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Una vacanza a Palmarola 50 anni fa

di Jean-Claude Di Bernardo

 

Io, Ponzese di cuore ma francese di nascita.

Sono venuto a Ponza, la prima volta, alla fine degli anni ’40 (nel ’48 esattamente) e poi quasi ogni anno per un mese con la « comare » (madrina di battesimo) che è Ponzese.

A Ponza ho imparato a nuotare, a fare pesca sub con l’arco e le frecce attorno a ’u scogl’i fore sotto Gennarino a Mare a Sant’Antonio. Poi quando sono stato promosso alla licenza media i genitori mi hanno regalato un fucile “Champion” con gli elastici (l’unico a Ponza a quell’epoca), così ho potuto pescare più seriamente e sparare un sarago o una cerniola invece che perchie, mazzune, trigliuzze e pintirré

La prima volta che andai a Palmarola fu con Gino Murolo che aveva una barca con il fuoribordo e che portava due o tre forestieri. Rimasi meravigliato da un’isola stupenda fuori con tutte quelle rocce variopinte e sott’acqua con quei fondali tanto pescosi.

Poi ho fatto amicizia con Pinuccio e Alberto: Pinuccio era Ponzese, faceva Pacifico di cognome, ’u figli’e puzzaro come lo definivano a Ponza: il padre era caduto in un pozzo dint’a padura quando era bambino; Alberto De Martino, il figlio dell’omonimo notaio che aveva a disposizione una bella barca costruita da Ciro Iacono, e un piccolo fuoribordo (un Seagull 2 cavalli e mezzo e dopo un Moscone 3 cavalli).

Ho pescato un po’ dappertutto attorno all’isola: a Gavi, a Zannone, a Palmarola, alle Formiche, con Alberto; Pinuccio non pescava, manteneva la barca.

Finalmente, un bel giorno abbiamo deciso di andare a passare una decina di giorni a Palmarola.

Adesso c’è da fare senza perdere tempo. Bisogna trovare dove dormire. Con l’aiuto di Ciro abbiamo trovato una grotta prestata da Geppino ’Ave Maria come lo chiamavano. Una grotta a livello della spiaggia che oggi fa parte del ristorante costruito in seguito.

Bisogna anche cucinare e mangiare per una decina di giorni: fornello a gas, bombola nuova, pentole (2 o 3), pomodori pelati (una ventina di scatole), spaghetti per 10 giorni (15 chili), olio, verdure (pomodori, melanzane, zucchine, basilico), formaggio grattugiato, aglio e tante altre cose.

Preparare i fucili. Meno male c’era Maurino che con due martellate ti raddrizzava una freccia. Per chi non sa chi era Maurino, era tale e quale al figlio Silverio Di Lorenzo che conosciamo tutti.

Giunge il giorno della partenza: una giornata  di luglio magnifica e calda senza un alito di vento. Non manca nulla : la barca è piena di roba. Il più difficile è trovare un posto per sedere comodamente.
Si parte: mezz’ora dopo la Guardia per rifornimento di benzina ; un’altra mezz’ora abbondante e « si apre Zannone » – si scopre Zannone nascosta fino a quel punto da Ponza.
Un’altra bella mezz’ora e si arriva; quasi 2 ore di viaggio: Faraglioni di Mezzogiorno con l’arco naturale – a quell’epoca era sano -, San Silverio e l’approdo alla spiaggia.

Ancoriamo e andiamo a vedere la grotta: bella grotta ma abitata! …da un esercito ’i purciéll’i Sant’Antonie. Quegli insetti pieni di zampe che si appallottano appena li tocchi. Con una scopa fatta di piante varie puliamo e prepariamo per dormire e mangiare.
Finito di scaricare, risaliamo sulla barca e andiamo un po’ a pescare. Siamo venuti per fare pesca: due saraghi, una bella cerniola, ’nu lazzespinule. Torniamo alla grotta per preparare la salsa per gli spaghetti. Cucino io, ho l’abitudine.

Pinuccio e Alberto mettono un po’ d’ordine, ma non troppo.

Mentre stiamo preparando arriva una vecchietta Civetella ’a cantenera (leggi qui [1]).
È  l’unico abitante fisso – quasi tutto l’anno – di Palmarola. Ogni giorno, nonostante la sua età, se ne va dall’altra parte dell’isola: un’ora minimo a salire e scendere per raggiungere le sue vigne. Ha un cane molto gentile che va sempre a caccia di… bisce. Infatti a Palmarola ci sono bisce e nessun altro serpente, lucertole a centinaia, topi solo nelle vigne. Le regaliamo ’u lazzespinule di mezzo chilo, pensando che lo avrebbe mangiato…  ma no! Ci racconta che lo preparerà cu’ bbeleno per uccidere i topi.
Pinuccio, che lei chiamerà sempre Giuseppe, le domanda se vuole un po’ di pasta. Dice di no, ma se ne resta una porzione per il cane con salsa e formaggio. Al cane piace la pasta con formaggio e pomodoro e così faremo. Ogni giorno un chilo di pasta : 400 grammi per Pinuccio, 250 per me, 150 per Alberto e il resto per il cane. Sono le sei e andiamo al ristorante.

Bisogna dire che Palmarola è un’isola semi deserta con un ristorante aperto solo d’estate – oggi è diventato una villa, proprietà della famiglia Fendi – con un cuoco Carmine ’u russ’, la moglie che lo aiuta, una cameriera e la padrona Elisa Mazzella (se non sbaglio) moglie di Tommasino di Scala, ’i sciammereca. Questo negozio è l’unica costruzione di Palmarola.
Andiamo al ristorante per chiedere se ci possono mettere i pesci nel frigo. Non hanno la luce ma il frigo funziona col gas. Infatti era previsto che il padre di Alberto sarebbe venuto la mattina dopo per vedere se tutto andava bene e recuperare i pesci.
Cosi fu: il notaio arrivò col suo bel motoscafo di legno verniciato come se ne vedono sulla costa, in compagnia di Ciro che conosceva bene i passaggi per evitare gli scogli. Andammo tutti e cinque sul ristorante non solo per i pesci ma invitati tutti e tre a una bella colazione « à la fourchette » come si dice in Francia (pasta, verdura e salumeria).

Partiti i nostri benefattori ci prepariamo per la giornata di pesca. I fucili sono rimasti a bordo; basta tirare la barca in acqua. Infatti la barca la tiravamo a terra con le falanghe per paura di una ponentata o maestralata notturna e improvvisa.
Era pesante ma lo eravamo anche noi: soprattutto io e Pinuccio.

In tutto il nostro soggiorno, una sola giornata di maestrale forte senza poter uscire. Il notaio e Ciro non sono venuti e quel giorno non hanno potuto recuperare la decina di chili di pesci buoni che prendevamo ogni giorno: cernie, saraghi, qualche cicala. Un bel pesce lo conservavamo per noi e ’nu marevizze o altro per i topi di Civetella.

Quel giorno di cattivo tempo siamo rimasti a terra ma abbiamo fatto un bel bagno nei cavalloni – stupendo!

Ne abbiamo approfittato per sgomberare e emigrare nella grotta prestata da Civetella, un po’ più su. Una grotta-palazzo con un letto da poter dormire in tre, con un materasso di foglie di granoturco. Tutta  ianchiata, un ripostiglio per il fornello. Il pozzo vicino, di acqua piovana limpidissima. Il cane la sera ha avuto i suoi spaghetti con salsa e parmigiano, con tante grazie da Civetella a Giuseppe, a Colberto (così chiamava Alberto) e a me, Giuànne (troppo difficile dire Jean-Claude).

La mattina dopo il vento era calato, il mare calmo: il notaio e Ciro sono venuti. Abbiamo mangiato su al ristorante, come al solito. I nostri visitatori sono tornati a Ponza con i pesci da distribuire a diverse persone e noi ce ne siamo andati a pescare fino a sera : Capo Ziro, la forcina, i piatti, il passaggio tra Palmarola e i faraglioni di Mezzogiorno. Nel passaggio abbiamo trovato una tana di saraghi sotto una specie di lastra dove ogni volta (ogni due giorni) prendevamo 3 o 4 saraghi grossi. 2 con un solo tiro. Una volta tra Vardella e la Forcina due cernie di un paio di chili in due tane una vicina all’altra in 5-6 metri d’acqua. Abbiamo passato più di un’ora per tirarle fuori. Una giornata acqua e sole.
La cena solo la sera; a mezzogiorno un pezzo di pane con un pomodoro ma la sera si mangiava meglio: spaghetti, parmigiana di melanzane, formaggini.
Dormire con il tramonto del sole (niente luce, nemmeno una candela o una lampadina tascabile).
Sveglia con il sole.

Rimaneva il problema delle stoviglie. Io cucinavo e non volevo lavare i piatti e le scodelle. Toccava agli amici Pinuccio e Alberto che si dicevano sempre stanchi.
Ma avevo trovato un sistema per farli correre giù alla marina per rigovernare con sabbia e acqua di mare (niente detersivi!). Mi bastava acchiappare una lucertola, minacciare di buttargliela addosso e correvano a fare il loro dovere.

Così fu la nostra vacanza sull’isola paradisiaca.
Immaginate Palmarola bella come oggi, con le sue rocce variopinte, le palme nane, i parlanti che di notte volano e gridano come bambini che piangono.
Niente è cambiato, ci sono sempre le rocce variopinte, solo qualche frana che non ha deturpato il paesaggio, le palme…

Ma a quell’epoca alla fine degli anni ’50, nessuna costruzione eccetto il ristorante che non si vedeva tanto dal mare, un fabbricato più piccolo della villa di oggi. Nessun ristorante sulla spiaggia; « ’U Francese » venne dopo. Sabbia e grotte.

In giornata la « Santa Rita » che portava qualche cliente al ristorante e a fare il bagno (alle quattro se ne andavano e non c’era più nessuno. Niente barche, yacht, motoscafi. Ogni tanto si vedeva un natante di passaggio che scompariva la sera.
Alle cinque, la rada del porto era deserta e ci apparteneva tutta: una cosa che oggi avviene solo d’inverno.

Una vacanza che non si può più ripetere a luglio e agosto: l’isola subisce l’invasione di decine di barche che restano giorno e notte. La pesca subacquea difficile e pericolosa. Se pescate oggi sulla secca fuori a capo Ziro, pure con il pallone (a quell’epoca il pallone non si usava e nemmeno esisteva) bisogna stare attentissimi per non farsi tagliare in due da qualche barca. Comunque i pesci sono pochi: troppi sub, troppe barche, troppo rumore, troppo inquinamento.

Ma in ogni modo nessun rammarico, solo un bel ricordo.

A Palmarola torno sempre con grandissimo piacere e ogni volta salgo alla cappella di San Silverio a firmare il libro. Dicono che se uno fa il voto di tornare a Palmarola, San Silverio fa il miracolo. E si verifica.

 

Seguono una serie di foto di Palmarola di quei tempi (cliccare sulle foto per ingrandirle):

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L’Armadillidium vulgare rappresenta un esempio di ‘crostacei’ che sono riusciti a colonizzare l’ambiente terrestre. È conosciuto con vari nomi: porcellino di terra, porcellino di Sant’Antonio, onisco. Per sopravvivere questi animaletti necessitano di umidità in quanto il loro tegumento non consente di preservarla efficacemente; perciò si trovano sempre in posti nascosti e riparati dal sole (NdR)

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