Mazzella Tina

La grotta del serpente (terza parte)

di Tina Mazzella

per la seconda parte: leggi qui

 

Le bambine erano affascinate dalla mia storia, l’avevano ascoltata a bocca aperta e con gli occhi sgranati. Alla fine piovvero a raffica le domande e le osservazioni. Silvia disse: “Ma allora in questa grotta anche oggi si può trovare qualcosa dell’antico tesoro?”.

Alla mia risposta affermativa fece eco Giulia che mi chiese se dentro quelle rocce poteva esservi ancora la canna magica della Bitinia, che aveva salvato la vita alla nobile romana.
Replicai che non lo sapevo.
A questo punto, non dimenticherò mai l’espressione animata dello sguardo di Silvia, mentre incalzava: “Pensate, se troveremo noi quei tesori, quando i piroscafi viaggeranno di nuovo, potremo finalmente comperare la farina gialla per fare la polenta ed ogni giorno potremo accendere il fuoco nelle nostre case, come accadeva prima della guerra!”.

“Ma il serpente? C’è ancora il grosso serpente o qualche suo lontano parente?”.
Cercai di rassicurarle: il serpente era certamente morto e non ce n’erano altri che avevano preso il suo posto.

Ci lasciammo sognando, quella sera di fine agosto! Era stato tutto così bello che anch’io mi ero immedesimato nella storia vivendola con loro.
Il mattino successivo le incontrai mentre mi recavo nei campi con mio padre. Giulia aveva in mano un cestino di vimini e Silvia una candela. Al mio sguardo interrogativo risposero con un malizioso sorriso e proseguirono per la loro strada.
Ad un tratto Silvia si voltò invitandomi a seguirle.
La vidi alquanto delusa quando risposi che non avrei potuto; ci saremmo ritrovati come ogni sera di fronte a casa mia.

Le aspettai invano.
Improvvisamente arrivò la notizia: le bambine erano scomparse. Le cercarono dappertutto; il paese intero fu scandagliato senza alcun risultato, delle piccole non c’era traccia.
Fui colto da una pazza paura: il cuore prese a battermi follemente ed una mortale angoscia si impadronì di me.
Inebetito dal terrore, mai rivelai quello che sapevo e che forse avrebbe ancora potuto salvare le mie amiche; neppure osai avvicinarmi alla grotta nel tentativo di condurre da solo le ricerche.

Nessuno pensò a questo antro cupo e minaccioso, perché nessuno conosceva la fiaba della grotta del serpente.
Io tacqui e continuai a tacere. Tacqui per sempre fino ad oggi.

Quanti anni sono passati da quel giorno di fine agosto!

A quel tempo ero troppo immaturo, troppo vigliacco e spaventato per compiere l’unico gesto razionale in grado di aiutare le bambine.
Rabbrividivo impotente alla certezza che era stata la mia storia a perderle.
Domande inutili rimaste per sempre senza risposte mi divoravano la mente: che cosa poteva essere accaduto in quella grotta quasi inaccessibile che si perdeva nelle viscere delle rocce?
No! di certo il serpente non c’era, era soltanto il frutto della mia fantasia; ma allora perché Silvia e Giulia erano sparite? Forse la candela si era spenta ed esse avevano smarrito nel buio la strada per uscire dall’intricato labirinto, o forse erano precipitate in qualche burrone alla vana ricerca del tesoro?

Con il passare dei giorni mi sentivo sempre più coinvolto in quella tragica vicenda che, con il peso di una realtà crudele ed insostenibile, mi schiacciava e rischiava di travolgermi.
Ero atterrito all’idea del giudizio di condanna di papà e dello sguardo onesto della mamma che avrebbe frugato con sospetto nei miei occhi. Ero paralizzato dal terrore delle chiacchiere della gente che avrebbe attribuito solo a me la colpa di quanto era accaduto e che mi avrebbe giudicato come un malfattore.

Per tutte queste ragioni o anche per altre che io stesso ignoro, non rivelai ad alcuno la verità.

Talvolta quando tornavo con la mente su quell’avvenimento, annaspavo nel buio nel tentativo di imbastire una qualche giustificazione accettabile a mia discolpa per rendere meno dura la pena. Tutto inutile! Niente riusciva a scalfire l’angoscia che mi pesava sul cuore come una pietra acuminata.

Era colpa di quella maledetta storia, del destino, della fame, della guerra, dell’inferno… ma soprattutto ero stato io ad uccidere le bambine.

So di non essere stato un individuo coraggioso, anzi riconosco che la vigliaccheria sia stata la peggiore delle mie debolezze. Penso anche di aver pagato a caro prezzo per l’insensata difesa ad oltranza della mia buona reputazione, nonostante questo assurdo comportamento abbia distrutto per sempre la mia pace interiore.

Abbandonai i giochi, le fiabe e la vita gaia dei ragazzi per rinchiudermi in un isolamento pressoché totale. Come un animale braccato smisi di sorridere, evitai di fissare in volto la gente, non osai più guardare mia madre negli occhi, rinunciai alla speranza di diventare un uomo onesto. Ormai mi difendevo ed ogni gesto, ogni parola, la più innocua, la più stupida, la più insignificante pronunciata con le migliori intenzioni mi feriva, mi faceva trasalire e scatenava in me risposte aggressive.

Così divenni lo strambo del paese.

Ogni notte rivedevo gli occhi un po’ sornioni di Giulia e ritrovavo con orrore quelli di Silvia affamati di pane, di vita e di giustizia.
Ecco la ragione per cui non mi sono sposato: non mi sarei sentito un buon marito e tanto meno un padre responsabile.
Così Giulia e Silvia divennero il segreto della mia vita”.

Francesco si concesse una pausa lunga e sconsolata prima di riprendere con voce rotta ed appena percettibile:
“Sai, è la prima volta che ne parlo. Forse proprio perché l’ho fatto a tanti anni di distanza, la cosa mi sembra ancora più terribile! Una cosa mostruosa!”
Lo abbracciai in silenzio. Lo sentii solo, fragile e spaurito.

Tacemmo a lungo in quella notte senza stelle e tuttavia un sentimento nuovo, un affetto fraterno più forte di ogni parola ci unì e rinsaldò il nostro legame.

Improvvisamente sorse la luna: un pallido velo d’argento si distese sulle colline, ricoprì gli alberi, imbiancò le case addormentate ed in quel diffuso chiarore fissai quel volto amico. Mi sembrò quasi evanescente come quello di ogni uomo, un essere caduco, smarrito e bisognoso di amore, un’ombra sul punto di dissolversi, oscura come l’oscurità della notte, impenetrabile come le rocce di quest’isola antica e profonda come gli abissi del mare.

                                                                                                                          [La grotta del serpente. (3) – Fine]

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