Dialetto

Il Ricordo è Storia presente


di Domenico Musco

 

Nell’aprire un cassetto della cucina ho trovato una nuova seria di coltelli con scritto sul manico “OPINEL”. Questa scritta mi ha fatto scattare una curiosità immediata tanto che ho subito chiesto informazioni a mia moglie Emanuela; lei mi ha risposto senza troppa enfasi che ce li aveva regalati la nostra amica francese Dominique.
Una risposta quasi distratta, che non pareva tener conto del mio enorme interesse per quel marchio.

Provo a spiegare cosa intendo e il perché dell’emozione provata: solo chi ha vissuto sull’ isola in tempi passati ed ha parecchie primavere alle spalle (la generazione detta “di Tex Willer”) sa cosa significa questo nome per i ponzesi.

Mi permetto di ricordare l’effetto che questo marchio fa sul mio animo. Opinel è quasi sinonimo di coltello (’u rungill’) per i contadini. È il coltello per eccellenza e averlo, in tempi passati, era un gran lusso e faceva la differenza.

Il coltello é costituito da tre parti: un manico di legno con la scritta Opinel, un anello posto a fine manico che serviva da blocco e sblocco lama (questa era la genialità del coltello) e la lama.

Trovarlo oggi é facilissimo: in qualunque supermercato, negozio di casalinghi e ferramenta, addirittura da chi fa le chiavi si può trovare; ma prima non era tanto facile.
Bisognava conoscere qualcuno che viveva in Francia; Marsiglia ospitava una comunità abbastanza numerosa di ponzesi tanto che nella Cattedrale posta in alto sulla città c’è la statua di S. Silverio.
A chiunque si recasse a Marsiglia si chiedeva la cortesia, quasi una preghiera, di portargli un Opinel. Grande era la differenza tra lavorare le reti o stare in campagna con un Opinel in tasca, o senza.

Mi vengono in mente anche altri prodotti che hanno fatto la storia del commercio nella valigia. ’I spogne spagnole erano fatte da un fusticino di piombo ricoperto da nylon colorato con alle estremità tanti ami a forma di porpara; questo attrezzo era il migliore per la pesca dei calamari e dei totani e anche qui averle significava la differenza di pescato. Il malcapitato ponzese che diceva di andare in Spagna si trovava subissato di richieste.

Non posso non ricordare il trasporto fatto nei viaggi transoceanici – in bauli ancora conservati in tante case ponzesi – di attrezzi per l’edilizia che venivano dall’America.

Chi non ricorda ’u mèreche (1) che è una specie di zappa-piccone con due lame piuttosto grandi messe in maniera opposta per avere due tipi di taglio: attrezzo importantissimo per disboscare, per esempio, un canneto; micidiale ad ogni colpo per estirpare le potenti radici.

Richieste erano anche anche le ‘livelle’ americane, mentre – cosa curiosa – le ‘pale americane’ (2) con il manico corto, che pure erano state portate, non hanno avuto molta fortuna.

Dall’America, é necessario aggiungere, si chiedeva con molta insistenza anche ’u cazone ’i bicce (3), il calzone di jeans che era la stoffa più resistente che esisteva sul mercato.

Ho provato, di recente, a raccontare a mio nipote queste emozioni e si è fatta una grande risata; forse é un segno chiaro del tempo che passa…

 

Summit il giovane dello Sri-Lanka che lavora con noi a Ponza, quest’anno si è messo in valigia: una ruota di carriola, una cucchiara, una pala, un trapano e tante altre minutaglie che non ricordo.

La storia si ripete…

 

Nota dell’Autore (NdA).

(1) ’u mèreche – Sembra evidente l’origine della parola da ‘America’: l’attrezzo che viene dall’America

(2) ‘pala’ in inglese shovel. I primi ponzesi che andavano a fare i manovali in America lavoravano ‘i picc’ e sciabule: di piccone e pala. Dalla stessa deformazione di pronuncia deriva anche stimm’ sciabule, la ‘pala meccanica’ (‘steam’: a vapore). Le prime furono introdotte a Ponza ai tempi della Miniera di bentonite, e i ponzesi erano diventati bravissimi a guidarle (leggi qui)

(3) ‘u cazone ’i bicce – La denominazione dialettale del pantalone (cazone) di jeans non è chiara; scartata subito la derivazione da beach, in quanto si trattava di robusti pantaloni da lavoro, non da spiaggia, la derivazione più probabile è sembrata da beige, per il colore tra il celeste e il grigio della stoffa alle sue origini. Ma chi ha un’interpretazione più plausibile si faccia vivo all’indirizzo del sito

1 Comment

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  1. Mimma Califano

    7 Febbraio 2013 at 12:30

    Che io ricordi, i cazùn’ non erano ’i bicce ma ‘i bigge. Sembra che effettivamente il nome derivi dal colore ‘beige’. ’I cazùn’ ’i bigge’, con questo nome sembra che siano arrivati a Ponza non direttamente dagli immigrati in America, ma dai marinai ponzesi che frequentavano il porto di Genova. Erano i pantaloni di lavoro che gli operai addetti allo scarico delle navi a Genova avevano presto imparato ad apprezzare proprio per la loro resistenza.
    Altro prodotto di importazione americano molto apprezzato erano ’i sacchetelle ’i tela. Sacchi di tela di cotone grezzo, anche questi molto resistenti. Erano di circa 1 metro di lunghezza e 60/70 cm di larghezza. Avevano molteplici usi; immodificati erano utilizzati per trasportare prodotti in campagna o sulle barche. Ma a Ponza – con un piccolo adattamento – avevano trovato una loro collocazione particolare: diventavano i scapucce per filtrare il mosto.
    Altro uso non ovvio, ma frequente, era per le vele dei gozzi.
    Tra le cose di mio padre ho trovato una vela fatta in buona parte di sacchetell’ con ancora i timbri visibili, perché questi sacchi erano anche utilizzati per avvolgere i famosi “pacchi americani”, che molto hanno dato alle famiglie ponzesi fino a tutti gli anni ’60.

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