- Ponza Racconta - https://www.ponzaracconta.it -

In giro… (1)

Pasquale Scarpati

 

L’aria fresca e sonnolenta del mattino è scossa dalle allegre e vibranti note della banda. Il cielo azzurro viene costellato da nuvolette nere simili a batuffoli che il vento del mattino immediatamente sgrana e disperde. Il botto fa abbaiare qualche cane impaurito ma soprattutto mi fa alzare precipitosamente dal letto per affacciarmi alla finestra e veder sfilare la banda. Ma non faccio in tempo ad alzarmi che già le note sono scivolate via.

Annamaria Annunziata - Pinocchio nel paese dei balocchi -olio su tela [1]

Illustrazioni tratte dai dipinti di Annamaria Annunziata – Pinocchio nel paese dei balocchi (olio su tela) – Per gentile concessione dell’Autrice

Le ho sentite venire in fondo alla strada ma, quando mi affaccio alla finestra, non mi resta che sentire gli stantuffi dei bassi o il ritmo della grancassa o dei tamburi rullanti, accompagnati dal suono dei piatti che il bravo e simpatico compare Ciccillo Zecca solleva in alto ogni qual volta li sbatte con forza. Passano i clarini, i flicorni, i sassofoni, le trombe ed i tromboni, passano Aniello, Mario, Carlo, Girotto, Silverio, Tonino, Pataccone, Ciccillo insieme agli altri.

Il sole inonda già da oriente con la sua luce il mare ed il porto, pieno di barche grandi e piccole, alcune delle quali espongono il gran pavese.
Il giorno 20 del mese di giugno di quell’anno è, per me, un giorno speciale: per la prima volta devo necessariamente mettermi in fila per partecipare alla processione perché alcuni giorni prima ho ricevuto la mia prima comunione. Negli anni precedenti i miei mi hanno sempre tenuto per mano seguendo la statua del Santo. Mamma e papà si sono già alzati e sono scesi giù in cucina a prendere il caffè.

Quando mamma sale mi trova già in piedi, allora mi prepara il vestito che devo indossare, lo stesso della prima comunione: scarpe nere, pantaloncino corto scuro, camicia bianca e giacca scura dove al braccio sinistro va posto il fiocco bianco con fasce dorate. Il giorno delle prima comunione è stato un giorno bellissimo per vari motivi. Il primo perché sono stato al centro dell’attenzione da parte di tutti i parenti, il secondo perché ho ricevuto vari regali, il terzo perché finalmente mi sono liberato  della “dottrina”.

Quando monsignore passa scampanellando con tanti ragazzini intorno, mal volentieri esco di casa.L’unico mio pensiero è quello di giocare sul sagrato della chiesa, poi tutto il resto è  tortura. Odio quelle che io considero litanie mandate a memoria. Prima domanda di rito: “Chi è Dio?” Risposta: “Dio è l’Essere Perfettissimo, Creatore e Signore del cielo e della terra” E così via. Ma nulla mi è più antipatico che imparare a memoria gli atti: Atti di Fede, di Carità e di Speranza e l’Atto di Dolore senza sapere il quale non ci si può confessare. Ma quello più odioso, per me, è l’Atto di Fede.

Si sente aria di festa, ci vestiamo e usciamo con largo anticipo. Ci accompagnano zia Malvina, nonna Civitella e Brigida la mia madrina di battesimo. Lungo la strada incontriamo zio Peppe e zia Liliana che portano in braccio la piccola Maria Rosaria; poi più avanti bussiamo a casa di zio Pasquale e zia Maria. Zio Pasquale è, finalmente, sorridente (o sono io che lo vedo così?) e zia Maria, sorridendo, mi fa una carezza. Rosalba mi tiene compagnia mentre Civitina già è andata in chiesa.

Mi sembra di essere un principe con la sua scorta. In chiesa siedo al primo banco con la candela in mano e, cosa inusuale per me, seguo più attentamente la celebrazione eucaristica con un misto tra curiosità e soprattutto timore. Al termine della sacra funzione la tensione si smorza ed emano un sospiro di sollievo. Zio Pasquale e zia Maria si affrettano a darmi il loro regalo: un braccialetto d’oro su cui è stampato il mio nome e la data della prima comunione, poi gli altri parenti mi  donano dei soldi o altri oggetti. Ma quello che mi meraviglia di più è che, all’altezza della casa di compare Barbett’, Maria, la moglie, ci invita ad entrare in casa e mi fa un dono che non aspettavo. Sono talmente contento per tutti questi doni che li espongo su una cassapanca all’ingresso di casa mia e invito chiunque passi a fermarsi per farglieli vedere. Mia madre, però, preoccupata, fa sparire il tutto.

Terminata la Messa solenne, la processione si forma e si allunga ordinatamente mentre suonano a festa tutte le campane, la campanella che è situata vicino alla porta della sacrestia e i campanelli che tintinnano al momento dell’elevazione. Risponde la banda che attende di mettersi in fila e si fanno sentire le sirene dei natanti ancorati nel porto. Colpi veloci in aria: prima un lampo poi il fumo, e, quasi in contemporanea, il botto.
E’ un tripudio di suoni e di colori.
Avanza lo stendardo principale, poi a mano a mano tutti gli altri seguiti da coloro che fanno parte delle congreghe. Ognuno ha una propria divisa: donne vestite di nero, per lo più anziane, e donne, più giovani, con gonna che dà sul marroncino con camicetta chiara.
E’ tutto il popolo che coralmente vuole e sente la partecipazione, non ama stare ai lati della strada a guardare ed eventualmente a commentare.

Noi bambini procediamo tutti in fila in ordine. A me non piace stare in fila: mi sento a disagio e sono un po’ intimidito. Mi guardo intorno e, piuttosto infastidito e distratto, rallento il passo, ma Gaetano, che mi segue, mi sollecita con un pizzicotto e dice: “Pascalì, vuo’ camminà!”.

Cerco soprattutto di captare, tra una preghiera ed un’altra, le note della banda musicale e mi distraggo totalmente se intona  la sinfonia “Core abruzzese” che, tra tutte le altre, non mi stanco mai di ascoltare.

Nonostante monsignor Dies si affanni nel coinvolgermi nelle attività parrocchiali, mi mantengo quanto più possibile alla larga forse perché sono insofferente alle direttive o forse, quella sua presenza prestante, mi incute un certo timore. Ogni cosa che mi dice di fare, sistematicamente la sbaglio e non me la fa ripetere.
Come quando mi dice di andare con la guantiera a raccogliere le offerte.
Va tutto bene fino a che arrivo, quasi alla fine del giro, dalla parte dove c’è il posto assegnato alle suore nei pressi della balaustra sulla  destra per chi entra in chiesa. In quel momento buona parte delle offerte scivolano via dalla guantiera e toccano il pavimento.
Da allora nessuno più mi dà alcun incarico, neppure  quello di servire Messa, né a destra (incarico più importante) né a sinistra.

In chiesa il nostro posto, invece, è situato giù in fondo alla navata  sulla sinistra per chi entra, nei pressi dell’organo e della porta della sagrestia. Questo posto è stato assegnato a noi, discoletti, forse per tenerci meglio sotto controllo: bisogna, infatti, stare attenti durante la celebrazione, controllarsi nei gesti e non dire parolacce altrimenti  ‘u prevete’ te mette u’ fuoc’ ‘ncoppa ‘a lengua.

Nonostante i canti intonati da Aniello, Giosuè ed altri, nonostante la nebulosa profumata dell’incenso, nonostante i trilli dei campanelli che al momento dell’Elevazione invitano al raccoglimento, nonostante sembri che monsignore mi fissi con occhi interrogativi, resto piuttosto distratto.
Sono attirato, altresì, dagli affreschi e soprattutto da quello in cui si vede un bastimento in mezzo ai marosi ed il Santo in atto di salvarlo e da quello in cui si vede un uomo il cui corpo viene inciso da un’asta che sembra una lunga canna. Nessuno mai mi ha spiegato chi fosse e perché stesse subendo quell’incisione. Delle preghiere non capisco nulla perché sono dette in latino. Anzi spesso scimmiottiamo come vengono ripetute dalle persone anziane. La Messa per me è una tortura.

Qualche volta il banco che si trova alle spalle, forse impietosito, si sposta lentamente e leggermente in avanti affinché il corpo possa controbilanciare la postura e alleviare la sofferenza del restare quasi continuamente in ginocchio. Il sacerdote ogni tanto, come per osservare quello che succede alle sue spalle, si gira, allarga le braccia e dice “Dominus vobiscum”, la risposta non è unanime; solo alcuni rispondono esattamente: “Et cum spiritu tuo”, qualcuno farfuglia qualcosa, altri non rispondono, a me viene in mente  jett’ ‘u spirit’ (in senso bonario, solo per assonanza).
Rimango distratto anche durante le omelie nonostante monsignore abbia una voce roboante che sembra attirare gli adulti: papà in strada o a casa spesso le commenta; a me, invece, non interessano. Anche la comunione si prende stando inginocchiati intorno alla balaustra e per passare da una navata all’altra della chiesa bisogna ancora una volta genuflettersi. Le panche dove siedo insieme agli altri bimbi sono pulite e lucide contrariamente a quelle della scuola che, anche se pulite, sono ruvide.

 

 [In giro (1) – Continua]