Ambiente e Natura

La grande perdita

di Mimma Califano
Ponza di Milo Manara. Copia

 .

Vista con gli occhi di altri, la realtà di Ponza appare in tutta la sua crudezza e tristezza.
Ho riletto più volte la previsione finale che il giornalista svizzero fa per Ponza (leggi qui): “…un mucchio di pietre, base di alberghi… e turisti, boutique e souvenir, ma senza più un significato di isola”.
Lui parla di “significato di isola”, a me viene da omettere la parola ‘isola’.

Come abbiamo fatto a ridurci così?
Il nostro carattere individualista? Le invidie e cattiverie reciproche? Il benessere troppo rapido e troppo facile?

Viene anche da chiedermi se la nostra storia, dalla colonizzazione ad oggi, con tutte le sue intrigate vicende e frequenti vessazioni sugli isolani, non ci abbia indotto a chiuderci sempre più, a diffidare del vicino, a lavorare a testa china temendo le incursioni del potere, che nei secoli ha cambiato nome e volto, ma vessatorio è rimasto, salvo qualche rarissima eccezione.

Risposta quasi obbligata: la somma di tutti questi fattori.

Quello che qui mi viene da aggiungere è però un ulteriore elemento: la perdita della nostra cultura.

Ricordo che molti anni fa, in un incontro pubblico, ci si chiedeva se Ponza fosse riuscita ad elaborare una sua cultura o se ci fossimo limitati a conservare quel che avevamo portato dietro da Ischia, Torre del Greco, ecc…. in sostanza una generica “cultura napoletana”.
All’epoca nel dibattito prevalse la seconda ipotesi: nessuna vera elaborazione autonoma; semplice conservazione!

Con gli occhi di oggi, quelle considerazioni vanno ribaltate.
Trenta e più anni fa, non potevamo vedere; eravamo talmente intrisi nella nostra quotidianità di abitudini, dialetto, cibo, modalità e tipologia di lavoro, in sintesi “modello di vita”, da non renderci conto che in realtà, quell’insieme di elementi, costituiva “la nostra cultura”.
Chiamiamola anche sub-cultura: piccola, locale, ristretta ad un limitato numero di persone, ma comunque qualcosa che ci identificava.
Invece all’epoca, probabilmente proprio l’incapacità di definirla ed identificarla, non ci ha indotto a lavorare per conservarne la memoria.
Ma più grave ancora è stata l’incapacità di valutare la rapidità e profondità dei cambiamenti.
Globalizzazione e massificazione hanno travolto tutto, anche la piccola Ponza. Il mondo va ineluttabilmente avanti per la sua strada, per tanti aspetti anche in meglio.
Ma non essere stati in grado o forse non avere neppure tentato di trasmettere alle nuove generazioni la consapevolezza della nostra identità culturale e quindi la necessità di difenderla, questa è la nostra maggiore sconfitta.

Ieri il potere si manifestava con la violenza; oggi è più subdolo, usa la televisione, internet, il miraggio dei soldi facili, la globalizzazione e se trova un terreno sterile (la mancanza di un’identità) tanto più facilmente attecchisce, dopo solo il deserto, o… “…rocce e sassi e poco più” come pronosticato per questo nostro scoglio!

Queste tristi considerazioni tuttavia non ci fermano, al contrario diventa sempre più stringente la necessità di salvare e mantenere in vita il più possibile la nostra memoria, chissà che ad un nuovo giro di giostra non cambi qualcosa, e la tristezza che il giornalista svizzero ha letto negli occhi dei ponzesi di oggi non possa un domani tornare ad essere orgoglio per la propria isola – bella come poche altre – e della propria identità.

1 Comment

1 Comment

  1. vincenzo

    6 Marzo 2014 at 10:17

    Quale cultura cercava il giornalista svizzero?
    C’è una bellissima copertina elaborata da Pasquale Mattei nel suo viaggio “L’arcipelago Ponziano Memorie Storiche Artistiche 1857”.

    Il disegno della copertina raffigura uno strano uomo che sta su una collina, solitario, con il cappello i suoi occhialini e il suo ombrellino e prende appunti. Questa collina è formata di “rocce e sassi” ma su ogni pietra c’è scritto: storia, tradizione, bizzarrie, usi, avventure, e poi ci sono un cane, un gabbiano, un’agave stranamente storta.

    L’uomo, saggio, l’uomo che riesce a comprendere il linguaggio strano della pietra nascosta sotto l’erba riesce a tirare fuori un racconto di una comunità.
    L’uomo che comprende l’insieme sta solo sul vertice di questo accumulo di pietre e le racconta e le conserve e le fa comprendere e cerca di valorizzarle.
    Ecco perché si costruiscono i musei o biblioteche, e si organizzano itinerari archeologici e paesistici, perché si organizzano le sagre popolari, e le mostre etnologiche ecc.
    L’uomo normale vive e sopravvive secondo l’economia imposta – e badate, solo il più adatto sopravvive – ma fra qualche anno anche questi uomini saranno storia.

    Che cosa cercava il giornalista svizzero a Ponza? “Sassi e pietre e ha trovato sassi e pietre!”

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