Racconti

Elucubrazioni di Pasquale. (7). Il nutrimento della città

di Pasquale Scarpati
7. Silvano Braido. Conchiglia

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Il nutrimento della città

Questa città non si nutre né di carne né di pesce né di ogni altro alimento umano; si nutre di metallo e di carta.
Il metallo per lo più ha una forma rotonda (forse ciò vuole simboleggiare che non ha né inizio né fine: vuole rimanere eterno come il Redentore), di diverso spessore e di diversi colori con varie incisioni. Quello che attira di più è, però, il colore giallo: è abbagliante e forse per questo la sua forma è diversa dalle altre.
La carta è di diversa pezzatura, è particolare al tatto, ma soprattutto su di essa qualcuno si è divertito, con grande fantasia, a fare disegni coloratissimi che, sicuramente, servono per attirare  l’attenzione e per far sì che tutti siano indotti a maneggiarla. A questa carta, infatti, quasi essere vivente, piace essere accarezzata, non soltanto da una mano, bensì da più mani possibili. Spesso ama stare in compagnia con altre carte simili in mazzetti della stessa grandezza.
A causa dei suoi brillanti colori vorrebbe stare sempre alla luce del sole, per pavoneggiarsi. Invece, non di rado, viene afferrata da luride e sozze mani che, sicuramente per dispetto, la nascondono in luoghi sconosciuti, sparsi qua e là nel mondo. La città è molto golosa di questa leccornia.

Si racconta che il re Mida era attratto dalle monete gialle e chiese che tutto ciò che toccava trasmutasse nello stesso metallo; fu esaudito e se ne rallegrò moltissimo ma, subito dopo, fu preso dal panico: sarebbe morto di fame!
Oggi la tecnologia avanzata ha fatto passi da gigante: ha permesso infatti, solo ad alcuni però, di digerire anche questi metalli e queste carte.

Sono talmente voraci che non li assaporano lentamente ma, il più delle volte, dopo aver portato alle labbra un grosso boccone, cercano di deglutirlo quanto più velocemente possibile.
Capita, però, che quello rimanga nella strozza; pertanto o a loro fuoriescono delle lacrime oppure, nello sforzo, devono chiudere gli occhi.
Nel primo caso dicono che sono afflitti e dispiaciuti, nel secondo possono affermare, che, a causa della difficoltà della deglutizione, non possono “guardare in faccia a nessuno”.
Dunque durante tutto l’anno e specialmente in alcuni mesi si è obbligati, quasi pellegrinaggio alla Mecca, a portare questo nutrimento alla città.

Poiché alla città non piace far vedere ciò di cui si nutre, il tutto deve avvenire come fosse una cosa naturale.
Lungo le mura quindi, esclusivamente dalla parte esterna, vi sono teste di animali feroci, predatori: leoni, tigri, pantere con le fauci sempre spalancate che mostrano le zanne.
In queste fauci bisogna introdurre il nutrimento, che immediatamente sparisce.
Su ogni testa, ben inciso a carattere cubitali, è un acronimo il cui significato bisogna conoscere per poter immettere la giusta quantità di nutrimento, pertanto molti si affannano costantemente a divulgarlo e a spiegarlo, un po’ come si fa con i bambini, quando si ripete continuamente la parola che si vuole inculcare.
Come avviene per tutte le cose, il reo tempo logora queste teste. Allora gli abitanti della città immediatamente pensano a costruirne delle nuove e, forse per dare una parvenza di novità, cambiano l’acronimo.

Stranamente, però, ogni qual volta succede una cosa del genere, le fauci diventano sempre più grandi. Come le arterie che portano il sangue per tutto il corpo, così questo nutrimento scorre verso le torri, parte in superficie, parte, come fiume carsico, scende in ampi canali sotterranei: si può tranquillamente affermare che sottoterra scorre un “fiume di… nutrimento”.
Qualche volta, accade che, durante il percorso sotterraneo, si aprano ruscelletti laterali, artificiali, più o meno ampi. Simili a fiumi endoreici (1), essi si perdono nei meandri sotterranei. Qualcuno ha tentato di scoprire dove vanno a finire, ma il più delle volte è dovuto tornare indietro senza aver trovato nulla (a stento è riuscito a guadagnare l’uscita) oppure non ha fatto più ritorno.

Nonostante i ferrei controlli bisogna anche dire che alcuni entrano in città passando del tutto inosservati; conoscono, forse, porticine segrete, simili a quelle chi si vedono negli antichi castelli o palazzi, oppure botole che portano a sotterranei collegati con la città, per cui riescono ad entrarvi senza gettare nelle fauci il necessario nutrimento. Pertanto, poiché la città, sotto questo punto di vista, è simile al  nostro corpo – che ha bisogno di ogni nutrimento – mancando il supporto di alcuni, tutti gli altri devono sopperire a questa manchevolezza.
Si grida ai quattro venti che se tutti portassero il nutrimento, la città non sarebbe più costretta ad allargare ulteriormente le fauci delle bestie feroci. Bisogna pur dire, però, che, alla deficienza (in tutti i sensi) di alcuni, si aggiunge il fatto che sembra oltremodo difficile eliminare i ruscelli artificiali, laterali, sia perché sono tantissimi sia perché, qualora se ne interri uno, subito da un’altra parte se ne attiva un altro, un po’ come le teste dell’Idra di Lerna, tagliate da Ercole: ma quest’ultimo infine le bruciò, eliminandole, così, in modo definitivo.

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(1) Endoreico [endoréico] – Relativo a una regione o a un bacino idrografico le cui acque non hanno sbocco verso il mare, defluendo in specchi d’acqua interni (NdR).

Illustrazione di copertina: dipinto di Silvano Braido

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[Elucubrazioni di Pasquale. (7). Continua]

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