Ambiente e Natura

Zi’ Innàr’ ’i mar’e copp’. (5). Epigoni e continuatori

di Alessandro Vitiello (Sandro) 

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Zio Peppino e la magia di/a Ponza

E’ un bel personaggio zio Peppino, con un passato molto complesso e che apre delle finestre su una Ponza ormai irrimediabilmente perduta: quella in cui la magia conviveva con la realtà.

Tunisie. Ile de La Galite

La Galite. Vecchia cartolina

Zio Peppino è uno zio acquisito, come si dice, perchè ha sposato una sorella di mia madre, zia Lucia.
Vive in una bella citta della costa azzurra (St. Raphael) con la sua famiglia e per tutta la vita ha fatto il mestiere del pescatore; adesso si gode la pensione.
La sua storia inizia più di 70 anni fa a Ponza da una famiglia molto conosciuta, D’Arco, che decide ai primi del ‘900 si trasferisce sull’isola di “Ialda” (La Galite) di fronte alle coste di Biserta in Tunisia, come avevano già fatto decine di famiglie ponzesi.

Pescatori ponzesi a La Galite

Pescatori ponzesi sulla spiagga a La Galite

 Era questo un arcipelago disabitato e con un mare pieno di aragoste.
In virtù di diritti coloniali i ponzesi approfittarono della possibilità di sfruttare quel mare pescosissimo e per evitare di allontanarsi per lunghi periodi da casa, pensarono di emigrare lì stabilmente.

Il cimitero de La Galite.1

Il cimitero abbandonato de La Galite, com’è adesso

La Galite non era solo un’isola lontana da Ponza, era un posto magico dove facilmente ci si poteva perdere e tanto per non sbagliare i paesani decisero di chiamare alcune parti dell’isola come alcuni luoghi simili di Ponza; d’altronde questa è una caratteristica di chi va a colonizzare nuove terre.
Portarsi dietro i nomi dei luoghi cari era come portarsi dietro una valigia di fotografie.

Il numero limitato di abitanti, il silenzio totale, il buio nelle notti senza luna, la lontananza da riferimenti sicuri fecero sviluppare in tanti abitanti dell’isola una naturale capacità di percepire anche quanto non si vedeva o sentiva.
Il papà di zio Peppino era la figura più importante di questa piccola comunità anche perché aveva la capacità di guarire tante malattie con una tecnica che chi ha visto il film “il miglio verde” può comprendere facilmente; in sostanza si caricava lui della malattia e poi la buttava fuori piano piano.
Era anche in grado di vedere il futuro e condizionare alcune scelte delle persone a lui care: era in sostanza lo sciamano di quella piccola comunità.

Alimentari Ornella

Zio Peppino davanti al bar Panoramica, a Ponza: un san Silverio di un po’ di anni fa

Zio Peppino racconta che suo padre aveva acquisito la tecnica per utilizzare queste sue innate capacità, durante un imbarco su una nave dove un anziano marinaio siciliano gli aveva passato un quaderno con tanti appunti, alcuni indecifrabili, in cui venivano raccontati alcuni segreti.
Il papà di zio Peppino è morto ed è ancora sepolto su quell’isola insieme a tanti altri ponzesi.

Con la fine della seconda guerra mondiale e con la fine delle colonie anche i pochi ultimi ponzesi rimasti alla Galite sono dovuti venire via e alcuni come zio Peppino sono finiti in Francia insieme alle migliaia di Francesi che erano in Tunisia.
Negli anni ’60 è tornato a Ponza dove ha sposato zia Lucia che è andata a vivere con lui.

In una sera d’inverno eravamo a St. Raphael loro ospiti e c’era anche zia Rita, altra sorella di mia madre. Dopo cena, siamo finiti per caso a parlare di quel mondo e delle stesse cose che succedevano a Ponza.

Papà Costantino in famiglia

Papà Costantino con zia Lucia a St. Raphael, con Rosamaria, figlia di Lucia

Zia Rita ci ha parlato come non mai della nostra nonna Apollonia e della sua capacità di divinare il presente di persone lontane, purtroppo soprattutto cose brutte.

Oggi è facile con telefonini ed internet sapere tutto di tutti ma fino agli anni ’50/’60 salutare una persona che partiva significava non sapere più niente di questa persona per lunghissimi periodi.

La nostra nonna aveva imparato a fare “le novene” (così venivano definite queste pratiche) da “Zì Innàr’ (Gennaro) a Santa Maria” che oltre alla magia bianca, si dice, avesse anche la capacità di fare giustizia di alcune piccole o grandi angherie che alcuni disonesti commettevano sull’isola.
Aveva il “dono” di leggere nei segni della natura messaggi che indicavano un destino che si doveva compiere o una notizia che sarebbe arrivata.
Il tutto con una grande religiosità che all’inizio la portava addirittura a credere di commettere peccato nell’applicarsi in questa sua capacità.

Un giorno, in occasione della festa della madonna dell’Assunta, a Ponza arrivarono come tutti gli anni dei monaci predicatori tra cui uno anziano dotato di grande saggezza.
La mia nonna con grande vergogna gli raccontò di se stessa e delle sue capacità, chiedendo se commetteva peccato.
Il monaco le rispose semplicemente che questo era un dono che il buon Dio le aveva dato e che, se lei lo gestiva senza superbia e senza trarne profitto o potere, doveva servirsene per il bene di quanti potevano trarne beneficio.
Da allora non ebbe più dubbi.
La sua fama la accompagnò fino a Mestre dove visse con zia Rita l’ultimo periodo della sua vita. Anche lì mise a disposizione il suo “dono” e seppe anche rispondere a tono ad una persona che le aveva posto un quesito già risolto, per verificarne le capacità.

La mia nonna non ha mai guadagnato un soldo con il suo “dono”.
Il suo mondo è finito insieme a lei, al papà di zio Peppino, a Tattaino che non negava mai una benedizione, a Marietta “ì scassascoglie” che oltre ad aggiustare le ossa aveva sempre qualche buon consiglio e per lei c’era sempre un pesce appena pescato, a Petrino che faceva cadere i porri dalle mani con una benedizione senza azoto liquido o acidi e a tanti altri uomini e donne che erano parte di un mondo sicuramente più variegato e ricco di quello attuale.

Vecchia foto di Cresima e Comunione

Il matrimonio di zio Antonio a Venezia con zia Assuntina. La nonna Apollonia è a sin.

Ho paura che se oggi alcune persone fossero dotate di queste capacità avrebbero buone possibilità di essere mandate in “trattamento sanitario obbligatorio” cioè passate per pazze, oppure denunciate da qualche professionista del sapere per esercizio abusivo della professione oppure se sono abbastanza furbe andare in televisione a fare il ciarlatano o, casomai, fondare un partito…

 

P.S. – Ho detto un sacco di cose ma ho parlato poco di zio Peppino. Sono andato, come si dice a scuola, fuori tema.
Alla prossima

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pubblicato l’8 settembre 2007

 

 

 

3 Comments

3 Comments

  1. Mimma Califano

    20 Dicembre 2013 at 09:58

    Dopo l’uscita dei primi due pezzi, ho avuto occasione di parlare del comune bisnonno con un’altra cugina, Franca, la figlia di Nannina (Anna).
    Nannina forse è stata la nipote che meglio ha conosciuto ed assistito nonn’ Innàr’, considerando che quando lui è morto – nel 1929 – lei aveva 18 anni.
    Dal quel che mia cugina Franca ricorda dei tanti particolari del nostro bisnonno raccontati a lei dalla madre, ci sono diverse conferme di quanto già scritto (Franca non ha letto gli scritti, quindi il suo racconto non ne è stato influenzato).
    Innanzitutto la capacità di descrivere fatti accaduti in altri luoghi (come hanno riportato anche altri).
    Famiglie preoccupate per mancanza di notizie a mesi interi, si rivolgevano a Innàr’, e riuscivano ad avere delle risposte che poi corrispondeva ai fatti reali. Dal semplice preannuncio: – Nun te preoccupa’… ’a letter sta arrivann’ – ad accadimenti non sempre buoni.
    Quando faceva questo, in genere si faceva portare a sedere in un angolo del cortile fuori della sua stanza e voleva essere lasciato da solo.
    A volte dava la risposta subito, altre volte il giorno dopo. Durante gli anni della seconda guerra mondiale, quella casa era un continuo via vai di gente, la preoccupazione per i familiari in guerra era tanta. Sembra che in qualche modo tutti abbiano avuto una parole di conforto o di speranza.
    Nannina descriveva il nonno come una persona sempre disponibile ed affabile, ed anche lei raccontava che portava dei begli orecchini d’oro e che sapeva accuncia’ ‘ll’ossa.
    Altri ricordi erano più familiari, come quando i nipoti tentavano di impossessarsi dei piccoli tesori che nonn’ Innàr’ teneva ’ndà ’na casciulella ’i legn’ – alcune delle tante persone che andavano da lui gli portavano piccoli doni, qualche pezzo di cioccolato arrivato dall’America con i primi pacchi, fichi secchi, un po’ di mostarda.
    Il tentativo era fatto sempre da più nipoti insieme; alcuni lo intrattenevano con qualche scusa e un altro piano piano apriva la casciulella cercando di sottrarre qualcosa; ma immancabilmente il bastone del nonno lo raggiungeva sulle mani: quanti ’vvote v’aggia dicere ch’a’ robb, m’a tenite ’a dumanda’ a mme!
    Tante erano anche le frasi e i modi di dire che Nannina aveva imparato dal nonno e che ha continuato a ripetere per tutta la vita… ormai irrimediabilmente persi.

  2. La Redazione

    21 Dicembre 2013 at 18:48

    Sono state aggiornate le didascalie sotto le foto che corredano dell’articolo.

    Nel frattempo è arrivata a Mimma Califano la segnalazione di un altro riferimento a suo bisnonno Innàr’.
    Nel libro di Paolo Iannuccelli “Ponza Mare” del 2006, alle pagg. 58-60, a proposito della storia del ‘San Salvatore’, il bastimento della famiglia Sandolo, viene così riportato:
    “La signora Marietta Vitiello, figlia di “U Suricillo” e moglie di ‘Ndo Pitt e “Mamena”, moglie dell’armatore Giuseppe Sandolo, andarono da un sensitivo che abitava a Santa Maria chiamato “Zi’ Naro”, il quale si mise sotto una coperta e entrò in trance. Le due donne udirono una serie di spaventosi lamenti e da sotto quella coperta il veggente cominciò a parlare: “Vedo i due bastimenti in preda della tempesta, ma si sono salvati. Domani mattina faranno il loro ingresso in porto l’uno dopo l’altro. A bordo vedo un ferito alla mano”.
    Il veggente di Santa Maria ci azzeccò. I due bastimenti fecero ingresso in porto all’ora da lui prevista. Un marinaio, durante la tempesta, era andato a finire sopra un chiodo che gli aveva attraversato un arto: fu immediatamente medicato.”.

    • silverio lamonica1

      22 Dicembre 2013 at 15:40

      Una precisazione al libro di Paolo Iannuccelli:
      Giuseppe Sandolo era il capitano del bastimento di cui era armatore Vincenzo Sandolo, padre di Filomena (Mamena) Sandolo, moglie di Capitan Giuseppe.
      Giuseppe Sandolo, genero di Vincenzo, l’armatore, era di Forna Grande, insomma apparteneva ad un altro ramo dei Sandolo.
      N.B. Filomena Sandolo (Mamena), è la mia zia acquisita, sorella di mio suocero Fulco Sandolo.

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