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Domani è già qui

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di Polina Ambrosino

 

Si usa pensare che dopo le crisi, le carestie, i crolli, ogni epoca viva le sue rinascite. Per non tradire questa idea, bisognerebbe quindi essere ottimisti dato non ci può che essere una rinascita, visto il momento corrente.

Nei tanti scritti sia di Franco De Luca, che ci raccontano una Ponza priva di vita, di comunità, di vicinanza umana, immersa in polemiche sterili e problemi gravissimi che restano insoluti, sia di Vincenzo Ambrosino che punta il dito contro un sistema fallito, una società dissolta, autorità silenti, inframmezzati da interventi vari di altri cittadini che anelano al risveglio delle coscienze, al fare e non all’ipotizzare, si desume che siamo ad un punto di non ritorno.

Non c’è più neanche il bivio, la scelta tra le strade da percorrere. La strada è una sola: cambiare tutto.
Se così non si fa, il rischio è solo uno: morire, forse lentamente, ma morire, dato che comunque si è in preagonia.

Cambiare tutto non significa uccidere ciò che c’è, ma modificarlo.
Significa capire, convincersi, che così non ha funzionato. Se avesse funzionato non avremmo avuto le catastrofi degli ultimi anni, in tutti i campi e in tutti i sensi. Accettiamo che le situazioni che abbiamo creato “dall’oggi al domani”, non potevano durare  in eterno né essere considerate ottimali. Accettiamo che l’economia dell’isola così come è stata gestita finora non va, così come non  vanno i collegamenti, così come non vanno i servizi sanitari, scolastici, sociali.

Tutto da rifare?
Sì. Purtroppo, con fatica immensa, come quei bambini che imparano a camminare e cadono tremila volte in un giorno e tremila volte con le loro deboli manine si tirano su, finchè non imparano a dondolare sulle gambine, poi a camminare zampettando e infine a correre, noi dobbiamo ricominciare a testa bassa.

Facciamoci un bell’esame di coscienza, capiamo che nessun essere umano impara a camminare appena nato. Noi ci abbiamo provato a mettere la quarta in partenza… il motore si è bruciato. La puzza abbiamo finto di non sentirla per anni e anni, ma il motore era lì bruciato, fumava, finché ha detto basta. Cosa fare? Essere popolo, prima di tutto. Un popolo che dice di essere alla fame, che urla ai quattro venti di avere bisogno di tutto,  non si preoccupa più del vicino se è bello o brutto, della causa in appello, del torto subito. Va oltre. Il popolo che capisce il momento drammatico che vive, Si unisce, combatte per un unico fine, il bene comune che e’  soprattutto il bene dell’isola. Cosa vuol dire unirsi? Fare gruppo, incontrarsi in assemblee pubbliche, ma non per darsi addosso per la pozzanghera fuori dalla porta o per la lampadina spenta davanti casa, bensì per concordare obiettivi di interesse generale, obiettivi di grande portata da realizzare con l’appoggio di tutti. Creare dei portavoce di categoria, che, dopo oculate analisi, mettano nero su bianco le necessità e gli impegni di ciascuno e come intenderebbero portare avanti le loro istanze e le loro idee. Non c’è bisogno più di comitati di protesta fine a se stessa, bensì di gente che si organizza, che sa cosa manca e sa quale impegno può mettere, ciascuno nel suo piccolo, per concretizzare un progetto che sia di utilità pubblica, non solo di vantaggio al singolo o alla categoria che lo richiede.

Ormai a Ponza ci siamo ridotti ad essere 4 gatti in croce. Quartiere per quartiere, l’80% delle case è disabitato, quindi, credo, non dovrebbe essere impossibile riunire le poche teste ancora rimaste!
Se non si parte dal basso, se non si fa davvero sentire la propria voce, ma anche il proprio impegno, niente cambierà davvero.
Se le voci non dovessero essere ascoltate si andrà oltre: si chiameranno in causa enti superiori a quelli locali, ma solo se ci sarà una voce sola, questa voce avrà un peso. Non prendiamo esempio dai nostri rappresentanti a livello nazionale che sembrano  divertirsi a spaccare il capello in quattro. L’unione fa la forza e noi, mai come in questa fase storica, abbiamo speranza di sopravvivere solo uniti.
Altrimenti “l’ognuno per sé e Dio per tutti” sarà la nostra fine: tra pochi anni ci venderemo le poche attività rimaste, si emigrerà tutti in altri lidi; Ponza sarà un mega villaggio turistico stile Seychelles, Mauritius, Sharm el Sheik… dove  i locali sono ombre sullo sfondo delle multinazionali che gestiscono soldi, attività e vite umane.

Sono catastrofista?
No, se il Terzo Mondo è stato comprato dai potenti per mancanza di cultura e organizzazione locale, mettiamoci in testa che il prossimo Quarto Mondo potremmo essere noi.