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Valdrada. Da: “Le città invisibili” di Italo Calvino

proposto da Sandro Russo

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Anche le città credono d’essere opera della mente o del caso, ma né l’una né l’altro bastano a tener su le loro mura. D’una città non godi le sette o settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda”.
(Marco Polo)
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La lettura dell’interessante (ancorché arduo) esperimento di scrittura portato avanti da Pasquale Scarpati con le sue “Elucubrazioni di Pasquale” – per accedere alle dieci puntate della serie digitare appunto  – Elucubrazioni – nel riquadro CERCA NEL SITO – mi ha per assonanza stimolato l’associazione con un ‘prezioso’ libro di Italo Calvino, Le città invisibili da cui è tratto questo breve testo. A seguire, alcune note sull’opera.
S. R.

 

Le città invisibili. Valdrada [1]

 

Valdrada
Gli antichi costruirono Valdrada sulle rive d’un lago con case tutte verande una sopra l’altra e vie alte che affacciano sull’acqua i parapetti a balaustra. Così il viaggiatore vede arrivando due città: una diritta sopra il lago e una riflessa capovolta.
Non esiste o avviene cosa nell’una Valdrada che l’altra Valdrada non ripeta, perché la città fu costruita in modo che ogni suo punto fosse riflesso dal suo specchio, e la Valdrada giù nell’acqua contiene non solo tutte le scanalature e gli sbalzi delle facciate che s’elevano sopra il lago ma anche l’interno delle stanze con i soffitti e i pavimenti, la prospettiva dei corridoi, gli specchi degli armadi.

Gli abitanti di Valdrada sanno che tutti i loro atti sono insieme quell’atto e la sua immagine speculare, cui appartiene la speciale dignità delle immagini, e questa loro coscienza vieta di abbandonarsi per un solo istante al caso e all’oblio.
Anche quando gli amanti danno volta ai corpi nudi pelle contro pelle cercando come mettersi per prendere l’uno dall’altro più piacere, anche quando gli assassini spingono il coltello nelle vene nere del collo e più sangue grumoso trabocca più affondano la lama che scivola tra i tendini, non è tanto il loro accoppiarsi o trucidarsi che importa quanto l’accoppiarsi o trucidarsi delle loro immagini limpide e fredde nello specchio.
Lo specchio ora accresce il valore delle cose, ora lo nega. Non tutto quel che sembra valere sopra lo specchio resiste se specchiato. Le due città gemelle non sono uguali, perché nulla di ciò che esiste o avviene a Valdrada è simmetrico: a ogni viso e gesto rispondono dallo specchio un viso o gesto inverso punto per punto.
Le due Valdrade vivono l’una per l’altra, guardandosi negli occhi di continuo, ma non si amano.

 

Nota
Pubblicato nel 1972, Le città invisibili è un romanzo di Italo Calvino (1923 – 1985), in cui l’autore ricorre alla tecnica della “letteratura combinatoria”.
Nella letteratura combinatoria centrale diventa il lettore, che si trova a “giocare” con l’autore, nella ricerca delle combinazioni nascoste nell’opera e nel linguaggio. Un procedimento analogo ha seguito Calvino nei più noti “Il castello dei destini incrociati (1973) e “Se una notte d’inverno un viaggiatore” (1979).

Il punto di partenza di ogni capitolo è il dialogo tra Marco Polo e l’imperatore dei Tartari Kublai Khan, che interroga l’esploratore sulle città del suo immenso impero. Marco Polo descrive città reali, immaginarie, frutto della sua fantasia, che colpiscono sempre più il Gran Khan.

I temi affrontati sono vari: dal tema del ricordo e della memoria a quello del tempo, da quello del desiderio a quello della morte.

Il gioco combinatorio risulta dalla struttura del romanzo: ogni capitolo è introdotto e chiuso da un dialogo tra Marco Polo e Kublai Khan, che ne forma la cornice. All’interno dei nove capitoli, i soggetti si ripetono in un gioco combinatorio. Le 55 città hanno tutte un nome di donna di derivazione classicheggiante.

Le città descritte da Marco Polo diventano simbolo della complessità e del disordine della realtà e le parole dell’esploratore appaiono, quindi, come il tentativo di dare un ordine a questo caos del reale. Perché ciò che Calvino vuole mostrare, come da lui stesso affermato alla fine del libro, è “l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme” e i due modi per non soffrirne: “Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio”.

Ma queste città sono anche sogni, come dice Marco Polo: “tutto l’immaginabile può essere sognato ma anche il sogno più inatteso è un rebus che nasconde un desiderio, oppure il suo rovescio, una paura. Le città come i sogni sono costruite di desideri e di paure, anche se il filo del loro discorso è segreto, le loro regole assurde, le prospettive ingannevoli, e ogni cosa ne nasconde un’altra”.

Il ruolo e la sfida del lettore è riuscire a cogliere il “discorso segreto”, le “regole assurde” e le “prospettive ingannevoli” di queste storie. Deve cercare un suo ordine personale nella vasta materia dell’opera.

Calvino stesso lo ritiene il libro in cui ha detto più cose, perché, come afferma nel capitolo sull’Esattezza nelle “Lezioni americane”, è riuscito a concentrare in un solo simbolo tutte le sue riflessioni, esperienze e congetture, costruendo “una struttura sfaccettata in cui ogni breve testo sta vicino ad altri in una successione che non implica una consequenzialità o una gerarchia ma una rete entro la quale si possono tracciare molteplici percorsi e ricavare conclusioni plurime e ramificate”.