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…Era il giorno della Candelora

di Sandro Vitiello
Cala Fonte una volta [1]

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“Alla candelora dell’inverno siamo fora
ma se piove e tira vento
nell’inverno siamo drento”

Il due febbraio del Trenta già dalla mattina il tempo non prometteva bene.
Due barche decisero comunque di uscire in mare  a merluzzi.
Da sempre questo periodo dell’anno è la stagione migliore per pescare questi pesci. Quel pezzo  di mare tra la costa di le Forna e quella che dal Circeo arriva fino ad Anzio è il luogo ideale per la riproduzione e i pescatori ne approfittavano come fanno ancora adesso.
Le barche che in quegli anni si dedicavano a questo mestiere, sull’isola erano una decina.
Uscirono in mare la barca di “Ciaciano” e quella di Fabrizio Coppa, un nipote del bisnonno Sangiro. Avevano a disposizione un equipaggio di dieci persone, tra gli uomini più prestanti dell’isola che facevano andare avanti con la forza dei remi barche di dieci-undici metri.
Le onde all’alba non erano così cattive. Ci sarebbe stato da “pestare” ma non era poi una giornata così diverse da tante altre giornate d’inverno, quando il vivere bisogna andarlo a rubare. Si arriva “fuori ai merluzzi”, si mettono giù le coffe di spago e si aspetta qualche ora prima di incominciare  a metterle in barca.
Erano coffe fatte con materiale poco resistente.
I denti dei merluzzi spesso non facevano grande fatica a rosicare un bracciolo fatto con materiale approssimativo. D’altronde ci si accontentava di niente.
Niente stivali di gomma, niente cappotte di cerata a proteggerti la pelle.
Come dice ancora mio padre: “sotto alla pelle l’acqua non entra”. Ma ogni onda che arrivava te la prendevi tutta.
Nelle prime ore del pomeriggio è tutto finito; si mette la prua verso terra e ci si attacca  ai remi, completamente bagnati, con i pesci che sbattono tra le gambe e gli attrezzi accatastati alla meglio in qualche murata.
Finalmente quando le braccia sembra debbano spezzarsi attaccate a quei remi duri e bagnati e tutto il corpo è come se fosse trafitto da mille spilli, si arriva sottocosta.
Arrivati a qualche miglio da Cala Fonte la tensione comincia ad allentarsi e gli uomini sulla barca di Ciaciano spontaneamente si girano a cercare intorno o indietro la barca di Fabrizio Coppa.
Non c’è più: scomparsa tra le onde come se non fosse mai esistita.
Le ore passate a combattere contro le onde hanno fatto loro dimenticare gli amici ed i parenti dell’altra barca.
Tornano a terra  come sconfitti con il dubbio di non aver fatto nulla per salvare pescatori come loro con cui c’erano anche, sicuramente, legami di sangue.
Il tempo di mettere i piedi sulla terraferma e si decide di approntare le ricerche, malgrado il brutto tempo.
Si pensa che la barca sia scarrozzata verso levante: un piccolo gruppo di persone va verso l’Incenso a cercarli, con gli occhi, tra Gavi e Zannone.
Ma niente compare alla vista di quegli occhi abituati a trovare il più piccolo segnale tra le onde di una tempesta.

Arriva il buio e ci si avvia verso casa accompagnati dalle urla di disperazione delle mogli, delle madri e di chi non sa come sfogarsi contro un destino crudele.
In notti come questa non si dorme; si sta attaccati alle finestre sperando che il vento si calmi e che l’alba arrivi presto.
Alle prime luci del giorno un fatto assolutamente non previsto si presenta agli occhi di tanti: da sopra al lato di tramontana di Palmarola un pennacchio di fumo si alza verso il cielo. E’ un segnale chiaro e la speranza ricomincia a ritornare insieme alla voglia di andare subito a vedere chi c’è e come sta.
In meno di un’ora si arriva, superando le cale di Tramontana verso il porto e ci si accorge che infilati dentro Cala Pennessa ci sono delle persone. Sono in quattro; il quinto è salito sulla montagna e da lì ha fatto il falò.
Sono malconci, infreddoliti  e molto spaventati. Hanno tenuto come meglio hanno potuto il corpo di Luigi di Cirimino ma poi il mare se l’era portato via.
Lo restituirà comunque il giorno appresso.
Non restituirà mai più i corpi di Fabrizio Coppa, di Ciccariello, di “Centopelle” e del “muto della Fata”.

Barche vecchie [2]

Si salvarono Migliano Vitiello (’u pizzicato), un figliastro di Fabrizio, “il napoletano” (suocero di Francesco di Sacco, quello che vive all’Elba), Salvatore Fugà che abitava dalle parti di Brillantina e un altro che suo padre lo chiamavano “’u re d’a Chiana”.
Successivamente i sopravvissuti raccontarono che erano riusciti a raggiungere con grande fatica Palmarola ma che, mentre entravano nel porto, su un’onda più cattiva delle altre, avevano perso i remi.
La barca senza governo era andata a fondo. Successivamente quella barca venne recuperata e lavorò ancora per tanti anni.

 Ernesto Prudente ai cent'anni di Costantino [3]

(appendice dell’11/11/13)
Il giorno dopo la festa dei 100 anni di mio padre, Ernesto Prudente e Costantino si incontrarono  nel cortile di casa nostra e parlarono anche di questo tragico fatto.
Alla fine dei loro ragionamenti Ernesto convenne con mio padre che il resoconto che lui aveva ricevuto per lettera da uno dei sopravvissuti non era così corretto come quanto ricordava mio padre.
Piccole, grandi storie di mare.

In condivisione con: http://lacasadeisacco.blogspot.com [4] del 1° luglio 2008