi di reti da pesca e gomene, salvo rare eccezioni di utilizzo per mare, finivano in campagna. Le reti per  proteggere le piante da frutta dagli uccelli e le gomene per rudimentali delimitazioni di proprietà.

Ma anche le altre cose, come cassette, salvagenti, parabordi, giubbotti,  relitti di ogni specie, ecc… venivano raccolte da Francisco. “Primm’ o dopp´ ponn´ sempe servi’” – diceva  mentre le accatastava a casa sua – a qualcuno che lo apostrofava dicendogli: “Franci’ ma che te ne fai ’e tutta ’sta munnezza?”

E intanto in attesa che qualcosa potesse servire, continuava ad ammucchiare in casa tutto quello che non trovava una immediata riutilizzazione. In effetti qualcosa nel tempo gli capitava di utilizzare, ma la quantità di roba stracquata che portava a casa era sempre maggiore di quella che usciva. Quando Francisco morì,  dopo la moglie, più della metà dei 70 metri quadri della sua casa erano zeppi di materiale di stracquo accumulato negli anni. Ciccillo ’a Gallina dovette fare più di 20 viaggi col suo furgone per smaltirlo.

Francisc’ ’i Cula Cula è stato un personaggio singolare del suo tempo.
A modo suo, e forse senza neanche rendersene conto, Francisc’ è stato un ambientalista ante litteram, certo per questa sua “mania” di ripulire le spiagge, riutilizzando praticamente tutto quello che il mare portava a riva.
Applicava una sorta di riciclaggio alla buona, in tempi in cui la parola era praticamente sconosciuta perché si era all´apice del consumismo.

Ma anche, e forse soprattutto, per come quella volta si prodigò per salvare un delfino spiaggiato, o stracquato per dirla alla ponzese.

Un episodio lontano nel tempo ma che ricordo con vividezza perché mi colpì molto.

Era una mattina di marzo e durante la notte il levante aveva soffiato forte. Come al solito guardai fuori dalla finestra della mia cucina, mentre sorseggiavo il caffè appena fatto, e vidi Francisc’ che, mentre si affannava intorno ad una sagoma argentea adagiata sul bagnasciuga, levava alte grida per attirare l´attenzione dei rari passanti di quell´ora mattutina. Guardai meglio e capii che si trattava di un giovane delfino spiaggiato e che Francisc’ si stava dando da fare per rimetterlo in acqua e non farlo morire. Corsi anch´io a dare una mano e per fortuna insieme ad alcuni altri volenterosi passanti riuscimmo a salvarlo – bagnandoci da capo a piedi perché entrammo in acqua fin oltre la cintola – facendogli riprendere  il mare, con grandissima gioia di Francisc’.

Oggi sulla spiaggia di Giancos non vi vede più nessuno che fa lo stracquo, come faceva ai suoi tempi Francisc’ ’i Cula Cula, anche perchè il mare porta meno roba di prima per il semplice motivo che sono cambiati i venti dominanti: da qualche anno non è più il levante a farla da padrone, ma piuttosto i venti da ovest, quindi ora è la costa di ponente a ricevere con maggiore abbondanza i doni del mare.

Per fortuna c´è ancora a Ponza chi prosegue l’antica tradizione dello stracquo, non più a Giancos, ma lungo le cale fuori dal porto guardando di più a quelle di ponente. Ancora oggi si possono vedere giovani isolani fare il giro di avvistamento “ciglie, ciglie” all’indomani di una mareggiata.

L´emozione di scoprire dal “ciglio” o direttamente sulla battigia i doni del mare è troppo forte ed coinvolgente.
Sul bagnasciuga o incastrato tra gli scogli affioranti nelle sue immediate vicinanze c´è sempre una buona quantità di legno che non viene più utilizzato dai fornai e serve solo ad alimentare qualche caminetto in inverno o qualche forno privato per pizze d’estate; ma poi ci sono sempre tutte quelle cose che “Francisco di tanto in tanto si chinava a raccogliere… qualcosa di piccolo che metteva in una sacca consunta di tela grigia che portava a tracolla…”.

Non vi ho detto cos’erano! Sta a voi scoprirlo…

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