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Ponza, ‘L’avventura’ di Antonioni e ‘l’invenzione della tradizione’. (1)

di Enzo Di Giovanni
L'avventura. Antonioni. Locandina [1]

 .

Tra le tante opere cinematografiche girate a Ponza, forse non tutti sanno che abbiamo anche opere “non-girate”.

Un’opera non girata – importante – è proprio “L’avventura” segnalata da Giuseppe Mazzella con il suo “Ventotene vista da Monica Vitti” (leggi qui [2])

Era il 1957. Dopo Ventotene la vacanza del gruppo in barca prosegue a Ponza e Palmarola.
Evidentemente Antonioni sta mettendo a punto l’idea offertagli dall’episodio citato da Monica Vitti, come vedremo.
Ma qual’è il soggetto de “L’avventura”, e perché è così importante?

La trama è scarna, quasi un pretesto: un gruppo di amici, ricchi borghesi, si trovano in vacanza alle Eolie.
All’improvviso Anna (Lea Massari) scompare. Sandro (Gabriele Ferzetti), il suo compagno, e l’amica Claudia (Monica Vitti) iniziano una lenta ricerca.
Piano piano la ricerca diventa “altro”, al punto che la scomparsa di Anna diventa uno sfondo indistinto.
Nasce un rapporto sentimentale complesso tra Sandro e Claudia, un rapporto che col passare delle giornate si autolegittima agli occhi degli altri amici. Ma proprio nel momento dell’accettazione della loro storia d’amore, con Anna sempre più sfuocata, Sandro si concede una fuga d’amore liberatoria con una donna libera ed attraente.

Il tutto su un altro sfondo – che non è uno sfondo, ma presenza totalizzante – : la Sicilia. A tratti passionale, a tratti fascinosa, ma nel contempo lontana, fredda, arcaica. Il film termina con Claudia che ritrova Sandro dopo il tradimento subito – e scoperto – , in una accettazione silenziosa di un rapporto che non potrà che essere
tormentato, quasi per definizione.

L'avventura. La scena finale [3]

 

“L’avventura” di Antonioni: la scena finale

L’avventura è un film innovativo, volutamente lento (e lunghissimo): “non a caso” fischiatissimo dal pubblico e tartassato dalla censura.
Allo stesso tempo, però, acclamato dalla critica (fu premiato a Cannes).

In realtà, uno spartiacque: non più neorealismo, non commedia all’italiana. Il senso del film non è in quello che mostra, ma nemmeno va cercato in facili metafore. Feroce critica del mondo perbenista e borghese negli anni del boom economico, ed in generale metafora della crisi d’identità della cultura del novecento, vive sull’intreccio di vari piani: la ricerca della donna scomparsa, la storia d’amore tra il fidanzato e la sua migliore amica, la ricerca di un senso ad una esistenza agiata e scialba: nessuno di questi obiettivi verrà centrato.

***

E Ponza, che c’entra?
Il film esce nel 1960, ma anche se come detto verrà poi girato in Sicilia, trae ispirazione proprio da quel viaggio-vacanza del 1957.
Ed il soggetto del film, nella sua prima stesura, si chiamava “L’isola”; era la nostra isola.
Leggiamo infatti dalla sceneggiatura originale:

Ma ancora più stonata, agli occhi di Roberto, è l’atmosfera che trovano a Ponza. È giorno di festa e la banda sta suonando sotto un enorme baldacchino pieno di
bandiere. C’è chi ne approfitta per tenere qua e là dei comizietti politici, ma qui la cosa attacca poco. Tutti sono eccitati, si direbbe che tutti abbiano bevuto abbondantemente, preso una grande ubriacatura collettiva. È una festa vecchia di mezzo secolo, gli stessi vestiti della gente sono antiquati. La loro stessa allegria è antica: sembrano dei selvaggi esaltati nella celebrazione di un rito”.

Siamo a Ferragosto, la festa dovrebbe essere quella della Madonna (a cui evidentemente Antonioni e  la Vitti hanno partecipato, in quella vacanza alle Ponziane).
I protagonisti si muovono, quasi in stato confusionale, tra la ricerca dell’amica scomparsa ed il microcosmo che li circonda.
Nelle intenzioni del regista questa scena doveva rappresentare il distacco, la frattura tra una vecchia tradizione di nicchia (la festa ponzese), ed un mondo nuovo (quello rappresentato dalla classe emergente dei “vacanzieri” ricchi e colti), ma già vecchio anch’esso.

L'avventura. Il mare [4]

Il film poi fu di fatto girato alle Eolie, ed in Sicilia, come detto, ma l”impronta” nasce a Ponza.

Il film è infarcito di citazioni che in varia misura prefigurano un fallimento generale – e generazionale – come quando il protagonista, che nella vita è architetto, afferma: – …Una volta le cose belle avevano i secoli davanti, oggi, boh! Dieci, vent’anni: a chi interessa il bello?

Oppure quando l’indigeno siciliano, di fronte alle lamentele dei turisti (a propositi dei servizi scadenti) dice: – Turisti? L’anno scorso era venuto qualche francese che pretendeva di fare il bagno con gli slip: gli fecero subito capire che era meglio andare via. Smammare!

Antonioni “sente” che anche le tradizioni religiose più radicate nei territori periferici – e in un territorio molto più impermeabile di altri perché isola” – sono soggette a mutazioni genetiche in un’epoca di profondi rimescolamenti. E questa debolezza della tradizione la misura proprio con la lontananza tra essa e la modernità (l’approccio cioè che hanno Roberto e gli altri villeggianti con la festa dei “selvaggi”).

Trovo interessante questa visione che uno tra i più grandi registi del Novecento possa aver maturato nei confronti delle nostre tradizioni.
Può ferirci, certo, possiamo non condividere.

Però, a ben vedere, quel periodo storico è stato decisivo per Ponza, per il suo futuro culturale ed economico.

Di lì a poco, anche a Ponza il sacro – intendendo con esso tutto ciò che è tradizione storica, non solo strettamente religiosa – ed il profano – il nuovo mondo veicolato dal turismo di massa – avrebbero intessuto una coabitazione “ambigua”, purtroppo fondamentalmente negativa, come accade nel film di Antonioni, che ancora oggi non si è risolta.
Una sorta di “sincretismo” culturale che forse è il teorema alla base di molte contraddizioni in cui ci dibattiamo, e di cui dibattiamo su Ponza racconta.

A proposito di teoremi, da queste considerazioni ad arrivare alla “invenzione della tradizione”, il passo è breve…

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[Ponza, ‘L’avventura’ di Antonioni e l’invenzione della tradizione (1) – Continua]