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L’estate se ne va altrove

 di Gabriella Nardacci

L'estate se ne va altrove [1]

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Sono stata a riordinare il terrazzo nella mia casa al mare. Le piante sono tutte in buona salute “grasse e lucide” come direbbe mia madre. La signora che abita accanto mi ha detto di spostargliele tutte al confine del suo terrazzo con il mio, così che potrà innaffiarle durante le “stagioni morte”: così la mia vicina chiama l’autunno e l’inverno.

Mi dispiace doverle lasciare dopo tante amorevoli cure ma morirebbero se le portassi sul piccolo terrazzo della mia casa a Roma. Prendo solo i vasi piccoli dei fiori stagionali così che possa godermeli in questi giorni non ancora abbandonati dal sole che rende le temperature gradevolmente estive nonostante l’autunno sia arrivato solo l’altro ieri.

Stamattina sulla spiaggia c’era poca gente e quasi tutti gli ombrelloni erano chiusi negli stabilimenti. L’acqua del mare era limpida e le poche persone che, come me, passeggiavano sulla riva, camminavano lentamente godendosi quei passi.

In piazza i tavolini, fuori dai bar, erano pochi e il fruttivendolo “caciarone” che urlava la sua merce “speciale” a luglio e agosto, oggi era chino e silenzioso su una cassetta di legno da dove toglieva frutta marcia.

Il terrazzo è vuoto ormai e le tende sono arrotolate. Mi affaccio e qualcuno ancora torna dalla spiaggia. Sono i “vacanzieri” dei fine settimana. La maggior parte delle case ha le tapparelle chiuse e nei giardinetti delle villette a schiera tutti gli arredi sono stati tolti. Non ci sentono più rumori di tagliaerba, né voci di bimbi, né risate dei grandi, né schiamazzi di giovani.

Le strade sono libere da macchine parcheggiate e poche sono quelle che circolano. L’unico, imperterrito autoveicolo è il camioncino dello “stracciarolo” che con il suo altoparlante grida – E’ arrivato lo stracciarolo. Ritiro ferro, metalli di ogni tipo. Facciamo tutti i tipi di sgombri… Una grande opportunità davanti ai vostri occhi. Non lasciateci scappare! Avvicinatevi con fiducia…”.

Chissà perché mi viene da pensare al pesce sgombro invece che alla liberazione di materiali in un locale e sorrido…

Tramonto fine estate [2]

Le ombre sembrano calare improvvisamente. Il sole comincia a infiammarsi e prima ancora che si tuffi dietro il mio orizzonte, preferisco andar via. Del mare mi arriva il suono e non il rumore. Immagino le onde che si staranno stendendo sulla riva e sarebbe bello, a quest’ora, sentire i piedi sprofondare nella sabbia.

La strada del ritorno dal mare, è sempre stata, per me, piena di ricordi e di pensieri “bagnati” e nonostante ami molto l’autunno, un “certo non so che” di languido e malinconico, s’impadronisce del mio umore. Quando ero ragazza, riportavo il ricordo del Circeo al mio paese e solo la vista di una lingua di mare da dove si dice che si veda l’isola di Ponza, calmava la mia nostalgia: il mare non era poi così lontano, pensavo.

Immagino l’estate che se ne va anche da Ponza. Mi viene da pensare agli isolani e alla voglia di “riappropriarsi” della loro isola dopo l’invasione dei turisti. Mi viene da pensare ai souvenir che i negozianti ripongono negli scatoloni. Sarà stata una proficua estate isolana per chi investe su questa stagione gran parte di speranza? Tornano i conti?

Mi viene da pensare a quel che resta dei cartelloni degli spettacoli effettuati, ai menù affissi fuori e rientrati dentro i ristoranti, agli amori estivi e alla solitudine che lasciano nel cuore.

Penso ai lavori di vendemmie e di orti che da nord a sud, da est o da ovest, sempre godono della vista e dell’influenza benigna del mare.

Immagino il ridotto numero di persone che arrivano al porto e comprendo la fatica di chi parte col primo traghetto la mattina prestissimo e che ritornano, con l’ultimo la sera tardi con il mare nero e con la luna in fondo che si trasforma, chissà quante volte, durante le stagioni fredde.

Delle isole visitate, ho riportato sempre con me, l’immagine dei pescatori chini sulle reti e pensierosi. Chissà quali e quante cose hanno visto e vissuto e che non hanno mai raccontato per timore di non essere creduti o perché loro stessi non hanno potuto credere ai propri occhi!
Forse mostri marini o magari sirene…chissà!

Ho riportato il ricordo di spiaggette isolate, inaccessibili ma di un fascino particolare, l’immagine delle casette colorate e l’immagine dello spazio del mare che non vedo grande in nessun altro luogo che non sia un’isola.

Ora, però, l’estate se ne va altrove e a essa non importa di andare via col traghetto da un’isola o con il treno da una penisola, e non è l’estate a lasciarci nella solitudine: ma questa è un’altra storia.

Un giorno dopo l’altro… – cantava tristemente il caro Luigi Tenco – …giorni che le stagioni ingoiano voracemente.

E’ che d’estate si fanno più fotografie e in quelle più sbiadite di qualche estate fa, traspare chiaramente lo scorrere del tempo.

Barche rovesciate a fine estate.11 [3]