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Halloween o le scarpe sotto il lettino? (1)

di Rosanna Conte
Arnold Boecklin. L'isola dei Morti III vers. 1883 [1]

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Leggendo i diversi articoli apparsi sul nostro sito, in occasione della commemorazione dei defunti, mi è sembrato opportuno fare un salto nel tempo per arrivare là dove si è formata la radice comune delle diverse tradizioni presenti nelle varie parti del mondo.

Il culto dei morti risale alla notte dei tempi, nell’età paleolitica, quando accanto alla sfera del quotidiano comincia a profilarsi la sfera del sacro, ed è comune a popoli lontani nel tempo e nello spazio perché ha le sue radici  nella comune concezione ancestrale della sopravvivenza degli spiriti dopo la morte.
Stiamo parlando di un periodo in cui non era ancora nata l’idea di Dio, ma le sepolture ritrovate testimoniano che era nata la consapevolezza, a livello individuale e collettivo, che la morte era ineluttabile.

Necropoli preistorica del Marcellino. Melilli SR [2]

Necropoli preistorica del Marcellino. Melilli SR

Gli studi antropologici effettuati presso le ultime tribù di cacciatori raccoglitori ancora presenti negli ultimi due secoli in diversi continenti hanno messo in evidenza che, per loro, all’interno di ogni cosa – oggetto, animale, persona- esiste una forza immateriale che assume nome diverso a seconda del popolo. E’ mana per i polinesiani, orenda per gli indiani Huron del nordamerica, tilo per i Balonga africani, e così via.

Si è capito, anche, che nel pensiero del primitivo la morte è spesso un maleficio e raramente un fatto naturale. In casi di malattie gravi e disperate, i familiari dell’infermo ricorrono a espedienti vari di natura magica, come scongiuri, offerte di cibi e di altri oggetti presso il capezzale del sofferente, per debellare l’opera degli spiriti o degli stregoni. L’uso di otturare il naso e le orecchie, di chiudere gli occhi e la bocca, ovvero di legare le mascelle del moribondo rientra in tale categoria di pratiche e mira a impedire che lo spirito fugga dal corpo.

Gli studi antropologici hanno messo in evidenza che diffusa è la paura del contagio del maleficio che ha prodotto la morte, per cui i familiari del defunto vengono messi in quarantena per purificarsi. Da qui la tradizione del lutto che assume connotazioni diverse tra i popoli, ma è sempre una restrizione di tutto quanto riguarda la vita.

Le prime tombe ritrovate risalgono a 100.000 anni fa e sono opera dell’uomo di Neanderthal e dell’uomo Sapiens sapiens, i nostri diretti progenitori secondo gli ultimi studi di genetica.

I resti umani in esse trovati ci fanno capire che già allora si seguiva un rito di sepoltura, poiché i cadaveri erano sistemati in una particolare postura ed erano cosparsi di ocra rossa, a voler simboleggiare il sangue e, quindi, la vita.

Inoltre, i vari oggetti depositati nelle tombe, come conchiglie forate, crani di animali, utensili probabilmente appartenuti in vita al morto, come ad accompagnarlo in un probabile viaggio, mostrano l’esistenza di una fede nel prolungamento della vita dopo la morte e nella rinascita del defunto. Insomma già l’uomo preistorico immaginava un’altra “vita” oltre la morte e dotava il defunto del necessario per affrontarla.

Certamente, come le popolazioni primitive giunte fino a noi, anche essi ritenevano che lo spirito, il “mana” del defunto non fosse svanito, e ne avevano conferma attraverso i probabili sogni dove potevano incontrarlo e parlarci, per cui c’era la possibilità di un suo ritorno fra i vivi.

Questo incuteva paura, specie se si temeva che volesse vendicarsi sui vivi, per aver trasgredito le regole previste dai riti di sepoltura, o anche perché la sua morte era stata determinata dalla violenza.
Quindi, per proteggersi dall’eventuale vendetta degli spiriti dei defunti c’erano le offerte votive che erano dirette a tutelare il clan nel suo complesso, più che l’individuo, perché, come è scritto anche nell’antico Testamento, la maledizione di Dio si riversava sulle generazioni successive di chi aveva infranto la legge divina ed il clan nasceva su base familiare.

Catacombe ebraiche. Venosa PZ. III-IV sec d.C [3]

Catacombe ebraiche. Venosa PZ. III-IV sec d.C

Questo concetto “della tutela del singolo attraverso la tutela del gruppo” è quello che permesso l’affermazione dell’uomo nei pericoli e nelle avversità del  paleolitico. Molto più di noi, così individualisti, gli uomini di allora sapevano che solo stando insieme, facendo vita in comune, ci poteva essere la possibilità che un buon numero di individui potesse sopravvivere.

Proprio la necessità del rafforzamento del senso di appartenenza porta all’introduzione della venerazione di un animale considerato unico e mitico antenato del clan, intorno al quale si potevano stringere tutti i membri del gruppo: il totem.

Per difendersi da eventuali rientri degli spiriti, però, nasce una figura nuova, quella  dello/la sciamano/a che, attraverso la trance, entrava in contatto con loro, poteva conoscerne i desideri e le necessità, giungendo ad organizzare offerte e sacrifici ad essi graditi, tutelando così il clan nel suo complesso.

Dipinto dalla tomba di Sennedjem ove un sacerdote con la maschera di Anubi termina la mummificazione [4]

Dipinto dalla tomba di Sennedjem ove un sacerdote con la maschera di Anubi termina la mummificazione

Questo rapporto col mondo dei morti non è mai tramontato, non solo quando è comparsa la sfera del divino – cosa accaduta intorno a 27.000 anni fa – ma anche successivamente, quando in età storica, molti riti, conservando il senso originario, si sono diversificati, fino a giungere a noi che, spesso, non riusciamo più a coglierne il senso.

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Immagine di copertina: Arnold Boecklin. L’isola dei Morti, III versione; 1883

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