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A malavéna

di Francesco De Luca (Franco)
Attesa [1]

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Oggi che dai colli gialli si slarga un tenue spiro intriso del profumo discreto d’i  ’uastaccette, insieme ad un’aria lattiginosa, e si appoggia sulla lastra del mare su cui è adagiata l’isola, è difficile che ’a malavéna si insinui come un tarlo nella mente e rosichi. Perché una invisibile continuità trapassa fra la natura e l’uomo e si intersecano le due entità e si condizionano.

Ma quando la fisicità grida la sua impotenza contro la malattia, e il dolore la avvolge completamente, lo sconforto esonda  dalla corporeità ed avvolge le rappresentazioni e le figurazioni mentali. ’A malavéna diviene padrona d’ogni espressione. Senza forza la volontà, senza sprone il desiderio, senza ardore la passione.

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’A malavéna

roseca,

s’allarga,

nun pare

ma ’ncatena.

Te fa sufferente,

stizze i nierve,

tiene tutto

e tiene niente.

Te fa passa’ ’a voglia,

ammoscia ’a fantasia.

Senza fune

t’arravoglie.

Si’ scucciato,

si’ sfastediato…

è ’na pena

’a malavéna