Ambiente e Natura

Simbiosi

di Adriano Madonna
.
In natura, la simbiosi è una strategia tesa a diversi fini, come la nutrizione e la protezione. Esaminiamo diversi tipi di simbiosi osservabili nel grande mondo del mare.
squalo_con_remore
Il termine simbiosi, dal greco sumbiosis, indica una situazione di convivenza tra due o più organismi, generalmente con reciproco vantaggio, tranne casi di parassitismo, in cui il vantaggio è unilaterale. In natura e nel mondo del mare, sono pochi gli animali che non ospitano altri organismi, sia esternamente, come la remora dello squalo, sia internamente, come il granchietto Pinnotheres, vivente nella conchiglia della Pinna nobilis.
Pinna_nobilis
Il concetto potrebbe essere esteso a un numero immenso di microorganismi, che usano il corpo di altri organismi, in genere più grandi, come habitat dove condurre la propria esistenza.
La biologia moderna ci insegna che nell’immenso processo di evoluzione che ha coinvolto la vita animale e vegetale del nostro pianeta, organismi simbionti, cioè viventi in altri organismi, hanno subìto trasformazioni sino a diventare addirittura organi dell’organismo ospite. Ciò è avvenuto nell’ambito di casi di simbiosi con reciproco vantaggio del simbionte e dell’ospite.
L’incredibile storia del cloroplasto
Un caso di questo tipo, davvero straordinario, è quello che spiega come si sia formato il cloroplasto, l’organo presente nella cellula vegetale di piante e alghe verdi, preposto alla fotosintesi clorofilliana, ovvero alla produzione di glucosio e di ossigeno.
La biologia vegetale “ci racconta” che a un certo punto della storia del mondo, degli organismi unicellulari, precisamente batteri fotosintetizzanti, cioè in grado di effettuare il processo di fotosintesi, cercarono rifugio all’interno di cellule più grandi, trasmettendo loro la capacità di convertire l’energia luminosa in energia chimica. Nello stesso tempo, le cellule più piccole (i batteri) ebbero protezione dalle condizioni ambientali sfavorevoli. Questo tipo di simbiosi riscosse talmente successo che le cellule più piccole diventarono addirittura organi delle cellule ospiti: i cloroplasti.
Questo processo evolutivo della cellula vegetale prende il nome di “teoria endosimbiontica del cloroplasto” ed è uno degli esempi di simbiosi più straordinari ed eclatanti.
Prima di esaminare alcune situazioni di simbiosi osservabili nel mondo marino, soffermiamoci sul concetto stesso di simbiosi e sull’ampia gamma di situazioni simbiotiche esistenti.
La foresia
Esiste un tipo di simbiosi che prende il nome di foresia, in cui un individuo di una specie si fa trasportare da un individuo di un’altra specie. Nella foresia il vantaggio è unilaterale: infatti, il foronte (l’individuo che si fa trasportare) persegue il suo scopo di raggiungere altre acque, quindi di affrontare un viaggio in tutta comodità, senza offrire, da parte sua, alcun beneficio al trasportatore, ma, generalmente, anche senza provocargli alcun tipo di svantaggio, tranne casi particolari, come quello della remora, che, attaccata al corpo dello squalo, ne frena, anche se di poco, la progressione in acqua, costringendolo a impiegare maggiori energie.
Quando, in una situazione di simbiosi, il vantaggio è univoco, si parla di parassitismo e in natura, sia nella sfera acquea sia in quella terrestre, i casi di parassitismo sono numerosissimi. Tra quelli più evidenti e più facilmente verificabili in mare, osserviamo i sugarelli che cercano riparo dagli aggressori nell’ombrella e fra le braccia di alcune meduse, come il ‘polmone di mare’ (Rhizostoma pulmo) e la cassiopea (Cothyloriza tuberculata).
medusa-polmone-dimare-04
cassiopea - cothyloriza tuberculeta
Il sugarello è immune dagli cnidociti della medusa, ma non è il solo: negli ultimi giorni di settembre di qualche anno fa, infatti, ho fotografato una fiatola (Stromateus fiatola), un pesce non troppo comune, compresso sui due lati come un sarago, che, al pari dei sugarelli, aveva cercato rifugio sotto l’ombrella di un grosso polmone di mare.
fiatola - stromateus fiatola
La fiatola ha questa abitudine, ma una scena del genere è certo meno frequente di quella dei sugarelli in compagnia delle meduse. Inoltre, la fiatola che ho fotografato mostrava un’ampia ferita su un fianco, quindi si trovava in una situazione di inequivocabile difficoltà.
Ci sono molti altri casi di pesci che vivono in simbiosi con celenterati dotati di organi venefici, per ottenere, da questi, protezione e, in linea di massima, sono tutti casi di parassitismo, poiché l’ospite non riceve alcun vantaggio dal simbionte.
Tutta la verità sul “caso pagliaccio”
È ben noto il caso del pesce pagliaccio che vive nell’attinia, ma cerchiamo di scendere nell’argomento in maniera più analitica e chiediamoci perché il pesce pagliaccio non venga fulminato dagli cnidociti dell’attinia, come invece accade ad altri pesci.
pesce pagliaccio e anemone
Si è sempre parlato genericamente di un muco protettivo che ricoprirebbe il corpo del pesciolino simbionte, ma, approfondendo il discorso, si deve specificare che il muco non ha una funzione di “corazza” e che l’ambiente presente fra i tentacoli dell’attinia non è costantemente letale: l’attinia, infatti, mette in azione gli cnidociti e scarica le micidiali nematocisti solo quando avverte l’intrusione di un organismo estraneo.
Il pesce pagliaccio è ricoperto da un tipo di muco che ha le stesse caratteristiche chimiche di quello presente sui tentacoli dell’attinia, quindi quest’ultima non identifica nel pagliaccio un estraneo e non lo fulmina con le nematocisti. Come il pesce pagliaccio si ricopra di muco non è del tutto chiaro: alcuni autori affermano che esso viene prodotto da specifiche ghiandole epidermiche (presenti nella pelle del pesce) sollecitate dagli cnidociti stessi dell’attinia, mentre altri autori sostengono che “quando incontra un’attinia appropriata, un pesce pagliaccio entra nella massa dei tentacoli e ne esce rapidamente. Così facendo, il pesce si riveste del muco dell’attinia; di conseguenza, l’attinia non è capace di riconoscere il pesce e quindi non scarica le proprie nematocisti. In associazione con un’attinia, i pesci pagliaccio sono protetti contro i predatori e possono, a loro volta, eliminare parassiti e detriti dall’ospite.” (Mitchell, Mutchmor e Dolphin). Dalle parole dei tre biologi americani si evincono due cose: tra l’identificazione di un organismo estraneo e l’attivazione degli cnidociti passa un certo lasso di tempo, anche se breve (quello necessario al pesce pagliaccio per passare indenne fra i tentacoli dell’attinia e ricoprirsi del suo muco); la simbiosi fra attinia e pesce pagliaccio non è un esempio di parassitismo, bensì di mutualismo, poiché ospite e simbionte ricevono un vantaggio dalla loro convivenza, anche se il vantaggio più grande è certamente quello del pesce pagliaccio.
Mutualismo e commensalismo, due tipi di simbiosi, potrebbero sembrare uguali, ma una differenza c’è, anche se non è grande: si tratta, è vero, di un “reciproco scambio di favori”, ma mentre nel mutualismo esiste una interdipendenza stretta e complessa tra ospite e simbionte, nel commensalismo il simbionte, che sarebbe in grado di vivere da solo, grazie alla coesistenza con l’ospite riesce ad aumentare la propria fitness e, per dirla in maniera sintetica, a vivere meglio.
Tra le situazioni di mutualismo troviamo il cosiddetto mutualismo protettivo, in cui, magari, uno dei due organismi può fornire cibo superfluo all’altro, mentre il suo partner gli trasmette, quando è necessario, segnali di avvertimento.
Il granchio guardiano
A tal proposito, si racconta che un certo granchietto, il Pinnotheres pinnotheres, spesso presente tra le valve della Pinna nobilis, riceva dal suo ospite residui di cibo in cambio delle sue funzioni di guardiano.
Pea Crab (Pinnotheres pisum) inside Mussel
Spesso, infatti, il Pinnotheres staziona nella parte alta della conchiglia della pinna, affacciandosi al bordo di una delle valve. Nel momento in cui vede appressarsi un potenziale aggressore, magari un polpo, si lascia cadere verso il fondo della conchiglia. Avvertita dal tonfo, la pinna serra immediatamente le valve. Per questa sua funzione, il Pinnotheres è stato battezzato “guardiano della pinna”. In realtà, non si sa se tutto ciò sia vero: non si sa se effettivamente il pinnotheres abbia mansioni di guardiano e le svolga in questo modo. Alcuni autori sostengono trattarsi solo di una leggenda, che non perde lustro grazie alla sua originalità e che, quindi, viene tramandata. Altri la danno come vera. In ogni caso, se il Pinnotheres fosse davvero il guardiano della Pinna nobilis, si tratterebbe di una simbiosi mutualistica. Nel caso in cui, invece, il nostro granchietto si limitasse solo ad avere a disposizione cibo con facilità e a proteggersi all’interno della pinna, sarebbe puro e semplice parassitismo.
Maya verrucosa, la piccola granseola irriconoscibile per l’abbondante vegetazione che le ricopre il carapace, spesso trae vantaggi da una simbiosi con l’attinia. Se ci immergeremo di notte, momento in cui quest’ultima è particolarmente attiva nel catturare cibo, e le offriremo un’acciughina, con buona probabilità, mentre il pescetto è ancora stretto tra i micidiali tentacoli del celenterato in attesa di essere fagocitato, vedremo la piccola Maya verrucosa che si darà da fare a strappare brani di carne dell’acciuga con le chele. In pratica, l’attinia procura cibo per entrambi e non sembra che la minuscola granseola si renda utile in qualche modo. Ma le attinie hanno anche altri interessati simbionti: spesso, infatti, troviamo tra i tentacoli di Anemonia sulcata, il piccolo ghiozzo Gobius bucchichii e il gamberetto trasparente Periclimenes scriptus.
Gobius_bucchichi_4
periclimenes scriptus
Le scogliere madreporiche
Un grande esempio di “simbiosi costruttiva”, che porta a un risultato importante, addirittura grandioso non solo nella sua spettacolarità, è l’associazione tra madrepore e alghe verdi e rosse nella formazione delle scogliere madreporiche. Queste sono costituite dalla sovrapposizione di strati successivi di calcare ad opera di generazioni di madreporari (noti anche come coralli costruttori) e di alghe rosse e verdi, dette alghe coralline.
scogliera madreporica
Il calcare che va a costruire la scogliera viene secreto dai polipi delle madrepore e, mano a mano che si succcedono generazioni di polipi, gli strati di calcare si accumulano gli uni sugli altri e formano la scogliera. Su di essa si impiantano le alghe coralline e secernono carbonato di calcio, che va a cementare le varie parti della scogliera, rendendola monolitica e forte.
Se osservassimo con scientifica analisi una scogliera madreporica e la vita immensa che vi alberga, troveremmo migliaia di casi di simbiosi di ogni tipo, tesi al mantenimento di questo grandioso ecosistema.
Bibliografia
Mitchell, Mutchmore, Dolphin – Zoologia – Zanichelli;
Prof. Gesualdo Siniscalco Gigliano – Lezioni di biologia vegetale – Università degli Studi di Napoli “Federico II”;
A. Madonna – Colori in Fondo al Mare – Editore Caramanica;
Romer, Parson – The Vertebrate Body, Philadelphia, Saunders, 1977;
Gould – Evert Since Darwin – New York, Norton, 1977.
Dott. Adriano Madonna, Biologo Marino, Laboratorio di Endocrinologia Comparata, Università degli Studi di Napoli “Federico II”
Clicca per commentare

È necessario effettuare il Login per commentare: Login

Leave a Reply

To Top