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L’etnia kurda. (2). La strage di Halabja (prima parte)

di Sandro Russo
Monument_in_memory_of_chemical_weapons_attack. Halabja 1988 [1]

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Credo che mai mi sarei interessato della questione kurda, se non fosse stato per Farah, una studentessa di Medicina che mi era stata affidata per la tesi di laurea.
Farah era volenterosa, riservata e gentile …e assolutamente determinata a svolgere la sua tesi su un argomento che aveva molto a cuore, da lei stessa proposto: l’eccidio con gas tossici perpetrato da Saddam Hussein ai danni di popolazioni civili kurde, nella vallata di Halabja (pron. Halabgià), nel 1988.
La struttura dove lavoravo a quel tempo –  il Centro Antiveleni del Policlinico Umberto 1°, Università degli Studi di Roma ‘La Sapienza’ – era perfetta per il tema da svolgere, e si era nel 1996, a distanza ma non troppo dai fatti accaduti, una ferita ancora aperta nel cuore dei kurdi e di tutti coloro – non molti, in realtà –  che nel resto del mondo ne erano venuti a conoscenza.
S.R.

 

Sintesi dei punti salienti della Tesi di Laurea:

“Agenti di guerra chimica e biologica. Dati, prove ed effetti del loro impiego sulle popolazioni curde”

Il contesto dell’aggressione del regime di Saddam Hussein ai kurdi iracheni, a parte le motivazioni storiche e territoriali, fu la lunga e sanguinosa guerra Iran-Iraq, combattuta tra i due Paesi dal settembre 1980 all’agosto 1988, con alterne vicende, in cui si erano inseriti gli interessi e gli interventi (manifesti o/e occulti) delle principali potenze mondiali.
In tale guerra, le posizioni dei kurdi residenti in Iraq e in Iran, riuniti in diverse sigle paramilitari, erano state complesse e contraddittorie.

A por fine ufficialmente al conflitto Iran – Iraq fu la risoluzione ONU dell’agosto 1988, accettata inaspettatamente da entrambi i paesi ormai allo stremo.

Ma si può dire che dal 1985 al “cessate il fuoco”, l’esercito iracheno combatté con maggior determinazione contro i kurdi che non contro l’Iran e mentre la guerra sul fronte meridionale proseguiva stancamente, le forze armate di Saddam Hussein si accanirono duramente contro la popolazione civile curda.

Nel cosiddetto Kurdistan iracheno fu fatta “terra bruciata”, interi villaggi furono rasi al suolo e da 800.000 a 1.500.000 civili furono deportati. La tortura, le sparizioni e le esecuzioni extragiudiziali, i tentativi di avvelenamento – alcuni particolarmente efferati, come la contaminazione con pesticidi di farine lattee di uso pediatrico – diventarono un incubo quotidiano per le popolazioni curde.

Alla fine del conflitto con l’Iran, il tentativo di genocidio nel Kurdistan era in atto da oltre un anno e l’armistizio non fece che consentire al regime di Baghdad di destinare interamente il suo apparato repressivo alla soluzione del problema kurdo con tre successive campagne di genocidio “Anfal” (dal Corano: “prede di guerra”).
Si può al riguardo usare il termine “genocidio” perché se il progetto Anfal non raggiunse l’obbiettivo di eliminare definitivamente i kurdi in quanto tali, ciò non fu determinato dalle proteste o dalle pressioni della comunità internazionale, bensì dalla mera sovrapposizione, nel 1990, di un diverso (e altrettanto folle) progetto di Saddam Hussein, ovvero l’occupazione del Kuwait e la sua annessione all’Iraq come sua 19a provincia, con le conseguenze che ne derivarono.

Le vittime complessive delle campagne Anfal furono, secondo fonti curde, circa 182.000; oltre 20.000 delle quali in seguito ad attacchi con armi chimiche; esse furono il tragico epilogo di quasi due decenni di repressione nel Kurdistan iracheno. Pur se avviate mentre la guerra con l’Iran era ancora in corso, in nessun modo esse potevano essere collegate con il conflitto, come elemento funzionale alla sua risoluzione o come conseguenza di esso. Si trattò invece di una “iniziativa programmata e razionale” condotta dietro lo schermo della guerra con l’Iran e basata sul calcolo, rivelatosi assolutamente esatto, che la comunità internazionale non avrebbe manifestato alcuna reazione ostile.


L’attacco chimico di Halabja del 16 marzo 1988.
La città di Halabja, al confine tra Iran e Iraq, rappresenta per i kurdi e per il movimento internazionale per la difesa dei diritti umani, un simbolo della ferocia e della barbarie del governo iracheno.
Su Halabja venne infatti compiuto il più massiccio attacco con armi chimiche mai ordinato in tempo di pace.

Esistono migliaia di pagine di testimonianze dei pochi sopravvissuti riguardo agli avvenimenti di quel giorno…

Halabja.Francobollo commemorativo [2]

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