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Responsabilità e ricordo

di Rosanna Conte
Papavero-e-filo-spinato [1]

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L’articolo di Emanuela Siciliani e Domenico Musco “La nostra visita ad Auschwitz-Birkenau”leggi qui [2] e qui [3] – corredato da foto che molto dicono, ed il commento di Polina, hanno messo in evidenza l’orribile vicenda umana dell’olocausto.
Questa riflessione sulla Shoah è concomitante con la morte di Priebke, il boia delle Fosse Ardeatine. Per coloro che ne avevano solo sentito parlare in maniera generica, credo che l’eco dei commenti inerenti, la reazione dei romani e degli abitanti di Albano ai funerali del nazista, siano stati elementi utili per capire meglio.
Pare che non lo volesse nessuno, ad esclusione dei figli e parenti, e dopo lungo tergiversare, scontri e polemiche, solo dopo vari giorni si è raggiunto un accordo sul luogo (segreto) della sepoltura.
Ricordare fatti gravi e terribili è sempre utile per mantenere alta la guardia davanti a quelle le debolezze dell’umanità che possono degenerare, ma non basta: il ricordo è maggiormente utile se incide sul presente.
Siamo sicuri che l’orrore dell’olocausto non si ripeta più? Da qui parte la mia riflessione.

La responsabilità individuale sta alla base delle azioni umane. Questo concetto chiave per interpretare i fatti quotidiani, in realtà ha la sua massima applicazione anche nei fatti storici. Le condizioni di costrizione in cui si trova a vivere un popolo non hanno impedito agli individui consapevoli di contrapporsi ad azioni ignobili, da Robin Hood ai Giusti ricordati in Israele, scegliendo di agire in nome della responsabilità personale.

La banalità del male di Hanna Arendt (1963) fa capire molto bene come la rincorsa nazista all’eccidio degli ebrei abbia trovato terreno fertile nella deresponsabilizzazione della gente comune, tedesca e non, inchiodandola proprio alla possibilità di scelta personale che ha rinnegato.

La banalità del male. Libro [4]

Io credo che l’olocausto debba restare nella memoria umana, come testimonianza della capacità dell’uomo di produrre orrori quando rinnega i valori inclusivi per esaltare una parte di umanità contro l’altra.
Ma deve essere ricordato anche come la grande occasione mancata per gli indifferenti, per quelli che non vedevano, per quelli che ritenevano di non avere nulla da spartire con quella storia (leggi qui [5]); occasione mancata per essere veramente esseri umani, cioè persone in grado di pensare liberamente e scegliere secondo i valori che supportano la vita e non la sofferenza e la morte.

Ma ricordare l’olocausto significa anche che oggi noi dobbiamo sentire il peso della responsabilità delle nostre scelte, dobbiamo evitare di essere indifferenti, dobbiamo attrezzarci per capire dove stiamo andando in modo da evitare in tempo che nella nostra società ci siano scivoloni che ci possono portare a situazioni disumane.

Lo stiamo facendo?

In Italia esistono leggi che escludono i deboli, i diversi, gli stranieri, si sentono cori razzisti nelle curve degli stadi, si sentono canti fascisti anche nelle strade di Ponza (in estate), c’è un revisionismo strisciante che viene accolto come oro colato in nome della libertà di pensiero, c’è un’adesione al pensiero unico del benessere personale, c’è un calo tremendo di cultura, di capacità di comprendere quanto viene detto pubblicamente, e così via.

Nel frastuono della nostra società, siamo distratti da tante cose banali e quando, per caso, ci arrivano immagini come quelle del naufragio di tanti giovani che sono morti nel tentativo disperato di trovare la vita, restiamo stupefatti e a stento ci chiediamo perché sia successo.

Davanti all’olocausto e davanti alla strage di migranti ci dovremmo chiedere dov’è stato e dov’è l’errore, e se per l’olocausto i tanti libri di storia ci hanno dato indicazioni, per i migranti dobbiamo cercarle noi, seguendo giorno per giorno quel che avviene nella nostra società attraverso le decisioni politiche che vengono prese.

Quindi le domande da porci per gli orrori di oggi, sono: dove stavo io? Cosa non ho visto? Cosa ho accettato senza batter ciglio perché non riguardava me?

La nostra responsabilità individuale non può essere aggirata dal non sapere. Noi siamo responsabili anche del bagaglio delle nostre conoscenze, nel senso che, se vogliamo, possiamo informarci, e se non lo facciamo, vista la facilità con cui circolano le notizie, è perché non abbiamo voluto. Allora è inutile trincerarsi dietro il “non sapevo” come giustificazione di mancata assunzione di responsabilità.

Se per l’olocausto la domanda più semplice e banale è: “Come facevano quelli vicino ai campi di sterminio a non accorgersi di quello che succedeva?”, per le stragi odierne, che non sono solo quelle dei migranti, ma anche quelle delle continue guerre nelle diverse parti del mondo, quelle dei detenuti morti violentemente, quelle delle donne uccise perché considerate oggetti di proprietà maschile, quelle dei bambini ridotti in schiavitù, o anche i suicidi dei disoccupati e così via, per quelle di oggi la prima domanda è: “Cosa posso fare io?”

E’ ovvio che il singolo non può intervenire in prima persona in questioni di carattere così ampio, ma la sua responsabilità si esplica nel controbattere nel quotidiano chi assume comportamenti ed esprime idee che portano a quelle stragi, e nella partecipazione alle scelte politiche che tendono ad evitarle, anche nel momento del voto.

E’ la coscienza civica che può arginare gli orrori: alla sua crescita, specie fra i giovani, bisogna mirare.