Bosso Rita

Cartoline tra Ischia e Ponza (5)

di Rita Bosso

 

Spedirò questa cartolina da Ponza, tra qualche mese, quando il dipinto del XVII secolo di autore ignoto, raffigurante la Madonna della Salvazione – noto ai lettori del sito (leggi qui) -, sarà esposto nella Chiesa dei santi Silverio e Domitilla; la Diocesi d’Ischia l’ha concesso in prestito, nell’ambito del gemellaggio tra le due isole.
Sebbene la tela non abbia grande pregio artistico, né sia oggetto di particolare culto, si prevede che tutti i ponzesi andranno ad ammirarla; forse qualche visitatore immaginerà che, nel Settecento, nella grotta detta “della Salvazione”, situata sulla collina della Madonna, primo luogo di culto  della nascente comunità isolana, ne fosse esposta una copia; probabilmente qualcuno si chiederà se, tra i marinai ai remi, dal caratteristico berretto di lana rossa, non ci fosse anche un suo avo; di sicuro tutti penseremo che, circa tre secoli fa, davanti a quella effigie sono andati ad inginocchiarsi i nostri antenati, alla vigilia della partenza per Ponza: timorosi, impauriti al pensiero delle insidie del viaggio, della svolta radicale che stavano imprimendo all’esistenza loro e dei familiari, ma anche carichi di energia, di entusiasmo.

Vabbè, sto vaneggiando. Il quadro sta e starà dove è sempre stato, da trecentocinquant’anni a questa parte: sulla controfacciata destra della chiesa dello Spirito Santo ad Ischia Ponte, in una nicchia piuttosto oscura; la Madonna, sorridente ed incoraggiante, continuerà a sedere tra le nubi; il Bambino dirigerà ancora i venti a favore della navigazione; i flutti sballotteranno le barche; i marinai si affaticheranno ai remi… immagini di questo tipo, frequenti nelle chiese delle località costiere, abbondano allo Spirito Santo, edificata dalla gente di mare non solo come luogo di culto, ma anche come simbolo di identità e di affermazione sociale.

E’ una bella storia, quella della chiesa dello Spirito Santo.
Alla fine del XVI secolo il pericolo di incursioni piratesche è praticamente superato; la popolazione, che si era rifugiata sull’isolotto del Castello Aragonese, inespugnabile, torna ad occupare la zona costiera di Ischia Ponte e ad esercitare i mestieri di mare; qui, nel Borgo di Celsa, l’unico luogo di culto è la chiesa degli Agostiniani con annesso convento.
I pescatori, però, lamentano che gli Agostiniani siano poco disponibili col popolo, che rifiutino persino di esercitare i servizi di culto, che pensino solo ad accumulare beni e ad intrattenere rapporti coi signori; allora, per opporsi al loro monopolio, si costituiscono in arci-confraternita, richiedono ed ottengono una piccola cappella sconsacrata che sorge proprio di fronte alla chiesa rivale, la ampliano e la designano sede dell’associazione.
Ovviamente gli Agostiniani non gradiscono, danno inizio ad una lunga vertenza, infine cercano di impedire che la nuova chiesa abbia il portale d’ingresso sulla via principale, proprio di fronte a loro!

Ma pescatori e marinai non mollano, quella chiesa è il simbolo del riscatto; per secoli hanno dovuto temere il mare e tenersene alla larga, ora intendono viverlo, navigarlo, sfruttarlo. Loro, che praticano l’arte del mare, sono ceto emergente, operoso, dinamico, che commercia, pesca, stipula contratti, si spinge sempre più lontano, rischia, talvolta ci rimette la barca, il carico e pure la pelle.
La costituzione in associazione corporativa è un momento importante, perché significa volontà di affermazione sociale, protezione del proprio mestiere e della propria economia, promozione di opere di solidarietà e di assistenza, difesa dalle ingerenze; non mancano i momenti di tensione con il clero, perché la confraternita pretende di avere voce in capitolo nelle decisioni; vuole addirittura il proprio santo, dunque promuove il culto di un proprio figlio, Carlo Gaetano Calosirto, morto nel 1734, santificato nel 1839 col nome di san Giovan Giuseppe della Croce.
Sono membri dell’arciconfraternita, costituita con atto notarile nel 1570, molti patroni et marinari delle barche et felluche, ma anche dei semplici torciari, ossia lavoratori con scarse o nulle disponibilità, il cui contributo si limiterà ad una torcia.

Lo storico Agostino Di Lustro, autore di un’interessante ricerca sulla marineria ischitana, è andato a spulciare tra gli atti dell’Archivio Notarile; in un atto stipulato il 30 aprile 1666 dal notaio Dionisio Nacera di Forio si legge che “il 23 marzo 1666 Antonio Polito di Casamicciola caricò alla Marina di Casamicciola sulla barca, chiamata Santa Maria del Carmine, diciotto botti di vino greco di Ischia per venderlo a Roma. Navigò tutto il giorno con vento di grecale ma, all’altezza di Ventotene, la barca affondò e i marinai riuscirono a mettersi in salvo sull’Isola con tre botti di vino del valore complessivo di ducati 12”.
Il 12 ottobre 1720 il notaio Natale Buonocore di Ischia  registra che diciotto patroni di felluca di questa città, ed isola d’Ischia, dichiarano “come si è sempre praticato, e li costano benissimo de causa scientie che da essi, e da loro antenati da immemorabile tempo conforme al presente si pratica, che la maggior parte di Padroni pescatori di questa Città et seu Isola d’Ischia di tartaroni come di tartanelle, sciavichielli, spadali, rezze di posta, goffe ed altre ordegne sono andati ogni anno principiendo dal primo del mese d’aprile a pescare nell’Isola di Ventotene, Ponza e Parmarola dove giornalmente si sono pigliate quantità e quantità di pesci, che fra detto mese di aprile più migliara di cantara di ogni qualità di pesci regalati, buoni ed ordinari”.

[Cartoline tra Ischia e Ponza (5) – Continua]

 

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