Ambiente e Natura

I colori ereditati di Pouchain

di Silverio Lamonica
Acquerelli di Ponza

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I colori ereditati di Pouchain
Piano di valorizzazione dei centri storici – a cura di Valentina Pouchain

L’Ing. Maurizio Pouchain (che assieme alla moglie – Signora Marisa – ha valorizzato alcuni vitigni di Ponza, ricavandone un vino pregiato) nel  2001 organizzò un  convegno sulla valorizzazione dei centri storici, in generale, e degli edifici di Ponza in particolare che ebbe luogo a Roma il 18 ottobre di quell’anno. Lo studio riguardava soprattutto le facciate degli edifici.

Locandina Convegno.2

Il coordinamento generale della ricerca fu affidato all’arch. Valentina Pouchain, la quale si avvalse della consulenza degli operatori dell’archivio storico di Napoli, di analisti, restauratori, del commercialista Dr. Casadei per il piano finanziario e del geom. Michele Rispoli, coordinamento locale.

L’ing. Pouchain, a pag. 22 degli atti del Convegno in esame, afferma: “Questo studio è iniziato negli anni ’70 mentre restauravo un mio immobile a Ponza.
Intervenendo sulla facciata, al fine di dare più risalto all’ordine architettonico tinteggiai i fondi con un giallo più carico del preesistente, in modo che le cornici di stucco risultassero maggiormente evidenziate.
Il Sindaco dell’epoca, dottor Sandolo, mi redarguì dicendo che con il mio intervento rischiavo di tradire l’aspetto dell’isola e quindi mi affrettai a sostituire il colore e a rientrare nelle regole locali.
In effetti scoprii che i colori dell’isola erano quattro e le nuances erano impercettibili ad occhio nudo”.

I colori ereditati

L’ingegnere, attraverso una ricerca accurata in loco, interpellando soprattutto le vecchie maestranze locali,  che si tramandavano gli “ingredienti” delle composizioni dei colori di generazione in generazione, fece sue le raccomandazioni del Sindaco Sandolo e assieme alla figlia Valentina, decise di mettere su un vero e proprio laboratorio di ricerca: “Il Cenacolo”, al fine di risalire ai colori originali degli edifici ponzesi della seconda metà del Settecento, secondo i dettami di Winspeare e Carpi.

Al convegno diedero il loro prezioso contributo note personalità come l’on. Vittorio Sgarbi, all’epoca Sottosegretario del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali, il quale tra l’altro affermò: “Posso immaginare che questa scelta del campione di Ponza possa essere un esempio iportante e un modello da seguire” (Lo studio riguarda anche le modalità di restauro di alcuni monumenti di Roma come Palazzo Venezia).
Piero Angela, inoltre, osservò che attraverso la tecnologia si possono “recuperare testimonianze del passato per creare ricchezza. Ma attenzione la tecnologia non può appropriarsi e sostituire ciò che necessariamente deve essere realizzato dalle mani dell’uomo”.
Oggi, purtroppo, assistiamo – nel corso dei così detti restauri – all’uso quasi massiccio di macchine e di prodotti confezionati con procedure che nulla hanno a che vedere con le abilità dei vecchi mastri muratori; sabbia, cemento e tinte al quarzo plastico hanno ampiamente sostituito, negli intonaci, calce, pozzolana e i colori pastello in polvere d’un tempo, sicché assistiamo all’improvviso dilavamento dei colori delle facciate appena tinte, perché sabbia e cemento non “assorbono” la tinteggiatura, come mi faceva notare l’amico architetto Giuliano Massari, nel commentare il presente studio.

Recentemente è stata “restaurata” una parte del centro storico, però i delicati colori pastello di un tempo sembrano spariti, ma già lo erano nel 2001 come viene evidenziato a pag. 22 della pubblicazione in esame, con i due acquerelli del Porto di Ponza messi a confronto, per non parlare del recentissimo rifacimento dell’intonaco al muro di Corso Pisacane dove, al posto della cazzuola, per non perdere tempo si è preferito usare una macchina da cui fuoriusciva l’intonaco preconfezionato (chissà con quali modalità) simile a quella sorta di otre che il pasticciere usa nel guarnire una torta; immaginate se gli affreschi della Cappella Sistina fossero stati restaurati, “per guadagnar tempo”, con le bombolette spray, anziché ricorrere alle pazienti modalità artigianali e alle approfondite ricerche di laboratorio.

Noi Ponzesi, se veramente vogliamo valorizzare quest’isola – dal punto di vista turistico – dobbiamo obbligatoriamente investire maggior tempo e capitali nel conservarla come i nostri antenati ce l’hanno lasciata, cercando magari di riportarla ai fasti della seconda metà del Settecento. La “ricetta” però è una sola: servirsi degli stessi ingredienti e delle stesse procedure in uso all’epoca dei nostri nonni.

Di recente sono stato con Anna Maria a Venezia per la prima volta; ebbene  nell’ammirare quei palazzi, le loro tinte tenui, oltre allo stupendo spettacolo di quegli edifici sull’acqua, mi sembrava di fare un salto all’indietro nel tempo e rivivere la magica atmosfera della Serenissima dei dogi. Perfino le ante delle finestre dei palazzi e i portoni risalenti al Sec. XVIII non sono stati cambiati ma sapientemente restaurati! A Ponza, invece, ringhiere in ghisa, porte, portoni e ante con scuri in legno dell’Ottocento sono state sostituite da grigie saracinesche metalliche, orripilanti ringhiere e persiane ottonate, per non parlare delle tinteggiature dalle tinte forti, spesso veri e propri pugni in un occhio. Poco resta ahimè, dell’antico splendore.

Ma Ponza è ancora la “perla di Roma”?

 

Immagine di copertina – I due acquerelli del Porto di Ponza riguardano i colori del 2001 (quello con toni più forti) e l’altro i colori del passato (fino agli anni ’50 – ’60 del secolo scorso – dai colori più tenui [secondo Pouchain]) (N.d.A.)

6 Comments

6 Comments

  1. vincenzo

    3 Novembre 2013 at 10:27

    Ponza come la “Cappella Sistina? e quindi tutte le ditte che appaltano i lavori su Ponza come Michelangelo?

    Il Sindaco menzionato dal ing. Pouchain diceva spessissimo: “Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare”.

    Dopotutto quel Sindaco mentre redarguiva bonariamente l’ingegnere, sui colori da dare alla sua casa, aveva permesso nel tempo lo scempio della miniera alle Forna.

    Ma poi chiedo all’Ingegnere ma il colore storico delle case del centro storico fino alla fine dell’ottocento non era essenzialmente il bianco calce?

    Perché dico questo per accertare la verità storica, l’uomo venuto dopo, fa e rifà secondo i suoi interessi e infatti il Centro Storico cambia quando le case diventano private: si elevano piani e si cambiano i colori, per distinguersi: …”Dal 1911…iniziano le vendite delle abitazioni del complesso edilizio lineare di Via Carlo Pisacane per le quali, con un riscatto che permette agli inquilini di diventare proprietari, all’affitto subentra la proprietà. ….forse per distinguere la loro proprietà a porre un colore (rosa, giallo, o celeste) sui muri bianco-calce di quella architettura minore costruita sulla struttura settecentesca.

  2. polina ambrosino

    3 Novembre 2013 at 13:43

    Mio padre, che ha vissuto a Ponza dall’età di 7 anni fino al 1994, mi diceva che il centro storico non era assolutamente in bianco calce, ma in quel colore a metà strada tra il rosa antico e rosso mattone, oggi leggermente più scuro, il palazzo del comune giallo, la chiesa bianca, ma era ancora senza navata, per la quale fu scelto il giallo. I colori delle case del centro storico, che furono poi portati anche a sant’Antonio, erano appunto il giallo e il rosa alternati, non sempre uguali nel tono, ma mai sostituiti da altri colori. L’azzurro è molto recente. Di certo non appartiene ai colori pensati per Ponza dal Carpi e dal Winspeare. Le case bianche erano quelle del primo piano del porto, non del secondo, e quelle al di fuori del centro storico, quelle alte degli Scotti, della Dragonara, di Giancos, anch’esse poi dipinte dalle generazioni successivo. La cura per il ripristino dei colori originari non è sbagliata. Andrebbe addirittura fatta, a livello istituzionale, con il parere di persone competenti, una scelta di possibili tinte tra le quali scegliere, in maniera tale che si evitino colori come quelli di Burano dove le tinte forti sono parte del bagaglio storico. Ma si sa che il bagaglio storico per troppi è solo una zavorra di cui liberarsi.

  3. vincenzo

    3 Novembre 2013 at 17:12

    Cara Polina, la cultura si passava da padre in figlio prima dell’avvento della scrittura, tuo padre, è nato all’inizio del secolo scorso ma non all’inizio dell’ottocento.
    Ma L’architetto Valentina Pouchaine potrebbe confermare o smentire quello che io ho detto e cioè: “è solo dopo il 1911 che i Ponzesi entrano in possesso delle abitazione del Centro Storico per cui cominciano a tinteggiare le case con i colori che zio Giovanni ricorda”.

  4. polina ambrosino

    3 Novembre 2013 at 22:55

    Dunque, mio padre è vissuto nel 900, ma quando arrivò il nonno, inizio 900, Ponza NON ERA TUTTA BIANCA. Mica siamo a Ostuni in Puglia?? Il porto borbonico (primo piano, secondo piano, chiesa, palazzo comunale, antiche carceri) non erano completamente bianche. Ponza usava la calce nelle case-grotte per motivi di igiene, soprattutto. Ma i palazzi storici furono tinteggiati. E’ come in Liguria: le case a ridosso dei porti sono state sempre colorate. Ponza non ha fatto eccezione. Comunque ora, per principio, andrò a documentarmi ulteriormente.

  5. rosanna

    4 Novembre 2013 at 19:47

    Tutte le costruzioni facenti parte del porto borbonico progettato da Winspeare e di proprietà prima dell’Orfanatrofio militare e poi del demanio, erano bianche, mentre le costruzioni private erano colorate. Ne ha fatto accurata ricerca, Marcella Morlacchi per il piano dei colori di Ponza (vedere “I 4 colori di Ponza” http://www.marcellamorlacchi.it/ponza) Anche il Mamozio e il molo erano bianchi…ma le case costruite dai ponzesi che non fossero case-grotte erano colorate già da prima del 1911

  6. vincenzo

    5 Novembre 2013 at 17:18

    Cara Rosanna, sembra che io e te siamo destinati a interpretare diversamente le cose pur leggendo gli stessi testi informativi. Lo studio di Marcella Morlacchi:

    “Nell’anno 1839 il Reale Officio topografico di Napoli realizza una “Pianta del Porto di Ponza, ricavata dall’originale avuto dalla Direzione Generale di Ponti e Strade” dalla quale emergono elemento molto interessanti sulla destinazione, indicata in legenda, di tutti gli edifici presenti nella zona del Porto (che risultano ospitare esclusivamente i rilegati, i militari, l’ospedale militare, la scuola pubblica, l’ospedale per i rilegati, le vedove militari, un corpo di guardia, una caserma militare) e sul colore dei loro muri (il bianco calce) fino a questa data, infatti, la voce al punto 5 segnala che, tutto il complesso edilizio lineare a due piani, sull’odierno Corso Carlo Pisacane, è ancora assegnato all’Orfanotrofio Militare e la voce al punto 17 sottolinea la presenza di una unica e sola “Casetta di proprietà privata”. Quindi nel 1839 il costruito di Ponza Porto è solo quello del patrimonio reale borbonico e le abitazioni private oltre all’unica “Casetta” individuata al punto 17, si identificano ancora nelle case grotta o comunque in poveri abituri. Il colore dei muri delle costruzioni borboniche, fino a questa data è quindi ancora quello bianco calce.
    L’uso di imbiancare a calce l’edificato si è poi certamente esteso agli altri due Centri Storici, anche se per S. Maria e per Le Forna non esistono documenti atti a convalidare questa ipotesi.
    Alla fine dell’Ottocento, quindi, le abitazioni dell’isola sono classificabili secondo due tipologie:
    – abitazioni sorte in zone di sviluppo rurale, che si identificano, per lo più, in case-grotta e in case-sparse entro i terreni coltivati, mimetizzate con la campagna. Non prive di colore;
    – abitazioni nel complesso edilizio lineare Borbonico, caratterizzate dalla tipica copertura a volta (detta lamia), che presentano il colore bianco della calce.
    Dall’anno 1911, come risulta da indagini eseguite presso gli Uffici competenti, iniziano le vendite delle abitazioni del complesso edilizio lineare di Via Carlo Pisacane per le quali, con un riscatto che permette agli inquilini di diventare proprietari, all’affitto subentra la proprietà. Probabilmente è da questa data che i nuovi proprietari iniziano ad attuare le prime rifusioni e sopraelevazioni sulle cellule abitative del complesso edilizio lineare e nello stesso tempo, forse per distinguere la loro proprietà a porre un colore (rosa, giallo, o celeste) sui muri bianco-calce di quella architettura minore costruita sulla struttura settecentesca.
    Tra il 1920 ed il 1940 l’isola si arricchisce di villini liberty, o con richiami neoclassici, alcuni dei quali decorati con stucchi e graffiti di buon livello artistico, a Ponza Porto e a S. Maria.
    Sul Corso Carlo Pisacane le compatte pareti murarie dei prospetti vengono scandite da paraste e lesene con capitelli e basi, secondo la tipologia dell’epoca dell’eclettismo e del liberty.
    Decorazioni a motivi classici, allegorici o floreali ornano, con modanature in stucco, le unitarie pareti edilizie, tinteggiate secondo il sistema tradizionale, a calce e terre naturali.
    Il colore bianco, presente dall’origine sino ad oggi nella fascia del piano terra di via Carlo Pisacane, modulate dalle arcate, è risultato essere da tempo il colore dei muri del Molo Musco e del Mamozio, forse per marcare meglio e rendere più visibile dal mare la presenza del Porto. Secondo l’ipotesi di anziani isolani, l’adozione del colore rosa e di quello celeste può essere attribuito all’uso antico, dei contadini e dei pescatori immigrati, di unire alla calce, usata per la tinteggiatura dei muri e delle case, rispettivamente, il solfato di rame usato per le coltivazioni e per il minio, usato per le barche.
    Altri sostengono che il colore dei muri veniva realizzato miscelando nella calce la vernice usata dai pescatori per le proprie barche: la casa rosa individua il proprietario della barca rosa; veniva a costituirsi in questo modo un interessante catasto cromatico.
    I quattro colori tradizionali, nelle numerosissime tonalità dovute alla diversa saturazione del pigmento, hanno vivacizzato da quella data i tre Centri Storici, con la luminosità trasparenza delle tinte a calce e terre e con quella spontanea e gradevole alternanza che ha caratterizzato l’immagine dell’isola stessa.
    Come a Capri si associa oggi la monocromia del bianco, così a Ponza si associa, nelle varie tonalità, la quadricromia del “giallo-bianco-rosa”, unita ad un tono di ocra rosso, concentrato per la massima parte a Ponza Porto. Dalla fine degli anni ’60, nei tre Centri storici quasi tutti gli edifici subiscono una gravissima menomazione, sia a livello decorativo che cromatico. Infatti vengono eliminati quasi ovunque, con un notevole impoverimento generale il bugnato dei basamenti e dei cantonali, gli elementi verticali e orizzontali, in stucco, tipici del periodo eclettico, riproposti solo come differenza di colore, e le modanature degli elementi decorativi ed architettonici, che, con la loro presenza lievemente emergente dal fondo, conferivano alla superficie muraria una caratteristica vibrazione chiaroscurale.
    L’architettura viene significata solo dalla bicromia piana a fondo e fasce, legata alla sensibilità cromatica del singolo committente.
    Inoltre la tradizionale tinteggiatura artigianale a calce e terre naturali viene sostituita con quella a base di leganti e colori sintetici, con o senza inerti di quarzo di varia granulometria”.

    Da questi studi quindi si deduce che le case del porto non erano assolutamente private, ma in generale anche le case private erano bianche.
    Ponza era BIANCA fino al 1911.

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