- Ponza Racconta - https://www.ponzaracconta.it -

Categorie in evoluzione. (3). L’alimentazione (4)

di Sandro Russo

Per la puntata precedente, leggi qui [1]

 

Da quanto si è detto finora intorno all’alimentazione – accenni di storia, antropologia, ragioni mediche, aspetti etici riguardo l’uccisione degli animali – qualche conclusione si dovrà pur trarre.

La prima è dover constatare una volta di più che siamo figli del tempo in cui viviamo. La scala dei valori e le sensibilità individuali si plasmano su di esso, inclusi i criteri etici ed estetici.
Allo stesso modo sono cambiate le categorie dell’attenzione alle ragioni degli altri (animali inclusi) e quelle della bellezza.

Siamo passati dall’economia del bisogno (…i settecento uccelletti spennati in un giorno; la carne solo alle feste più importanti, poi solo la domenica, poi di comune disponibilità) a quella delle scelte.
Motivazioni ancora più emotive che razionali, se tanti condizionamenti dell’infanzia (il rito della caccia spartita con ‘i grandi’, l’alimentazione cui ‘siamo stati abituati da bambini’) spesso decidono per noi.

Un esempio per tutti, preso in prestito dalla letteratura.
Karen Blixen, la scrittrice de La mia Africa e di molti altri racconti, pur donna di elevata sensibilità poteva scrivere, nei primi decenni del ‘900 di ammazzamenti et similia, senza notare la minima contraddizione con i ‘suoi’ ideali etici ed estetici (suoi o del tempo in cui viveva?)…

[2]

Nel brano qui di seguito riportato, lei e il suo grande amore Denys Finch-Hatton (Meryl Streep e Robert Redford nel film del 1985 di Sidney Pollack) hanno appena ucciso due leoni, per il puro brivido del rischio.

“Denys e Kanuthia si rimboccarono le maniche e cominciarono a scuoiare le due belve. Stava sorgendo il sole. Quando fecero una sosta presi la bottiglia di bordeaux, l’uva e le mandorle portate per celebrare l’anno nuovo durante il viaggio. Ci sedemmo sull’erba, a mangiare e a bere. I leoni uccisi, lì accanto, apparivano stupendi nella loro nudità. Non un solo filo di grasso ricopriva i muscoli tesi, arcuati, precisi. Non avevan bisogno di manto: nulla mancava alla loro perfezione.

Un’ombra, intanto, si addensò sul prato, ai miei piedi. Levando gli occhi scorsi, alti nel cielo, volteggiare gli avvoltoi. Mi sentivo il cuore leggero quasi lo avessi mandato in volo lassù, attaccato ad un filo, come si manda in volo un aquilone.

[3]

[Da Karen Blixen: ‘Out of Africa’; 1937 – La mia Africa, 1a ed. italiana 1966; Ediz. Feltrinelli 2003]

Ancora con una pagina di alta letteratura vogliamo chiudere questa carrellata divulgativa, pseudo-scientifica e semi-letteraria – sulle scelte alimentari ed etiche, da un romanzo dello scrittore americano Denis Johnson: Tree of Smoke del 2007.

[4]

Racconta la guerra del Vietnam, il senso di colpa e la fine dell’innocenza. Racconta di un giovane uomo, ma per traslato, di tutti gli uomini che producono danni enormi ed irreversibili, “senza sapere quel che fanno”…
Proprio nel primo capitolo, un giovane marinaio di nome Bill Houston si aggira sbronzo e annoiato nella giungla di un’isola filippina, imbracciando un fucile calibro 22…

“Appoggiò il fucile contro un banano rachitico, si tolse la fascia dalla fronte, la strizzò e la usò per asciugarsi la faccia e cacciar via le zanzare, fermandosi un po’ a grattarsi distrattamente l’inguine. Lì vicino, un gabbiano sembrava impegnato in una lite con se stesso, una serie di strida di protesta interrotte da grida più cupe, una specie di huh, huh, huh! E qualcosa che si spostava da un albero all’altro attirò l’attenzione del marinaio Houston.

Continuò a fissare il punto in cui aveva visto quella cosa, fra i rami di un albero della gomma, allungando la mano verso il fucile senza distogliere lo sguardo. La cosa si spostò di nuovo. Ora si accorse che si trattava di una specie di scimmia, non molto più grande di un chihuahua. Non era esattamente un cinghiale, ma si offriva comunque all’attenzione, mentre, aggrappata con la mano sinistra ed entrambi i piedi al tronco dell’albero, graffiava la corteccia sottile con minuscola, esasperata premura. Il marinaio Houston inquadrò nel mirino la schiena ossuta della scimmia. Alzò la canna di qualche grado e mirò alla testa. Senza davvero riflettere, tirò il grilletto.

La scimmia si appiattì contro l’albero, allargando braccia e gambe con aria entusiasta, poi si portò le mani dietro la schiena come per grattarsi e precipitò a terra. Il marinaio Houston assistette con terrore alle sue convulsioni. La scimmia si drizzò facendo leva sul braccio, poi si mise a sedere con la schiena contro l’albero, a gambe divaricate, come per riposare dopo un lavoro faticoso.

Il marinaio Houston si avvicinò di qualche passo e, da pochi metri di distanza, vide che aveva il pelo molto lucido, tendente al rosso henné all’ombra, e al biondo sotto la luce che filtrava tra le foglie in movimento. Si guardava intorno, respirando a grandi singulti ravvicinati, e ogni respiro le gonfiava enormemente la pancia, come un pallone. Il proiettile l’aveva colpita in basso, uscendo dall’addome.

Il marinaio Houston sentì lo stomaco lacerarsi. «Gesù Cristo!» urlò alla scimmia, come se le sue parole potessero modificare quell’imbarazzante e odiosa situazione. Pensò che gli sarebbe scoppiata la testa, se il mattino avesse continuato a bruciare la giungla circostante, se i gabbiani avessero continuato a gridare, se la scimmia avesse continuato a guardarsi intorno con circospezione, muovendo la testa e gli occhi neri da una parte all’altra come per seguire lo sviluppo di una discussione, di una disputa, di un litigio che la giungla, il mattino, il momento stavano conducendo con se stessi. Il marinaio Houston si avvicinò alla scimmia, posò il fucile lì accanto e la sollevò, con una mano sotto le natiche e l’altra sotto la testa. Si accorse, dapprima rapito, poi orripilato, che l’animale stava piangendo. Aveva il respiro rotto dai singhiozzi, e le lacrime gli sgorgavano dagli occhi a ogni battito di palpebre. Guardava qua e là, senza mostrare un particolare interesse per il marinaio. «Ehi» disse Houston, ma la scimmia non parve sentirlo.

Mentre la teneva in braccio, il suo cuore cessò di battere.
Houston la scrollò, ma capì che era inutile.
Ebbe la sensazione di essere colpevole di tutto, e lì, al riparo da sguardi indiscreti, si lasciò andare e pianse come un bambino. Aveva diciott’anni”.

Fenicotteri rosa. Flamingos [5]

“La mia Africa”: a volo sopra gli stormi di fenicotteri rosa, pink flamingos

La mia Africa [6]

(Denis Johnson:  Tree of Smoke – Albero di fumo. Edito in Italia da Mondadori;  2010)

.

[Categorie in evoluzione. (3). L’alimentazione (4) – Fine]