Ambiente e Natura

Conservazione delle musdee

di Alessandro Vitiello (Sandro)
Musdea viva

 .

…della serie: meglio saperle certe cose. Non si sa mai.

Fino a non troppi anni fa, prima della diffusione dei frigoriferi, il pesce veniva conservato in altro modo. Essiccato, salato o affumicato.
I pescatori ponzesi erano molto bravi a salare e essiccare i pesci.
Ancora oggi è consuetudine mettere sotto sale le acciughe. Il pesce secco ponzese ce lo siamo scordati. È una pratica che richiede tempo e dedizione.
Per esempio la musdea (o mostella – Phycis phycis) chi se la ricorda più?

Musdea

Eppure fino a trenta-quaran’anni fa era normale, nelle case dei pescatori, nei giorni di brutto tempo, mangiare questo pesce, in umido con le patate.
Quelli che andavano a pescare in Sardegna ne portavano a casa cataste ammucchiate in sacchi di iuta.

Il procedimento dell’essiccatura è abbastanza semplice.
La musdea, una volta pescata e squamata, veniva spaccata in due lungo la schiena partendo dalla testa. Le interiora venivano scartate lasciando solo lo stomaco. Anche la testa veniva salvata.
Il pesce rimaneva intero attaccato per la parte della pancia. Nella parte più carnosa venivano praticate delle incisioni. Dopo aver fatto questo, il pesce veniva lavato in acqua di mare e messo sotto abbondante sale per ventiquattro ore.
Veniva poi tirato fuori, risciacquato ancora in mare e da quel momento veniva messo ad essiccare al sole durante il giorno e messo al riparo, in casa, di notte.
Dopo alcune settimane si raggiungeva il giusto punto di essiccazione.
Bastava poi conservarle in un luogo fresco e asciutto e per tanti mesi potevano essere una ulteriore provvista alimentare.

Per l’utilizzo era sufficiente metterle a bagno in abbondante acqua per una notte.
Con metodi più o meno simili si conservavano, razze, merluzzi, colli di aragoste, polipi e tante altre creature marine.

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1 Comment

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  1. isidorofeola

    22 Dicembre 2013 at 22:26

    Anche io ricordo, come racconta Sandro, i sacchi di iuta pieni di pesci essiccati che mio padre Salvatore e mio zio Luigi portavano di ritorno dalla Sardegna assieme a mandorle secche, carta musica (pane carasau), ricotta, formaggi, ed altre cose ancora che riuscivano a barattare con i sardi con cui erano ormai diventati “di famiglia”. C’era, poi, una cronologia ben precisa sul consumo dei pesci essiccati, nel senso che bisognava prima consumare gli scorfani perché altrimenti facevan’ ‘a ruzz’ (facevano la ruggine, cioé si ossidavano, perdendo così gran parte delle loro proprietà organolettiche), poi era la volta delle razze, delle murene, ed infine toccava alla “musdee” che erano quelle che si conservavano meglio e per più lungo tempo.

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