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Cavernicoli & C. (1)

di Adriano Madonna

grotta sottomarina a Giannutri [1]

Nell’oscurità delle grotte sommerse ferve una vita davvero particolare, che alletta lo studioso di biologia marina così come il semplice “subacqueo curioso”…

Tanti anni fa, in una grotta di Gaeta, che in seguito avrei battezzato con il nome singolare di Grotta del Maresciallo, trovai un pesce stranissimo: era lungo meno di un palmo, aveva una testa bruttissima, era color del piombo con sfumature violacee e assomigliava vagamente a un sigaro. Si trattava di una brotula nera (1), scientificamente nota come Oligopus ater, e una volta si riteneva che fosse una specie abissale.

Brotula nera. Oligopus ater (Foto di Enrico Pati) [2]


In realtà, conditio sine qua non per l’esistenza di questa specie è l’oscurità più assoluta. È questo il motivo per cui la brotula nera può trovarsi sia a quote dove la luce del sole arriva molto a stento (oppure è addirittura assente) sia in una grotta a pochi metri di profondità, purché regni il buio più assoluto.

Ecco, una caratteristica delle grotte sottomarine è un tipo di vita siffatta: organismi specialissimi grazie a caratteristiche uniche che si sono formate proprio per adattamento all’ambiente cavernicolo. Ma nelle grandi cavità oscure sul fondo del mare troviamo anche altre specie che vediamo passare con disinvoltura dalla luce all’oscurità e la Grotta del Maresciallo mostrava, una volta, anche questo secondo aspetto: all’interno, infatti, viveva una popolazione di grosse spigole e ricordo che quando le inquadravo nel fascio luminoso della lampada, esse nascondevano il capo in pertugi e spacche, proprio come si dice che faccia lo struzzo quando infila il capo sotto la sabbia.

coppia di spigole [3]

Un consiglio importante
Prima di addentrarci nel tema della vita delle grotte, non possiamo omettere di dire che quando lungo il vostro iter subacqueo vi trovate davanti all’ingresso di una grotta sommersa, prima di entrare pensateci non una, ma dieci volte!

Grotta Cattedrale a Palinuro [4]
Le grotte sommerse, infatti, sono un po’ come le sirene: possono incantare con il fascino del loro mistero (che cosa ci sarà mai là dentro?) e nello stesso tempo possono essere vere e proprie trappole. Una grotta sommersa, dunque, deve essere esplorata con la guida di chi la conosce perfettamente e con le dovute attrezzature, tra cui in primo piano c’è il famoso “filo di Arianna”. Ma i pericoli reali che possono presentarsi entrando in una grotta non sono solo eventuali, ingannevoli diramazioni che potrebbero farci perdere la via dell’uscita: ci sono, infatti, altri rischi, e uno di questi è la possibilità di sollevare un impalpabile e leggerissimo sedimento, tipico di molte grotte sommerse, che riduce la visibilità a zero.

Grotte marine [5]

Anche a questo proposito ho un ricordo che ancora adesso mi fa correre un brivido lungo la schiena: sul fondo di una grotta, verso la parte più interna, avevo notato un gruppo di cerianti bellissimi dai lunghi tentacoli color vino scuro.

ceriante [6]
Volevo fotografarli e penetrai più profondamente nell’anfratto, ma fu sufficiente muovere con una certa fretta la macchina fotografica con i suoi flash perché si sollevasse una densa coltre di sedimento.

La nuvola divenne così fitta e corposa che riuscivo solo a intravedere la luce della torcia, divenuta debole e giallina come la fiammella di una candela. Riuscii a tenere i nervi saldi e non mi mossi di un millimetro: sapevo, infatti, che le mie pinne si trovavano in direzione della bocca dell’antro e decisi che sarei uscito “a retromarcia”, ma aspettavo che il sedimento decantasse almeno un po’ per riuscire a vedere qualcosa. Ero, però, preoccupatissimo: avevo, infatti, un vecchio erogatore a pistone e temevo che il sedimento, infilandosi nelle aperture del primo stadio, potesse bloccare la valvola. Infine, piano piano, uscii fuori dalla grotta, con i piedi in avanti.
Mi dissero, quando finalmente venni fuori, alla luce, e poi risalii a galla, che la mia muta era grigia di melma: una melma appiccicosa che mi s’era attaccata addosso come catrame.

Molte grotte, dunque, hanno la caratteristica di questo fondo molle e melmoso, fatto di un sedimento così sottile e leggero da sollevarsi come talco alla minima turbolenza d’acqua e proprio là, verso il fondo, ci sono quei bellissimi cerianti dai lunghi tentacoli rosso scuro, che possono essere per il sub un vero segnale di allarme.

Grotte e “angigrotte”
I subacquei le chiamano “angigrotte”, per indicare i primissimi tratti delle grotte sommerse, là dove regna le penombra prima di stemperarsi nell’oscurità più assoluta. Molte volte, le cosiddette “angigrotte” sono uno spettacolo di colori, perché vi allignano diverse specie di spugne. Secondo precise strategie, esse si espandono in ogni direzione per carpire superficie di substrato alle altre spugne vicine.
A volte, avvolgono e soffocano altri organismi sessili, dimostrando una grande competitività per la conquista di ampie porzioni di substrato.

Pseudoceratina-crassa [7]

Ci sarebbe molto da dire sulle spugne, anche che la medicina ultimamente le ha prese in seria considerazione per l’estrazione di sostanze da cui potrebbero essere sintetizzati medicinali per la cura di malattie importanti.

Una spugna è costituita da tre strati: il pinacoderma (quello più esterno), il coanoderma (quello più interno) e la mesoila, uno strato intermedio di consistenza gelatinosa, che contiene le cosiddette cellule ameboidi. Queste svolgono diverse funzioni, ma alcune, dette archeociti, sono cellule davvero speciali: migrano, infatti, là dove la spugna ha subito un danno (un taglio, una lacerazione) e hanno la capacità di differenziarsi nei tipi di cellule più adatte per effettuare la riparazione.

Lungo le pareti delle grotte, nell’ambiente precavernicolo, dove regna la penombra, le spugne possono essere abbondantissime, nascondendo una nutrita microfauna, e, nello stesso tempo, fornendo cibo ad altri organismi. Fra tutti, il nudibranco Peltodoris atromaculata, riconoscibilissimo per il suo bianco di fondo con macchie scure tondeggianti, che troveremo sempre sulla spugna Petrosia ficiformis. Questo nudibranco, infatti, raspa con la radula la cuticola della spugna, di cui si nutre.

Il nudibranco Peltrodoris atromaculata [8]

Petrosia ficiformis [9]

Altri poriferi (dire spugne e dire poriferi è la stessa cosa) tipici dell’ambiente precavernicolo sono la clatrina gregaria (Clathrina coriacea) e la clatrina gialla (Clathrina clathrus), che, tra loro molto simili, possono essere confuse con facilità: entrambe, infatti, appaiono come una matassa di sottili condotti tubulari. Queste spugne possono trovarsi sia attaccate alla roccia sia su altri organismi sessili.

La maggior parte delle spugne è ermafrodita: ogni individuo, infatti, produce spermatozoi e uova in momenti diversi, ma c’è un meccanismo preciso perché gli spermatozoi vadano a fecondare le uova. Essi, infatti, vengono espulsi all’esterno della spugna e, trasportati dalla corrente, giungono alle spugne vicine e penetrano nella mesoila, lo strato di cellule intermedio. Qui, cellule ameboidi (che si muovono con movimento ameboide) trasportano gli spermatozoi alle uova e avviene la fecondazione, da cui si sviluppano delle larve che, una volta in acqua libera, vanno a fissarsi su altre porzioni di substrato, dove daranno origine ad altre spugne.

Nella riproduzione asessuata si può assistere a diversi mecanismi, tra cui la riproduzione per gemmazione e la formazione di gemmule all’interno della spugna, che fuoriusciranno al termine del ciclo vitale del genitore.

Verso l’oscurità
Addentriamoci nella grotta sommersa, abbandonando la debole luce dell’habitat pre-cavernicolo per immergerci nel buio assoluto. Notiamo che l’ambiente muta totalmente ed è possibile che il substrato roccioso delle pareti appaia completamente nudo.

Nel buio della grotta troveremo splendide sorprese: ad esempio, questo è il regno dei gamberi!

Facciamo comunque la premessa che “gambero” è un nome un po’ generico, comprendente tutti quei crostacei con forma allungata e con carapapce metamerizzato, cioè costituito da segmenti uguali tra loro articolati. I gamberi possiamo dividerli in due grandi categorie: i reptanti e i natanti. I primi hanno il carapace più largo che alto (come nell’aragosta); nei natanti, invece, è più alto che largo (come nella mazzancolla).

Tra i piccoli gamberi che possiamo trovare nelle grotte, il gambero sega o parapandalo (Parapandalus narval), il gamberetto esca (Palaemon serratus) e il gambero meccanico (Stenopus spinosus).

gambero sega o parapandolo (Parapandalus narval) [10]

gamberetto esca (Palaemon serratus) [11]

gambero meccanico (Stenopus spinosus) [12]

Quest’ultimo è decisamente il più bello e vistoso, ma… non sempre si trova! Nella famosa Grotta del Maresciallo, di cui vi accennavo all’inizio di questo scritto, ce n’è una bella popolazione. Il gambero meccanico (così detto perché qualcuno ha voluto vedere nelle sue lunghe chele delle chiavi da meccanico) può essere sia di un caldo colore arancio sia di uno squillante giallo canarino. Dal capo, poi, dove spiccano due occhietti bianchi, si dipartono dei lunghi filamenti candidi.

Il gambero parapandalo (o gambero sega), invece, presenta un rostro anteriore con una sessantina di denti (proprio come una sega). Spesso, troveremo questo crostaceo in branchi molto densi e abbondanti, offrendo uno spettacolo di rara suggestione (fatevi accompagnare alla Grotta dei Gamberi, a Ventotene e ne vedrete una popolazione numerosissima). Lungo il carapace del parapandalo corrono delle strisce rosse e delle striature azzurrastre.

Il gamberetto esca, di colore chiaro e a volte quasi trasparente, è il gambero più comune. Anch’esso presenta un rostro ben sviluppato e due occhi peduncolati.

Il grande astice
In alcune grotte, in qualche nicchia con il fondo sedimentoso, non è raro scorgere le chele del grande astice (o lupicante, ma conosciuto anche come elefante di mare. Nome scientifico Homarus gammarus), che possiamo definire come il gambero più maestoso del Mediterraneo.

astice o lupicante o elefante di mare (Homarus gammarus) [13]

La somiglianza dell’astice con l’aragosta è notevole, ma quest’ultima non presenta le due possenti chele di cui è dotato l’astice. Al pari dell’aragosta, esso progredisce in avanti muovendosi sulle zampe ambulacrali, ma in una situazione di emergenza, dovendo arretrare velocemente, lo fa con forti colpi di coda, sollevandosi dal fondo e procedendo con veloci scatti e con inaspettatata celerità.

In ogni caso, se proprio volete avere la certezza di vedere qualche bellissimo esemplare di astice, non dovete fare altro che andare a immergervi alle isole Tremiti, in Adriatico, dove questo crostaceo, che può raggiungere il peso di diversi chili, è abbastanza comune ed è un abitante tipico di alcune grotte ben note alle guide dei diving center locali.

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Nota
(1) La brotola nera ( Oligopus ater; Grammonus ater (Risso, 1810), nota anche come brotula, è un pesce osseo marino appartenente alla Famiglia Bythitidae (NdR)

 

Bibliografia
Invertebrate Zoology, Philadelphia, Cbs College Publishing;
Bergquist, P.R., Sponges, London, Hutchinson & Co.;
O. Mangoni, Lezioni di biologia marina, Università di Napoli Federico II;
G. Ciarcia e G. Guerriero, Lezioni di zoologia, Università di Napoli Federico II;
Simpson, T.L., Cell Biology of Sponges, New York, Springer-Verlag;
Mitchell, Mutchmore e Dolphin, Zoloogia, Zanichelli;
A. Poli, Fisiologia degli animali, Zanichelli;
C. Motta, Organismi marini, Università di Napoli Federico II;
Hill, Wyse e Anderson, Fisiologia animale, Zanichelli;
Wehner e Gehring, Zoologia, Zanichelli.

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Dott. Adriano Madonna, biologo marino, Laboratorio di Endocrinologia Comparata, Università degli Studi di Napoli “Federico II”

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