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Isole di confine, isole di confino

25 Aprile. Sempre [1]

di Tano Pirrone

 

Inizia oggi una collaborazione stabile con il nostro sito, Tano Pirrone, amico di altre avventure – diversamente isolano, parimenti appassionato – iniziatore e ‘grande anima’ di un blog di recente creazione ma già molto seguito: sinistra senile  (v. sotto).

A Tano il benvenuto della Redazione di Ponza racconta

 

Mai come quest’anno ho sentito dentro di me così tanto fervore per le grandi feste laiche del nostro paese: il 25 aprile, il 1° maggio ed il 2 giugno. Il 27 aprile, poi, insieme con alcuni miei carissimi amici, farò visita ad un vecchio compagno morto da tanto tempo, proprio in quel giorno, a 46 anni, e non per cause naturali: Antonio Gramsci da Ales, che nel cimitero acattolico contiguo alla Piramide Cestia, “convive” con John Keats, Percy Shelley, Antonio Labriola e quella gran bella signora che in vita era Belinda Lee.

Il 25 aprile che si commemora è quello del 1945, data legata all’appello diramato dal CLNAI per l’insurrezione armata della città di Milano, sede del comando partigiano dell’Alta Italia. Dal 1946 è festa nazionale. Divenne definitiva con una legge del 1949. Al mio paese, giù in Sicilia, la banda andava dal municipio al monumento ai caduti in cui veniva deposta la corona rituale, ma era un “cosa” del sindaco, fatta perché andava fatta; una “cosa” estranea alla gente, che non sapeva neanche cosa fosse quella ricorrenza. Le feste vere erano quelle dei santi, di San Sebastiano, che ricorre il 20 gennaio, ma si festeggiava a giugno; della Madonna della Neve, il 5 agosto, ma i cui festeggiamenti cominciavano la mattina dell’1 con lo sparo dei mortaretti, all’alba, e poi i ragazzini sciamavano come rondini in primavera in mezzo ai palazzi, nuvole nere velocissime e allegre.

Era, allora in Sicilia, il 25 aprile, una festa del Continente, del Governo; non c’era memoria popolare delle ragioni di questa festa. Non c’era stata, se non per “trascurabili” episodi, guerra di popolo, scorribande di armate nemiche, rastrellamenti, lotta partigiana, felicità di vittoria e di liberazione. Gli alleati erano sbarcati nella notte fra il 9 ed il 10 luglio e rapidamente la guerra era balzata oltre lo stretto e risalendo la penisola la striava di rosso, del sangue dei soldati dei due fronti, e del sangue degli innocenti, che è ancora più rosso e tinge la terra e le coscienze, per sempre. Già dal 17 agosto (a Catania dal 5 e in tutto il paese dall’8 settembre) il nemico era ormai un altro: i nazi-fascisti.

In quelle settimane ci furono degli avvenimenti che produssero scontri, stragi, sommovimenti. Negli scontri vanno annoverati quelli di Mascalucia e Pedara, due paesi etnei a pochi chilometri di Catania, in cui anche mio padre fu coinvolto, e che ne uscì vivo dopo un interrogatorio/processo durato tutta una notte alla luce delle sigarette.

Ci furono delle stragi. Quella di cui si hanno maggiori notizie è quella di Castiglione di Sicilia, il cui superstite, Antonino Ferlito, ha raccontato a Pier Vittorio Buffa, autore del libro “Io ho visto” (Nutrimenti Ed. 2013), che raccoglie oltre quella dell’anziano siciliano, anche i racconti di altri 29 superstiti di atroci stragi compiute dai nazisti in tutta Italia. Antonino il 12 agosto 1943 aveva 12 anni e quel giorno vide morire il proprio padre, ucciso senza motivo da un soldato tedesco. Ci furono altri 15 morti, 200 feriti e circa 600 persone tenute in ostaggio in un ovile. Gestione ordinaria e sufficientemente ordinata ed efficiente del terrore. Che in queste persone dura ancora, si manifesta con incubi, difficoltà a raccontare. Sono passati settanta anni e in loro le stragi sono ancora vive; ogni giorno i carnefici torturano, violentano, danno la morte. E solo con la loro morte finirà questo inferno.

Io ho visto. Invito [2]

Non deve finirne, però, il ricordo, e l’insegnamento conseguente. Abbiamo il dovere di trasmettere, senza odio, ma con consapevolezza, l’orrore che ha scosso tutto il mondo e ne ha pregiudicato il cammino e la crescita.

Dopo il veloce ritiro dei nazisti si ebbe un’altrettanto veloce “normalizzazione”. Si verificarono, però, insurrezioni antimilitariste, fra cui è maggiormente conosciuta quella avvenuta nel ragusano e nota come la rivolta dei “Non si parte”. Queste manifestazioni e sommosse furono motivate dal rifiuto dei giovani di arruolarsi nel regio esercito, impegnato nella liberazione dell’Italia continentale. Fu un fenomeno incompreso ed etichettato come filo-fascista, reazionario e separatista. Ma fu sicuramente predominante lo spontaneo rifiuto a riprendere una guerra che non si capiva, passando dall’uno all’altro fronte, senza nessuna comprensione né partecipazione.

Le mobilitazioni cominciarono ad Enna l’11 dicembre 1944, e continuarono con quelle di Palermo, Messina e dei comuni delle province di Agrigento, Caltanisetta, Ragusa, Siracusa e Trapani. A Catania il fuoco aperto contro gli studenti lasciò a terra una vittima; la popolazione insorse bruciando il Municipio e assaltando gli edifici pubblici. L’esercito, per ripristinare l’ordine, mise sotto assedio la città. Dalla città etnea la rivolta raggiunse la provincia di Ragusa e da là l’incendio si diffuse in tutto il sud della Sicilia.

A capo del movimento si mise Maria Occhipinti, ventenne ragusana. Si rese protagonista di una rivolta per impedire che i militari portassero via i giovani rastrellati, sdraiandosi, incinta di cinque mesi, davanti al camion carico di giovani per impedirne la coscrizione. I militari reagirono sparando sulla folla, uccidendo due persone. La rivolta invece di arrestarsi si inasprì, e divenne una vera e propria insurrezione. I “Non si parte” presidiarono interi quartieri e costruirono barricate per difenderli.
Maria fu arrestata. Finì al confino ad Ustica, dove dette alla luce la figlia, e poi in carcere a Palermo.

Maria Occhipinti. Una donna di Ragusa [3]

Nel 1976 raccontò la sua storia nel bellissimo libro “Una donna di Ragusa”, cui seguirono “Il carrubo e altri racconti”, 1993, e “Una donna libera”, pubblicato postumo nel 2004, tutti per i tipi di Sellerio.

Nell’isola di Ustica, negli anni del regime fascista, furono confinati diversi leader dell’antifascismo: Filippo Turati, Ferruccio Parri, Carlo e Nello Rosselli, Randolfo Pacciardi, alcuni dirigenti del partito comunista fra i quali Amadeo Bordiga e Antonio Gramsci, arrivato sull’isola tra i primi, il 7 dicembre 1926.

A Ponza il confino politico venne istituito dal regime fascista nel 1928. Ne ricorre quest’anno, quindi, l’ottantacinquesimo anniversario. La nostra memoria va a tutti coloro i quali nell’isola furono rinchiusi; i più famosi (Giorgio Amendola, Lelio Basso, Pietro Nenni, Mauro Scoccimarro, Giuseppe Romita, Pietro Secchia, Umberto Terracini, Zaniboni) e tanti altri, insieme ad esponenti slavi e greci, ras etiopici, indipendentisti libici.

A Ventotene furono confinati Secchia, Longo, Spinelli, Rossi, Pertini. Fu l’umanità degli isolani a rendere più sopportabile il loro esilio, infamante per l’igiene disastrosa, i luoghi lerci che ospitavano i confinati, il cibo e l’acqua scarsissimi, gli spazi ridottissimi per muoversi ed il controllo continuo.

La legge del contrappasso portò a Ponza, prigioniero, Mussolini. Vi restò pochi giorni dal 27 luglio al 7 agosto, poi fu spostato alla Maddalena.

Dalla Sicilia ad Ustica e a Ponza e Ventotene, testimoni dell’intolleranza, della violenza politica, dell’esclusione e della persecuzione, legate insieme dal filo rosso del riscatto e dell’emancipazione democratica, che oggi ricordiamo e rinnoviamo.

25 Aprile. Ora e sempre [4]

 

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