Ambiente e Natura

Il malessere

di Rosanna Conte
Dipingere il mare

 .

Negli ultimi giorni si sono intrecciati articoli e commenti su temi interconnessi e doloranti per Ponza.

Partendo dal problema delle iscrizioni al nuovo tipo di istituto cha sarà varato col prossimo anno scolastico proposto da Vincenzo Ambrosino, si è passati allo “svernare” di Franco de Luca, alle eventuali iniziative politiche illustrate da Silverio Lamonica nonché ai suggerimenti di Gennaro Di Fazio e di Rita Bosso, e alle riflessioni amare di Giuseppe Mazzella, Ike Brokoph e degli stessi Gennaro e Vincenzo.

Il mio non vuole esser un intervento aggiuntivo, perché c’è ben poco da aggiungere. Credo che su questo sito si sia parlato molto spesso dell’abbandono dell’isola in inverno, dell’economia di rapina che interessa alcune famiglie di ponzesi che poi svernano in terraferma, della scarsa coscienza civica che mantiene buoni e fermi chi non ha né la cultura né la capacità di comprendere come il proprio benessere non coincida con quello di chi in estate gli dà lavoro per pochi mesi.

Mi pare che l’analisi più o meno cruda sia stata già da tempo condivisa da chi si interessa all’isola, pertanto forse bisognerebbe concentrarsi di più su proposte di approccio ad azioni che possano arginare l’inarrestabile declino e, possibilmente, avviare la risalita.
Il primo passo, credo, che bisogna farlo nell’individuare un metodo da condividere che non può che essere Politico.
Decenni fa, quando la Politica era altra cosa dal partitismo di oggi, si parlava con la gente, la si andava a cercare dove era, dove lavorava o dove oziava, la si ascoltava, ci si confrontava e le si proponevano azioni collettive in cui non si sentiva chiamata all’ultimo minuto per fare numero per il semplice fatto che ne aveva convenuto prima con chi le organizzava.

Oggi non si riesce a farlo più. Il tempo che una volta si dedicava agli altri come comunità, si è quasi annullato: oggi non c’è tempo per nulla. Almeno così diciamo e comunichiamo attraverso il pc. Che freddezza! Ecco, questo era un punto su cui volevo fare un piccolo commento all’intervento propositivo di Gennaro. Io sono stata una convinta sostenitrice della bontà dell’uso del computer nelle scuole, entusiasta dell’ingresso delle lavagne elettroniche in aula, ma sono stata pur sempre convinta che la presenza del docente in carne ed ossa sia fondamentale. Questa riflessione non ci allontana dal discorso che sto facendo, ma vuole sottolineare proprio la necessità in ambedue i casi, nel campo scolastico e in quello politico, del rapporto personale.
Le idee, i valori, le conoscenze passano solo se si traccia la strada dell’affettività, cioè quel rapporto empatico che rende disponibile l’alunno a porsi condizione di apprendimento e l’individuo adulto ad entrare in sintonia con l’altro.
In realtà è l’esempio costante, quotidiano, dei comportamenti che forma, non la sola parola.

Allora prima di tutto ci dovrebbe essere del tempo da dedicare personalmente, ma come primo passo non basta, perché bisognerebbe superare lo scetticismo che ormai domina lo spirito della gente comune.
Oggi non si riesce ad avere fiducia di nessuno: tutti fanno solo chiacchiere, nessuno riesce a combinare niente, l’abbiamo visto come va a finire.

Bisognerebbe suscitare l’attenzione alle discussioni e l’attenzione si attiva quando si toccano gli interessi personali, ma bisogna capire bene quali essi siano (meglio i tre mesi di lavoro estivo sicuro o l’incertezza di un lavoro che dovrebbe coprire tutto l’anno?), altrimenti si rischia di finire come i giacobini nel ’99.

Nessuno nei decenni passati ha proposto ai giovani di fare cooperative agricole con terreno abbandonato preso in affitto con contratti anche di miglioria? Se è stato fatto, mi piacerebbe sapere cosa hanno risposto.
Intanto vengono persone da fuori ad investire nelle viti e nel vino ponzese.
Magari, fra non molto potranno arrivare anche quelli che si interesseranno ai legumi, alle erbe, agli aromi, alla lavorazione delle marmellate e – perché no? – anche del pesce, ma i nostri giovani aspettano di fare i barcaioli o i barman o le commesse o gli/le affittacamere in estate, non riuscendo nemmeno ad avere voce in capitolo nemmeno sull’apertura o meno delle spiagge.

Perché non partiamo da un’indagine conoscitiva sulle aspirazione dei ragazzi che frequentano la nostra scuola? Forse condividere e discutere con essi gli esiti dell’indagine sarebbe una buona modalità per iniziare ad affrontare il problema.

Probabilmente sarebbe utile anche mostrare ai giovani che non esiste solo il turismo.
È vero che lavorare la terra a Ponza è arduo, ma oggi ci sono nuove tecnologie e nuove conoscenze che ci distanziano dalle condizioni di lavoro dei nostri padri e nonni. Lo stesso vale per la pesca che, indubbiamente, è più povera di una volta.

Tuttavia, il concetto fondamentale che deve guidare qualsiasi percorso è la tutela della natura: rispetto dei ritmi di vita in mare, a terra e nel cielo, valorizzazione degli ambienti naturali con la lotta a qualsiasi tipo di inquinamento, osmosi corretta fra ambienti antropizzati e quelli naturali.

Se avessimo accettato la possibilità di avere a Ponza un parco marino, quando è stato proposto negli anni ’90 (mi sembra) probabilmente avremmo avuto altri tipi di lavoro e avremmo rispettato la natura.

Ma, oltre alle prospettive per i giovani, un elemento di coagulazione degli interessi  è senz’altro la lotta per avere la possibilità di vivere sull’isola tutto l’anno senza l’angoscia dell’isolamento, dell’assenza o dell’inadeguatezza dei servizi essenziali.

Negli ultimi mesi c’è stato  qualche fermento per i trasporti, ma non c’è stata una presa di posizione consapevole della popolazione: è mancata una forza reale che appoggiasse richieste politiche di partecipazione prima delle decisioni.

L’assistenza sanitaria e il servizio scolastico sono, insieme ai trasporti, punti nodali per una vita dignitosa sull’isola e di questi temi bisogna parlare quotidianamente con la gente di Ponza, perché altrimenti continueranno a sentirsi esclusi da casa loro e continueranno a non capire perché dovrebbero difendere il “Turistico” che nessuno ha spiegato loro, prima di introdurlo, in cosa consiste e in cosa si differenzia dalla ultratrentennale “Ragioneria“.

Non è sufficiente scriverne su questo sito che pure è frequentato da molti ponzesi, ma bisogna parlarne a voce, discuterne là dove ancora esiste qualche ponzese.
E già! Stavo dicendo “in piazza, nei bar”, ma Ponza d’inverno non trovi nessuno per strada.
Si devono, perciò creare luoghi e tempi per parlare problemi che interessano la cittadinanza, ma si devono anche trovare le persone che possono fare da battistrada ad altre, per farle uscire dal privato ed entrare in uno spazio di discussione collettiva.

Chiedo scusa se sono stata un po’ lunga, se ho detto qualche ovvietà e se non sono stata proprio concludente, ma voglio suggerire di smettere di piangerci addosso e di fare proposte operative, se  si ritiene che si possano ancora fare.

2 Comments

2 Comments

  1. Gennaro Di Fazio

    20 Febbraio 2014 at 00:34

    Il “malessere” di Rosanna Conte mi ha suscitano riflessioni e sentimenti di ricordi passati che, nonostante il tempo trascorso, ritornano vividi come immagini di un film composto di tanti spezzoni. Sebbene esso sia formato di parti non sempre collegate tra loro, rimane tutt’ora il film preferito della mia vita. È un continuo mescolarsi di rimorsi e rimpianti, passioni vissute e struggenti malinconie, delusioni e amarezze, ma anche di soddisfazioni e vittorie piccole e grandi. Ricorre tuttavia, ogni volta che il film finisce, sempre la stessa domanda: perché dopo la laurea in Medicina non sono tornato a vivere e a lavorare sull’isola? È stata l’ambizione professionale? L’inconscia paura di far vivere alle mie figlie i sacrifici che sono comuni a tutti gli isolani? la voglia di effettuare una vita più movimentata al fine di avere più opportunità? tutte queste cose messe insieme o qualcos’altro ancora? Sono avvolto da infiniti dubbi senza riuscire a districarmi tra le scelte giuste e quelle sbagliate, né credo ci riuscirò mai. La nostra vita, si sa, è di una complessità fuori la nostra portata psicologica, razionale ed emozionale e purtroppo, ma è giusto così, non siamo solo noi a decidere, ci sono gli eventi, le persone, la società, le economie e, io credo, anche cose e condizioni a noi ignote che regolano tutti i meccanismi e li adattano ad un progetto a noi incomprensibile e sconosciuto e, chissà, forse, anche in relazione al nostro comportamento morale.

    Chiaramente questo scritto non rappresenta niente, né un’analisi politica né sociologica né tantomeno economica, è solo un sentimento personale che però spero stimoli l’intelletto a spingersi oltre l’idea materialistica che si ha del mondo e delle attività umane, anche perché tale visione è solo una delle tante che la storia dell’umanità ha considerato, così come le altre accettate prima e quelle che si succederanno, le quali tutte non sono altro che interpretazioni condizionate dalla culturale vigente dell’epoca in cui si vive.

  2. rosanna

    21 Febbraio 2014 at 19:21

    Ognuno di noi che è andato o è rimasto fuori può avvertire, per la situazione in cui versa l’Isola, dei sensi di colpa, ma distinguerei.
    Ci sono coloro che avevano le loro attività fuori e quando tornavano a Ponza, con l’affetto e la gioia di sempre, hanno incrementato l’economia isolana, dai negozi alle piccole imprese che gestivano la manutenzione delle case paterne a quelle edili quando potevano fare qualche ampliamento. Certo non hanno potuto vivere accanto alla gioventù che cresceva e che man mano si sentiva sempre più parte di questa società “leggera” in cui il divertimento e il denaro si affermavano in contrapposizione col senso del sacrificio, il lavoro e l’impegno costante. Chi è rimasto ad ha tentato di dare, stava molto spesso solo e poteva incidere poco.
    Ma il problema è dato da chi, una volta raggiunta l’agiatezza con le proprie capacità imprenditoriali, ha considerato l’isola solo come luogo del lavoro estivo e, visto che poteva vivere meglio in terraferma, ha incominciato a svernare fuori invece di tentare di migliorare le condizioni di vita sull’isola. Senza dimenticare, poi, chi è venuto per anni a Ponza solo per guadagnare, e ha guadagnato bene o molto bene, e poi a settembre andava via. E continua a farlo.
    Così il denaro che l’isola produceva, una volta pagate le tasse, anche quelle rimaste sull’isola, non ha continuato ad incrementare nel periodo invernale i negozi, i bar e le altre attività che si sarebbero potute impiantare avendo una popolazione più numerosa. E’ vero che anch’essi hanno dato e dànno un contributo come quelli che lavorano fuori, anzi di più, ma gli investimenti invernali (che non sono solo in denaro, ma anche in tempo, in relazioni, in contributo d’idee ecc.) sarebbero spettati a loro. C’era una volta un proverbio popolare usato per altri contesti, ma mi sembra adeguato, in quanto disatteso, anche a questo “Dove hai fatto estate, fai pure inverno”.
    Caro Gennaro, a questi grandi imprenditori estivi non sono mai venuti né vengono i sensi di colpa! Possono lavorare solo con la folla, ma non crearla: a questo ci deve pensare la politica, l’amministrazione con il denaro delle loro tasse.
    Se ci riesce avrà un grande encomio perché li farà guadagnare anche d’inverno, intanto….
    Naturalmente questa è solo una riflessione, anche parziale, stimolata dall’onda emotiva di cui ha parlato Gennaro, perché ormai la questione sembra un gatto che si morde la coda: non c’è gente d’inverno perché l’isola è molto scomoda – l’isola spopolata non può pretendere servizi adeguati ad una vita meno scomoda perché il loro costo sarebbe esorbitante in relazione al numero dei residenti.

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