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Dubbio giudizio

di Francesco De Luca (Franco)

Folon. Les escarbilles mentales [1]

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Non so se è una condanna o altro il fatto che, col ritorno alla normalità della vita sociale, e dunque con alle spalle il periodo convenuto per le vacanze estive, Ponza si liberi del vestito cellofanato della “cartolina turistica” e riprenda il suo abito di isola, semplicemente.

Isola vuol dire:
A – che la comunità residente avverte la sua specificità e la connette in modo inscindibile alla facilità della comunicazioni;
B – funzionamento degli apparati assistenziali;
C – regolarizzazione delle strutture statali garanti della “normale”  vivibilità sull’isola.

L’isola ridiventa la casa dei ponzesi ed essi ritornano ad esserne i soli fruitori.

Ponza, pur palesando le bellezze naturali di sempre, anche se il clima stagionale le rende più intimiste e vaporose, non è invasa da frotte ansanti di turisti in cerca di esaltanti esperienze corredate da immagini spettacolari. Ci sono soltanto i ponzesi a faticare per rendere la loro vita “normale”.

I due termini in duello sono: faticare e normale. Duellano perché la normalità non dovrebbe “costare fatica”, e invece no: i professori mancano in modo consueto, i negozi aprono quando e come vogliono, la banca rateizza le presenze, il parroco si allontana a piacere, i medici specialistici vengono quando possono, le navi non ottemperano agli orari.
Insomma la “normalità” stenta a imporsi e a proporsi. Si è in balìa dell’improvvisazione.

Il che può anche presentarsi come motivo di fascinazione, di attrattiva ma per chi? Per chi si lascia andare al flusso degli eventi (per pochi giorni) e ne assapora l’estemporaneità? Ma per chi sulla regolarità dei fatti ha poggiato l’esistenza quotidiana (si pensi agli anziani o ai minori o a chi permane nella precarietà economica, affettiva, lavorativa), in tutti costoro l’“a-normalità” genera la  “schizofrenia”, di cui ho detto qualche tempo fa. Li rende fragili (psichicamente), instabili, ne fa degli isolati nell’isola.

Si ripropone la frattura fra la realtà umana e quella naturale. La prima è avvilita, rassegnata in una dimensione di “anormalità” patita; la seconda serena, sicura, bella.

Non so se è una condanna, di sicuro è una pecca che la cultura non riesce a sanare!