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I colori ereditati di Pouchain

di Silverio Lamonica
Acquerelli di Ponza [1]

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I colori ereditati di Pouchain
Piano di valorizzazione dei centri storici – a cura di Valentina Pouchain

L’Ing. Maurizio Pouchain (che assieme alla moglie – Signora Marisa – ha valorizzato alcuni vitigni di Ponza, ricavandone un vino pregiato) nel  2001 organizzò un  convegno sulla valorizzazione dei centri storici, in generale, e degli edifici di Ponza in particolare che ebbe luogo a Roma il 18 ottobre di quell’anno. Lo studio riguardava soprattutto le facciate degli edifici.

Locandina Convegno.2 [2]

Il coordinamento generale della ricerca fu affidato all’arch. Valentina Pouchain, la quale si avvalse della consulenza degli operatori dell’archivio storico di Napoli, di analisti, restauratori, del commercialista Dr. Casadei per il piano finanziario e del geom. Michele Rispoli, coordinamento locale.

L’ing. Pouchain, a pag. 22 degli atti del Convegno in esame, afferma: “Questo studio è iniziato negli anni ’70 mentre restauravo un mio immobile a Ponza.
Intervenendo sulla facciata, al fine di dare più risalto all’ordine architettonico tinteggiai i fondi con un giallo più carico del preesistente, in modo che le cornici di stucco risultassero maggiormente evidenziate.
Il Sindaco dell’epoca, dottor Sandolo, mi redarguì dicendo che con il mio intervento rischiavo di tradire l’aspetto dell’isola e quindi mi affrettai a sostituire il colore e a rientrare nelle regole locali.
In effetti scoprii che i colori dell’isola erano quattro e le nuances erano impercettibili ad occhio nudo”.

I colori ereditati [3]

L’ingegnere, attraverso una ricerca accurata in loco, interpellando soprattutto le vecchie maestranze locali,  che si tramandavano gli “ingredienti” delle composizioni dei colori di generazione in generazione, fece sue le raccomandazioni del Sindaco Sandolo e assieme alla figlia Valentina, decise di mettere su un vero e proprio laboratorio di ricerca: “Il Cenacolo”, al fine di risalire ai colori originali degli edifici ponzesi della seconda metà del Settecento, secondo i dettami di Winspeare e Carpi.

Al convegno diedero il loro prezioso contributo note personalità come l’on. Vittorio Sgarbi, all’epoca Sottosegretario del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali, il quale tra l’altro affermò: “Posso immaginare che questa scelta del campione di Ponza possa essere un esempio iportante e un modello da seguire” (Lo studio riguarda anche le modalità di restauro di alcuni monumenti di Roma come Palazzo Venezia).
Piero Angela, inoltre, osservò che attraverso la tecnologia si possono “recuperare testimonianze del passato per creare ricchezza. Ma attenzione la tecnologia non può appropriarsi e sostituire ciò che necessariamente deve essere realizzato dalle mani dell’uomo”.
Oggi, purtroppo, assistiamo – nel corso dei così detti restauri – all’uso quasi massiccio di macchine e di prodotti confezionati con procedure che nulla hanno a che vedere con le abilità dei vecchi mastri muratori; sabbia, cemento e tinte al quarzo plastico hanno ampiamente sostituito, negli intonaci, calce, pozzolana e i colori pastello in polvere d’un tempo, sicché assistiamo all’improvviso dilavamento dei colori delle facciate appena tinte, perché sabbia e cemento non “assorbono” la tinteggiatura, come mi faceva notare l’amico architetto Giuliano Massari, nel commentare il presente studio.

Recentemente è stata “restaurata” una parte del centro storico, però i delicati colori pastello di un tempo sembrano spariti, ma già lo erano nel 2001 come viene evidenziato a pag. 22 della pubblicazione in esame, con i due acquerelli del Porto di Ponza messi a confronto, per non parlare del recentissimo rifacimento dell’intonaco al muro di Corso Pisacane dove, al posto della cazzuola, per non perdere tempo si è preferito usare una macchina da cui fuoriusciva l’intonaco preconfezionato (chissà con quali modalità) simile a quella sorta di otre che il pasticciere usa nel guarnire una torta; immaginate se gli affreschi della Cappella Sistina fossero stati restaurati, “per guadagnar tempo”, con le bombolette spray, anziché ricorrere alle pazienti modalità artigianali e alle approfondite ricerche di laboratorio.

Noi Ponzesi, se veramente vogliamo valorizzare quest’isola – dal punto di vista turistico – dobbiamo obbligatoriamente investire maggior tempo e capitali nel conservarla come i nostri antenati ce l’hanno lasciata, cercando magari di riportarla ai fasti della seconda metà del Settecento. La “ricetta” però è una sola: servirsi degli stessi ingredienti e delle stesse procedure in uso all’epoca dei nostri nonni.

Di recente sono stato con Anna Maria a Venezia per la prima volta; ebbene  nell’ammirare quei palazzi, le loro tinte tenui, oltre allo stupendo spettacolo di quegli edifici sull’acqua, mi sembrava di fare un salto all’indietro nel tempo e rivivere la magica atmosfera della Serenissima dei dogi. Perfino le ante delle finestre dei palazzi e i portoni risalenti al Sec. XVIII non sono stati cambiati ma sapientemente restaurati! A Ponza, invece, ringhiere in ghisa, porte, portoni e ante con scuri in legno dell’Ottocento sono state sostituite da grigie saracinesche metalliche, orripilanti ringhiere e persiane ottonate, per non parlare delle tinteggiature dalle tinte forti, spesso veri e propri pugni in un occhio. Poco resta ahimè, dell’antico splendore.

Ma Ponza è ancora la “perla di Roma”?

 

Immagine di copertina – I due acquerelli del Porto di Ponza riguardano i colori del 2001 (quello con toni più forti) e l’altro i colori del passato (fino agli anni ’50 – ’60 del secolo scorso – dai colori più tenui [secondo Pouchain]) (N.d.A.)